La serie live action di Cowboy Bebop è in arrivo: la nostra recensione

La serie live action di Cowboy Bebop sta per approdare su Netflix. Abbiamo visto in anteprima i 10 episodi della serie, ecco cosa ne pensiamo.

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a cura di Rossana Barbagallo

Che l’anime Cowboy Bebop di Shin’ichirō Watanabe sia un capolavoro dell’animazione, è un fatto noto tanto a chi ha goduto dei suoi 26 episodi e del lungometraggio che ne è seguito, quanto a chi ha solo percepito la forte risonanza che l’eco del suo successo ha avuto nella cultura pop. La notizia che la serie live action di Cowboy Bebop fosse in procinto di atterrare sulla piattaforma Netflix, ha suscitato perciò una grande perplessità nella community di fan più o meno appassionati dell’opera se non addirittura fatto “tremare” alcuni.

D’altronde, se un prodotto possiede già tutto ciò che serve per essere annoverato tra i migliori, quali possibilità vi sono che una sua versione alternativa possa migliorarlo ulteriormente o eguagliarne il successo? Ce lo siamo chiesto anche noi e perciò abbiamo visto in anteprima la serie live action di Cowboy Bebop, in streaming su Netflix dal 19 novembre e diretto da André Nemec: se stavate aspettando di saperne di più su di essa, eccovi qui la nostra recensione.

La serie live action di Cowboy Bebop: la trama

L’impianto della serie live action di Cowboy Bebop segue a grandi linee la trama dell’anime. Ci troviamo in un futuro prossimo, in cui chiunque può raggiungere qualunque pianeta o satellite del Sistema Solare attraverso i gate, sorta di caselli autostradali che consentono viaggi attraverso l’iperspazio. Con gli umani in giro per l’universo, la criminalità ha raggiunto ogni luogo e per catturare i malviventi vengono approntate delle ricompense in denaro per i cacciatori di taglie che intendono lanciarsi in simili imprese attraverso lo spazio. Jet Black (Mustafa Shakir), ex poliziotto della ISSP, e Spike Spiegel (John Cho), il suo socio dal misterioso passato, sono due cowboy dello spazio che si guadagnano da vivere acciuffando i criminali sulla cui testa pende una di queste taglie.

È durante uno dei loro “lavori” che si imbattono in Faye Valentine (Daniella Pineda), bella e infida cacciatrice di taglie affetta da amnesia e che non ricorda nemmeno quale sia il suo vero nome. Il duo diventa un trio, se non si conta Ein, il corgi super intelligente che si guadagna un posto sul Bebop, la nave di Jet Black che scarrozza il gruppo in giro per lo spazio. Alle (dis)avventure contro i criminali, tuttavia, si uniscono le loro vicissitudini personali, soprattutto per quel che riguarda Spike Spiegel: il passato è tornato infatti a bussare alla sua porta per chiedere il conto. Lo stesso passato in cui Spike sarebbe dovuto essere morto.

Goodbye, real folk blues

Adattare un’opera attraverso altre forme mediatiche, con linguaggi, tecniche e visioni registiche differenti, non è mai semplice. “The book was better” recita un’antico e saggio detto, e se già trasporre un libro sotto forma di opera cinematografica o seriale rappresenti sempre un piccolo grande rischio, figurarsi quanto possa essere un azzardo tentare di adattare un anime sotto forma di live action. Netflix ci ha provato proponendo la serie live action di Cowboy Bebop e, a onor del vero, è giusto dire che per certi aspetti ha saputo ricreare alcuni degli elementi precipui dell’anime di Watanabe (che, per inciso, ha collaborato come consulente per la creazione dello show).

In questo caso parliamo ad esempio del rapporto conflittuale tra i tre protagonisti, sempre in bilico tra l’amichevole collaborazione, l’affetto familiare e la tendenza ad agire gli uni alle spalle degli altri per il proprio tornaconto. Così come dell’atmosfera di generale decadenza da far west declinata in un contesto fantascientifico, che come nell’originale Cowboy Bebop è condita da gag umoristiche e azione sfrenata.

Lo spirito generale, tuttavia, ha subito una profonda rivisitazione. Chi conosce e ha apprezzato l’opera di Watanabe, sa quanto questa si mantenga sempre in perfetto equilibrio tra la comicità di situazioni imprevedibili e malintesi e la malinconia scaturita dalle vicende personali dei protagonisti, ciascuno con un vissuto difficile che non smette mai di affliggerli. La serie live action di Cowboy Bebop punta invece tutto sull’umorismo, l’azione, i combattimenti, talvolta lo splatter, gli intrighi non solo dei perfidi antagonisti, ma anche degli stessi protagonisti.

Ci troviamo insomma di fronte alla versione “caciarona” e pulp dell’anime, che aveva saputo invece cogliere le gradazioni più mature e le tonalità più riflessive delle vicende narrate. In questo live action c’è lo spirito del jazz, quello dello ska e perfino del country, tuttavia qualcuno potrebbe sentire la forte mancanza di quell’anima blues che aveva reso l’anime così emozionante da suscitare sentimenti profondi e creare legami con ciascuno dei protagonisti.

Questi ultimi sono ben caratterizzati e interpretati dal cast e riprendono i tratti tipici dei personaggi che abbiamo amato nell’anime, con nuove presenze davvero sorprendenti e vecchie conoscenze del panorama cinematografico che non ci saremmo aspettati di vedere. Abbiamo percepito però con un velo di dispiacere che a volte non si riesce a empatizzare ad esempio con Spike o la bella Julia; non si viene coinvolti appieno nelle loro vicende e può capitare che esse si mescolino in un calderone un po' caotico. Fa eccezione la sottotrama relativa a Spike Spiegel, che tuttavia soffre in egual misura della mancanza di complessità che un passato drammatico come il suo dovrebbe invece possedere. Nonostante questa venga assurta a trama principale della serie, scarseggia della solennità e dell’importanza che meriterebbe, delineata invece da toni tavolta tanto pulp e addirittura cartooneschi da diventare la parodia di sé stessa.

Costumi, scenografia, fotografia

Alla prova della visione, la serie live action di Cowboy Bebop si lascia certamente guardare e intrattiene, fosse anche solo per le divertenti gag e per giungere fino in fondo allo sviluppo di una trama che, dietro una differente reinterpretazione, prende una piega leggermente diversa da quella dell’anime di Shin’ichirō Watanabe. Nulla da eccepire anche per ciò che riguarda i combattimenti, dal sapore talvolta tarantiniano o adrenalinici à la John Wick: rapidi e ben orchestrati. Gradita inoltre la presenza di molti dei personaggi secondari presenti nell’anime, anch’essi reinterpretati attraverso sviluppi differenti che tuttavia risultano apprezzabili nell’economia generale dello show. A quest’ultimo è stata poi applicata un’impronta generale dal retrogusto di poliziesco anni ’70.

Questa si rivela essere una scelta originale che si adatta al mood dell’opera, grazie a inquadrature dal taglio obliquo e una fotografia che predilige le palette dell’arancio e del blu dalle reminiscenze vintage. Persino il Bebop, i cui ambienti interni sono stati ricreati in maniera piuttosto fedele all’originale, riesce ad apparire come il covo di cacciatori di taglie di un certo cinema d’altri tempi benché sia un’astronave.

Una direzione che tuttavia non riesce ad essere sempre mantenuta, soprattutto per quanto riguarda la costumistica: lo sfondo che ospita personaggi secondari e comparse vede presente un certo stile appartenente all’epoca della zampa d’elefante, mentre per i protagonisti si è cercato di mantenere il più fedelmente possibile l’abbigliamento indossato nell’anime. Ancora una volta, insomma, un calderone di idee confuse mescolate insieme per creare un’opera che probabilmente nelle intenzioni degli autori dovesse essere tanto aderente quanto originale.

Benché abbiamo guardato con profondo interesse e tante speranze tutti i 10 episodi che compongono la serie live action di Cowboy Bebop, la magia purtroppo è stata spezzata in alcune sequenze da questa tendenza a voler rimanere quanto più fedeli possibile alle immagini della serie d’animazione. Si sente sostanzialmente un generale “effetto cosplay” durante tutta la durata dello show, il quale raggiunge il suo culmine con il cattivo della storia: Vicious, antagonista storico di Spike Spiegel.

Nonostante sia uno dei personaggi meglio interpretati grazie al ruolo di Alex Hassell, risulta come una sorta di caricatura, eccessivamente bizzarro dal punto di vista visivo, appare come il tipico “cattivo da cartone animato”, svuotato dell’aura minacciosa che invece possedeva il Vicious di Watanabe. A lui viene fornita un’ulteriore sottotrama che risalta su tutte un altro aspetto di questo live action targato Netflix: la firma cinica che appone a ogni vicenda narrata.

La serie live action di Cowboy Bebop, in definitiva

Un atteggiamento, questo, teso a mostrare anche le immagini più crude con freddezza o con ironia, ma che perdoniamo perché coerente e certamente figlio del suo tempo. Quello attuale, disilluso, in cui è facile mostrare sempre di più anziché meno (come ci insegnano le opere seriali degli ultimi anni senza dover andarle a scomodare titolo per titolo). Insomma, la serie live action di Cowboy Bebop abbandona consapevolmente quello spirito a cavallo tra ironia (mai spinta o eccessiva) e amara introspezione. La reinterpretazione fornita da Netflix con questo Cowboy Bebop in salsa più cinica, e più trash se vogliamo, ci lascia quindi con sentimenti contrastanti.

La colonna sonora affidata anche stavolta alla bravissima compositrice Yōko Kanno e all'esecuzione dei The Seatbelts è come il canto di una sirena che ci attrae verso il porto degli aspetti sicuramente positivi di questa serie, con le sonorità che spaziano dal jazz al pop, dallo ska al blues riprendendo spesso gli stessi brani dell’opera originale (inclusa le sigle d'apertura e chiusura Tank! e The Real Folk Blues) che, inutile negarlo, sono semplicemente perfetti nell’accompagnare determinate sequenze. Infine, anche gli effetti CGI ci hanno lasciati piuttosto soddisfatti, grazie ad ambientazioni fantascientifiche degne di nota e la riproduzione del Bebop, dello Swordfish e del Red Tail in maniera piuttosto realistica (manca purtroppo all'appello l'Hammerhead di Jet).

Questa serie live action di Cowboy Bebop ci lascia, in linea di massima, con un bel “sessanta/quaranta”, come direbbe Faye. Abbiamo di fronte un’opera che riprende un capolavoro dell’animazione cercando di aderire ad esso a tal punto da cadere in un grandissimo “effetto cosplay” difficile da non notare, nonostante la prova interpretativa del cast sia assolutamente promossa. Questo show suona una melodia più chiassosa e adrenalinica, ma dimentica quanto quel nucleo blues dell’anime rappresentasse un aspetto fondamentale nel coinvolgimento dello spettatore.

Nonostante tutto, si tratta di un prodotto che attira l’attenzione, si lascia guardare, diverte con le sue gag e coinvolge con la sua azione, mentre in sottofondo non vi sarebbe potuta essere una colonna sonora migliore. Ci chiediamo tuttavia quanto la serie live action di Cowboy Bebop sarà in grado di attrarre alla visione anche quella fetta di pubblico che non ha mai visto l’anime (o sentito parlarne), e quanto invece sarà fruita solo da chi in realtà Cowboy Bebop lo conosce già ed è solo curioso di vederne una versione differente.

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