Serie TV tratte da videogiochi: i falsi miti del buon adattamento

Le serie TV tratte dai videogiochi sono un tasto dolente: cosa significa esattamente dare vita ad un adattamento televisivo valido?

Avatar di Livia Soreca

a cura di Livia Soreca

Quando si parla di serie TV tratte da videogiochi, si tocca spesso un tasto dolente. Non sarebbe poi un argomento così scottante se parte della community videoludica non incontrasse quella amante di film e serialità televisiva, non sempre in maniera pacifica. Quando c'è un adattamento televisivo nell'aria, si dilaga il grande timore: "e se non è bello come il videogioco?". C'è chi addirittura considera questa frequente pratica un oltraggio e chi, invece, è mosso da genuina curiosità nel vedere un volto inedito del suo titolo ludico preferito.

Ci si chiede spesso da cosa nasca l'esigenza di trarre una serie TV dai titoli più amati o in voga, e tra le tante possibilità c'è in primis la voglia di ampliare un franchise, nonché il suo pubblico. L'adattamento deve però poter funzionare, non tanto per far felici gli utenti quanto per creare un prodotto valido, innanzitutto a sé stante e poi in qualità di opera tratta da un'altra. Talvolta neanche il primo obiettivo è raggiunto; ma, se lo fosse, quali sarebbero i passi da compiere per poter dare vita ad un adattamento? Spesso è il pubblico stesso a possedere dei falsi miti a riguardo.

Serie TV tratte da videogiochi: i falsi miti del buon adattamento

Uguale o non uguale? Questo è il problema

Quando ci si avvicina alle serie TV tratte da videogiochi, le aspettative del pubblico cadono spesso in un vortice di confusione, dettate da una richiesta: "cosa voglio?". L'esempio di The Last of Us è significativo. La serie del momento, creata da Craig Mazin e Neil Druckmann, presenta inevitabilmente alcune differenze con il videogioco, che pongono continuamente il pubblico medio, fan del titolo di Naughty Dog del 2013, ad esprimersi e a ragionare sull'adeguatezza o meno - secondo lui - dell'adattamento HBO. Lo spettatore si trova coinvolto in un dissidio interiore: se da un lato desidera un adattamento che rispetti fedelmente il prodotto originale, dall'altro le similitudini diventano tautologiche ed eccessive. E visto che non si possono avere la botte piena e la moglie ubriaca, cerchiamo di fare chiarezza su cosa significhi realizzare una serie TV partendo da un videogioco.

Un presupposto semplice, ma a quanto pare non scontato, è il seguente: tutte le serie TV tratte da videogiochi non possono essere la mera trasposizione su un differente schermo. Una frase come "non è come il gioco" è di un'ovvietà disarmante, in quanto è sottinteso si tratti di due mezzi molto diversi. Certo, entrambi hanno l'obiettivo di raccontare una storia, spesso riescono a convivere o può esserci una contaminazione, ma in linea di massima la loro natura è differente. Cambia il coinvolgimento del fruitore, cambiano i tempi d'azione, la serie TV non ha intermezzi puramente ludici e dunque deve riadattarli alla propria natura puramente narrativa. Il discorso potrebbe anche estendersi ai film, che possiedono tempi ancor più ristretti e quindi l'impresa si fa ancora più complicata, ma la verità è che qualunque adattamento audiovisivo non interattivo deve necessariamente rispondere alle proprie esigenze, totalmente diverse da quelle di un videogioco.

I principali ostacoli per un adattamento

Nessuno dice che il passaggio da videogioco a serie TV sia una passeggiata. Fatta la premessa sulla loro diversa natura, e dando per buono che non ci si possa mai aspettare qualcosa di troppo simile, la titubanza del pubblico - quasi di default - non è del tutto infondata. Forse perché ad oggi esistono degli esperimenti mal riusciti, come Resident Evil di Netflix, e lo spettatore ne resta praticamente traumatizzato.

In questa sede non si analizzerà più di tanto gli ostacoli intorno alla trama in sé, che accoglie quasi sempre delle aggiunte dei creatori, quanto alcune scelte di regia e sceneggiatura che mutano nel passaggio da un mezzo all'altro. La prima difficoltà è quella di addensare un titolo videoludico in tempi più brevi, e questo comporta tagli e sublimazioni. Ma quella più grande che ogni adattamento incontra è il cambiamento di fruizione. Se per il videogioco essa è chiaramente attiva, quella di una serie TV diventa passiva. Ci sono degli espedienti che permettono di non rinunciare ad alcuni elementi tipicamente ludici. Un esempio è The Cuphead Show! sviluppata da Dave Wasson, tratta da Cuphead, videogioco run 'n' gun di Studio MDHR del 2017 (disponibile per Nintendo Switch a questo link). Quello di Netflix è un esperimento arduo: è quasi impossibile riproporre le particolarità del titolo, noto per i suoi livelli grattacapo e il suo ritmo sfrenato.

Soprattutto nella prima stagione, in alcuni momenti del racconto si tende quantomeno a ricreare la sensazione di star osservando un livello di gioco: inseguimenti lineari con ostacoli da evitare, simulazioni di boss fight e non solo. Sarebbe inutile analizzarne la trama, in quanto molto diversa da un gioco non propriamente narrativo. La serie Netflix è piuttosto apprezzata (si registra l'86% di gradimento su Rotten Tomatoes), tuttavia considerata da molti un omaggio più che un vero e proprio adattamento. Gli spettatori sono ancora vittime della spasmodica voglia di trovare sullo schermo una fedele trasposizione e non una serie TV nuova tratta da un videogioco - ciò che è The Cuphead Show!.

Serie TV tratte da videogiochi: un malcontento errato

Ma veniamo adesso al dramma che più affligge il pubblico di giocatori quando si avvicina ad una serie TV: la scelta del cast. Torniamo per un attimo a The Last of Us: per quanto sia un successo acclamato dalla critica, con un apprezzamento tra il 91% e il 97% su Rotten Tomatoes, la serie non è esente da numerose polemiche riguardanti la scelta degli attori protagonisti, in particolare proprio Pedro Pascal e Bella Ramsey. Al di là dei più sterili commenti presenti sul web e sui social, ci si domanda spesso come mai gli attori prestatisi per la realizzazione del titolo videoludico non siano poi chiamati per realizzarne la serie TV derivante. Ciò che molti non sanno è che non c'è alcuna garanzia che la riuscita complessiva sia effettivamente migliore, anzi spesso accade il contrario.

Bisognerebbe poi accettare di buon grado uno stimolo in più, quello di poter dare un nuovo volto ad un personaggio, soprattutto per far fronte all'esigenza di non confondere i due prodotti distinti. Si cerca chi è in grado di interpretare meglio un personaggio, con gesti ed espressioni, senza il filtro della computer grafica, per non perderne una caratteristica più importante della mera estetica: la sua psicologia. È anche per questo che, ad esempio, il Joel di Pascal funziona. Questo è solo uno degli esempi di come un adattamento televisivo possa essere valido anche sotto una luce differente, seguendo precise necessità per forza di cose, con i dovuti accorgimenti per non uscire fuori dai binari. Sfatiamo questo falso mito: dissimile non è sempre sinonimo di sbagliato.

Leggi altri articoli