Quanti attori possono vantarsi di avere fatto la storia del cinema con una manciata parole? Pochi, ecco la risposta, e in questo esclusivo club spicca su tutti Rutger Hauer. È bastato il suo monologo finale nel ruolo di Roy Batty in Blade Runner per rendere questo attore olandese uno dei volti più amati del cinema. Eppure, Hauer, nato il 23 gennaio 1944, non ha un palmares internazionale particolarmente ricco, nonostante una fama senza confini che lo ha portato a rivestire pochi ma iconici ruoli nel film mondiale, consentendogli di divenire una figura particolarmente amata, specialmente negli anni ’80, con interpretazioni che spaziavano dai film action ad altri più concettuali.
Difficile non associare il volto spigoloso di Hauer alle espressioni che resero Roy Batty uno dei villain più amati del cinema mondiale, ma il talento, forse mai pienamente valorizzato, di Hauer si mise al servizio di altri personaggi che, negli anni ’80, divennero particolarmente amati da parte degli appassionati di cinema, come il capitano Etienne Navarre di Ladyhawke o il reduce Nick Parker di Furia Cieca, e ottenendo anche il plauso della critica per piccoli gioielli come La leggenda del santo bevitore di Ermanno Olmi, in cui Hauer recitò come protagonista e diede vita a una lunga amicizia con il regista italiano. I titoli citati sono solo una parte dei ruoli portati da Rutger Hauer sul grande schermo, tessere di un mosaico artistico che avrebbe forse potuto mostrare altro di questo straordinario interprete, ma di cui possiamo essere grati, considerato come le velleità giovanili dell’attore olandese erano ben altre: diventare un capitano di lungo corso.
Rutger Hauer: dalla vita marinara alla recitazione
Hauer nacque a Breukele, nella provincia di Utretch, il 23 gennaio 1944. All’epoca, i Paesi Bassi erano ancora una nazione occupata dalle armate del Terzo Reich. L’ambiente in cui crebbe, quindi, era quello della guerra, e gli anni seguenti, caratterizzati da un periodo di ripresa difficile dalle conseguenze della Seconda Guerra Mondiale, furono formativi per l’attore, che non nascose mai il peso di questa situazione sulla sua crescita personale:
“Sono nato nel mezzo della guerra, e credo che sia per questo motivo che ho un forte attaccamento al pacifismo. La violenza mi spaventa”
Figli di due attori, insegnanti della scuola di recitazione di Amsterdam, Rutger Hauer crebbe in un ambiente familiare in cui veniva spinto a sperimentare la propria creatività. Questa apertura era dettata maggiormente dall’ossessivo interesse dei genitori per la recitazione, che spesso metteva in secondo piano il loro ruolo genitoriale, al punto che Hauer e le due sorelle minori crebbero senza figure genitoriali di riferimento.
Nonostante fosse stato iscritto dai genitori a una prestigiosa scuola basata sull’antroposofia, disciplina esoterica che mette in relazione dimensione fisica e spirituale, affinché si focalizzasse sulle sue doti artistiche e creative, Hauer a 15 anni scappò dall’istituto per inseguire il sogno: diventare capitano di una nave. A guidarlo in questa ambizione era la figura del nonno, capitano di una goletta, che era divenuto per Hauer un’ispirazione, destinata a infrangersi meno di un anno dopo il suo primo incarico a bordo di una nave, quando a causa del suo daltonismo fu considerato non idoneo alla vita marinara.
Tornato a terra, si mantenne con lavori occasionali per mantenersi agli studi, che iniziò all’Academy for Theathre and Dancing. Dopo pochi mesi abbandonò questa scuola per unirsi all’esercito, dove venne addestrato come medico combattente, ma lasciò la carriera militare in breve tempo, quando si oppose all’utilizzo di armi mortali. Nuovamente, Rutger Hauer tornò ai suoi studi da attore, che concluse nel 1969, anno in cui ottenne il suo primo ruolo in Floris, una serie televisiva medievale diretta da Paul Verhoeven.
La svolta internazionale
Impressionato dalla sua ottima performance in Floris, Verhoeven volle Hauer come protagonista di Fiore di carne, film che assieme al successivo Kitty Tippel…quelle notti passate sulla strada, lo fecero notare anche dal mondo del cinema internazionale. Il 1975 per Hauer fu un anno fondamentale: con Il seme dell’odio ottiene il suo primo incarico in una produzione internazionale, in un film dalle tematiche forti, come l’apartheid, che gli consentì di recitare, seppure in un ruolo minore, con nomi del calibro di Michael Caine e Sideny Poitier. Pur avendo una parte non di prima fascia, Hauer viene comunque notato da Hollywood, che vede in questo giovane attore olandese delle promettenti caratteristiche.
Questa improvvisa celebrità pose Rutger Hauer di fronte a un dilemma: cambiare nome. Secondo alcuni membri dell’establishment hollywoodiano, il suo nome era poco orecchiabile per gli standard americani, e un suono più vicino alle sonorità d’oltreoceano avrebbe giovato alla sua carriera. L’idea sembrò assurda all’attore olandese, che non volle cedere a queste pressioni, convinto che la sua fama in terra americana sarebbe evaporata rapidamente.
Si dovette aspettare il 1981 per vedere Rutger Hauer in un film hollywoodiano, quando ottenne la parte del terrorista a cui un giovane Sylvester Stallone dava la caccia in I falchi della notte (1981). Questo primo passaggio nel cinema che conta è il preludio al grande ruolo di Rutger Hauer: Roy Batty, l’androide antagonista del cacciatore di replicanti Rick Deckard in Blade Runner.
Roy Batty, il ruolo della vita
Quando Ridley Scott si mise all’opera per il suo secondo film di fantascienza dopo Alien, la sua prima difficoltà fu trovare gli interpreti. Tutte le figure chiave di Blade Runner presentavano particolarità che rendevano complesso identificare un interprete preciso, tutte tranne una: Roy Batty. Sin dalla prima stesure della sceneggiatura, nei pensieri di Scott c’era questo giovane attore olandese, che lo aveva colpito per la sua recitazione in Fiore di Carne e Soldato d’orange, Rutger Hauer. Per lui, la fisionomia di Hauer e la sua imponente fisicità, unite a un’espressività impareggiabile, erano i punti essenziali per dare vita al villain del film. Una convinzione che era condivisa anche da Philip Dick, autore del romanzo da cui era tratto il film:
“E’ il perfetto Roy Batty. Freddo, ariano, senza difetti”
Scegliere Rutger Hauer per quel ruolo in Blade Runner fu una delle fortune di Scott. L’attore si mise pienamente al servizio del personaggio, facendolo proprio e caratterizzandolo alla perfezione. Un’affinità con il ruolo da interpretare che arrivò al punto da dare consigli al regista, nonostante sul set ci fosse una continua tensione tra le maestranze americane e Scott. Si deve a Hauer la composizione del confronto finale tra Batty e Deckard, che Scott voleva più adrenalinico e vivace, ma che l’attore olandese propose di cambiare per improntarlo a un maggior pathos, considerato che la sua fisicità propose di evitare lotte serrate ma di presentare il tutto come una caccia all’uomo.
Ma il vero tocco finale di Hauer fu l’intervento improvvisato sul celebre monologo finale di Roy Batty. Nonostante la scena fosse già stata scritta e approvata, al momento di girarla Hauer, dopo averci pensato tutta la notte, decise di cambiarla, sorprendendo tutti con una versione differente e una recitazione incredibilmente viva e umana, introducendo anche l’elemento della colomba. Quando la troupe assistette a questa sua interpretazione, scese un silenzio incredibile e Scott non potè far altro che ammirare la scelta di Hauer. L’attore, per anni, ha raccontato come sia arrivato alla scelta di questa sua particolare modifica alla sceneggiatura:
“Dovevo recitare un testo che era decisamente più lungo, e che mi pareva proprio per quel motivo non in linea con il contesto. Rileggendolo, decisi di tagliare alcune frasi e di concludere con la frase sui ricordi perduti, come lacrime nella pioggia. Ebbi questa intuizione solo la sera prima di girare la scena”
https://youtu.be/HU7Ga7qTLDU
Il legame tra Blade Runner e Rutger Hauer fu immediato, e rimase inalterato nel corso degli anni. Per il mondo intero, il nome dell’attore olandese rimane indissolubilmente legato al film di Scott, un attaccamento sentito anche dall’attore, che, proprio per questa sinergia tra personaggio e interprete, non nascose la propria avversione all’idea di tornare nel mondo dei replicanti con Blade Runner 2049:
“Sembrerà strano, ma mi sembra impossibile immaginare che ci fosse la necessità e il bisogno di un film come Blade Runner 2049. Visivamente è superlativo, ma non riesco a comprenderne la necessità. Credo che se qualcosa è così affascinante, lo si dovrebbe lasciare unico e creare un altro film, non farsi forti di un successo maturato 30 anni prima. Sotto tanti punti di vista, Blade Runner era come E.T., affrontava la domanda su cosa significa essere umani, non parlava solo dei replicanti. Per il secondo Blade Runner, non riesco a comprendere quale sia il suo interrogativo: non è focalizzato sui personaggi, non ci sono umorismo, amore o anima. Si percepisce la volontà di omaggiare l’originale, ma a me non basta. Ero convinto che non avrebbe funzionato, ma alla fine credo che ciò che penso io non sia così importante”
Dopo Blade Runner
All’epoca della sua uscita al cinema, Blade Runner non fu il successo planetario che concepiamo oggi, una condizione che, nonostante un’ottima interpretazione, non rese Rutger Hauer un attore di primo livello. Gli anni seguenti, per l’attore olandese, furono portatori di ruoli in pellicole di stampo action o avventurose, in cui, curiosamente, la prima scelta di Hauer erano sempre i ruoli del cattivo.
Anche per Ladyhawke, inizialmente Hauer era stato inizialmente contattato per il ruolo del vescovo. Richard Donner, regista del film, si vide invece rifiutare dall’attore l'offertaa, considerato che Hauer si dimostrò estremamente interessato al ruolo di Etienne Navarre, che divenne per Rutger Hauer un altro celebre alter ego della sua carriera. A ispirare i registi erano la sua espressività e la sua incredibile capacità di entrare nella pelle dei personaggi, una dota che gli consentivano sia di esser un eroe come interpretare anime tormentante e oscure, come dimostrò The Hitcher, dove vestì i panni di un inquietante omicida.
Ma dietro quello sguardo glaciale, Rutger Hauer nascondeva anche una vena drammatica e travolgente, una caratteristica che non sfuggì a Ermanno Olmi, che, incassato il rifiuto di Robert de Niro, si affidò all’attore olandese per dare vita al suo Andreas Kartack, il senzatetto parigino protagonista de La leggenda del santo bevitore. Rutger Hauer fu magnifico, capace di trasmettere l’intensa drammaticità di questo personaggio, umano e travolgente nella sua lotta con la vita, dando vita a una figura indimenticabile, che portò il film di Olmi a fare incetta di premi (tra cui il Leone d’Oro al festival di Venezia ). Se Roy Batty è stata la prima maschera con cui il cinema internazionale ha conosciuto Rutger Hauer, il volto devastato dall’alcol e l’espressione disperata di Kartack sono i tratti più emblematici dell’incredibile talento recitativo dell’attore olandese.
In questo periodo così proficuo, la figura da eroe d’azione particolarmente affine alle ambientazioni fantascientifiche portò Hauer a un passo dall’ottenere il ruolo di Alex Murphy in Robocop, film dell’amico Paul Verhoeven che lo avrebbe caldamente voluto, ma che alla fine fu costretto ad assegnare la parte a Peter Weller.
Se negli anni ’80 Rutger Hauer era una figura nota e valorizzata nei film d’azione, il decennio successivo si tramutò in una lenta discesa nell’oblio per Hauer. In questi anni, infatti, l’attore fu coinvolto per lo più in pubblicità televisive, venendo chiamato a prestare la propria opera solo in film a basso budget. Eppure, la sua esperienza consentì ad alcuni di questi B-Movie di divenire dei piccoli cult per gli appassionati, come accaduto per Detective Stone (1992), in cui Hauer interpreta un eclettico investigatore intento in una caccia al mostro in una Londra futura sommersa dalle acque del Tamigi.
Un parziale ritorno alle scene di maggior prestigio si profilò nei primi anni 2000, periodo in cui Rutger Hauer ebbe modo di comparire, seppur in ruoli minori, in film del calibro di Confessioni di una mente pericolosa, Sin City e Batman Begins. Tolta l’esperienza con due opere di un certo spessore come Il villaggio di cartone e I colori della passione, in cui ebbe modo nuovamente di mostrare le sue incredibili doti attoriali, le piccole parti in cui fu impegnato Hauer in questo periodo furono solo un’ombra di quanto mostrato in precedenza dall’attore.
Curiosamente, Hauer ebbe un legame particolare con una delle figure classiche dell’immaginario popolare: i vampiri. All’inizio della sua carriera, Rutger Hauer, con la sua recitazione, influenzò profondamente la scrittrice Anne Rice, che vide nell’attore olandese il modello su cui sviluppare uno dei suoi personaggi di maggior successo: il vampiro Lestat. Quando nel 1994 Intervista col vampiro divenne finalmente un film, sfortunatamente Hauer non poté interpretare Lestat, in quanto considerato troppo vecchio per la parte, che venne affidata a Tom Cruise.
In compenso, Hauer ebbe modo di recitare in ben due pellicole a tema vampiri, in entrambi i casi insieme a Donald Sutherland. In Buffy l’ammazzavampiri (1992), primo tentativo di Joss Whedon di dare vita alla sua celebre cacciatrice di succhiasangue, Hauer diede il volto al vampiro Lothos, mentre Sutherland interpretava Merrick, l’uomo che addestrava la Cacciatrice. Sutherland e Hauer si ritrovarono nuovamente assieme sul set di Salem’s Lot (2004), miniserie televisiva ispirata al celebre romanzo di Stephen King e rifacimento dell’omonima serie TV del 1979.
L’eredità di Rutger Hauer
Quando il 19 luglio 2019 si diffuse la notizia della morte di Hauer, il mondo del cinema pianse uno dei volti più amati della sua storia. L’impatto che i suoi personaggi principali, come Roy Batty, Etienne Navarre o Andreas Kartack, ebbero negli spettatori fu tale da rendere Hauer un interprete unico, capace di utilizzare la sua espressività in modo da cogliere le sfumature dei diversi ruoli enfatizzandone gli aspetti emotivi principali e donandoli agli spettatori con un’intensità incredibile. Una dote che rispecchiava la sua sensibilità, che Hauer viveva anche tramite un impegno sociale intenso, animato da una forte passione per le tematiche ambientali.
Il talento di Hauer avrebbe probabilmente meritato maggior visibilità, ma la sua passione per la recitazione trovò una nuova forma diventando un insegnante in diverse scuole olandesi, in cui l’attore condivideva la propria esperienza con futuri artisti. Poeticamente, si può vedere in questa sua vita da maestro, ruolo rivestito dai suoi stessi genitori in precedenza, un modo unico per far si che la sua esperienza, i suoi ricordi non andassero perduti per sempre, come lacrime nella pioggia.
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