Prey: finalmente i Predator tornano a cacciare grazie a Disney Plus [Recensione]

Prey: su Disney+ un nuovo inizio per il franchise dei Predator?

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a cura di Manuel Enrico

Non è stata semplice la vita dei Predator sul grande schermo. Dalla nascita del franchise nel 1987 con il primo capitolo della saga, una perfetta sintesi tra action movie e fantascienza, la costruzione di una solida base narrativa per proseguire la complessa relazione tra umani e Yautja ha mancato di trovare un equilibrio che consentisse di sviluppare al meglio il mito dei Predator. Una tutt’altro che ammirevole tradizione che, tra incontri con gli xenomorfi resi celebri da Alien e tentativi di reboot, si cerca ora di invertire con Prey, nuovo film dedicato ai Predator che il prossimo 5 agosto arriverà su Disney+, all’interno del catalogo di Starz.

Può sembrare strano che un simbolo della fantascienza cinematografica cerchi nuova linfa all’interno del mondo streaming, ma la scelta di Disney, divenuta titolare dei diritti di Predator dopo l’acquisizione di Fox, rientra pienamente all’interno di una concezione di sfruttamento di IP proprietarie di sicuro richiamo che porti lustro al suo servizio streaming. Dipendere solamente da Star Wars o Marvel, infatti, rischia di circoscrivere troppo il potenziale target, mentre dare spazio ad altri amati franchise, come Predator e Alien, può rivelarsi una scelta vincente. A patto di trovare una giusta chiave narrativa, che sappia fare tesoro degli errori precedenti, preservando lo spirito autentico del franchise.

Prey, i Predator alla conquista dello streaming

Sfida ricaduta su Dan Trachtenberg, che si siede sulla poltrona del regista di Prey. Per i fan della saga, delusi dalle più recenti incarnazioni degli Yautja, Prey rappresenta l’occasione di poter nuovamente trovare un’avventura in cui il rapporto tra il letale cacciatore alieno e l’umanità sappia mostrarsi appassionante, non per forza emulando l’impresa di Dutch Schaeffer, ma trovando una nuova identità che possa divenire un nuovo punto di partenza per un franchise storicamente in affanno. Se nella dimensione fumettistica Predator è riuscito a creare una sorte di mitologia culturale per gli Yautja, intrecciandola a una lunga storia di sanguinosi incontri con l’umanità, nel comparto cinematografico questa cura non si è mai percepita, ma anzi si è patito una monodimensionalità dei Predator, fossilizzati su una presunta cultura venatoria mai pienamente valorizzata. Prey, sotto questo aspetto, cerca di imprimere una diversa dinamica.

Anno 1719, Grandi Piani. Il Nuovo Mondo è ancora una landa inesplorata, in cui le tribù indiane sono ancora libere di seguire le proprie tradizioni, una società in cui il valore viene ancora dimostrato tramite la propria abilità nella caccia. Naru (Amber Midthunder) è una giovane che mal sopporta l’impossibilità di far parte dei cacciatori della sua tribù, nonostante sia in grado di tenere testa anche ai più capaci degli uomini. Il suo destino sembra essere segnato, divenire una curatrice, ma quando un membro della sua tribù viene ferito da un leone della prateria, le sue doti di donna di medicina le consentono di partecipare alla caccia. Occasione in cui la donna scopre come ci sia un altro letale cacciatore nella prateria, più feroce di qualsiasi animale e dotato di una ferocia inaudita.

Questo predatore non intende lasciare viva nessuna preda, e quando la sua attenzione si concentra su Naru e la sua tribù, quella che avrebbe dovuto una normale battuta di caccia si trasforma in una letale lotta per la sopravvivenza. Uno scontro in cui rimangono coinvolti anche degli esploratori francesi, dando vita a una lotta senza quartiere con in palio la sopravvivenza del più forte. La posta in palio è la vita, e per sopravvivere si dovrà capire in fretta chi si è realmente: cacciatore o preda.

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Prey mostra di volersi distaccare in modo netto dalle precedenti interazioni del franchise, seguendo le tracce dell’altra saga aliena coeva del primo Predator, Alien. Se in precedenza si erano vista figure femminili far parte della saga, è in Prey che il ruolo centrale viene affidato a una donna forte, decisione che non può fare a meno di vedere in Naru un’emula della Ellen Ripley di Sigourmey Weaver. Le analogie tra le due protagoniste si fermano qui, considerato come Naru sia stata ideata guardando alla società dei nativi americani del periodo, creando una particolare sinergia tra le due diverse culture venatorie al centro delal vicenda, quella indiana e quella degli Yautja. Per quanto tecnologicamente avanzati, il Predator di Prey mostra una serie di gadget meno sofisticati di quelli visti negli altri film della saga, una felice intuizione che consente di creare una situazione di non troppo manifesta superiorità. Dettaglio centrale nella creazione di una trama che, per quanto non priva di qualche esagerazione in termini di sospensione dell’incredulità, ci illude di una quasi parità tra i diversi cacciatori, umani e alieni.

La prima parte del film è una lenta costruzione della cultura indiana, utile per abbozzare la definizione del personaggio di Naru. La Midthunder sfoggia una buona fisicità, e la sua recitazione non delude, mettendo in scena una buona gamma emozionale, che avvicina lo spettatore al personaggio. La caratterizzazione dei personaggi è minimal, funzionale allo scorrere della storia senza perdersi in eccesive elucubrazioni, preferendo concentrarsi sul ritmo di una storia che, in un crescendo ben scandito, passa da una tensione di terrore all’accettazione che solo lasciando emergere tutto il proprio attaccamento allo spirito di autoconservazione si potrà sopravvivere a questa caccia sanguinaria.

L’idea di sviluppare questo scontro tra umani e Yautja sviluppando il tutto su due diversi popoli caratterizzati da una propria filosofia di caccia è interessante, consente di dare vita a momenti in cui i due diversi approcci sembrano quasi annullare il profondo divario tecnologico: dove il Predator può sfoggiare armi avveneristiche, Naru e la sua tribù mettono in campo conoscenza del territorio e una mentalità predatoria che mette in difficoltà l’alieno.

Un nuovo inizio per il franchise

Trachtenberg ha il merito di utilizzare al meglio gli spazi naturli dei Grandi Piani, rendendoli il terreno di caccia di uno scontro sanguinoso e appassionante. Dalle ampie praterie sino alle fitte foreste, ogni ambiente viene asservito al meglio alla storia, dando vita a momenti di grande azione che ricordano i fasti della prima avventura dei Predator., mostrando un attento utilizzo della cromia, mai banale ma valorizzata da una fotografia che cerca nei contrasti tra sfumature cupe e fredde contrapposti a slanci e guizzi caldi una dinamica emotiva mai scontata ma di supporto alla costruzione narrativa del pathos del film. Non siamo sicuramente al livello del capitolo primigenio del franchise, scelta voluta dal regista che non ha voluto tentare un reboot o un remake, ma ha creduto giusto dare vita a quello che a tutti gli effetti si potrebbe considerare il primo incontro tra umani e Yautja:

“Voglio essere molto chiaro, perché credo ci sia stata parecchia confusione su ciò che la gente ha inteso: nella mia mente, questo non è un prequel, non ho pensato ‘Raccontiamo le origini di Predator’. Si tratta di una storia ambientata prima degli eventi di Predator, e la creatura che vedrete, è la prima che arriva sulla Terra”

Un intento vincente, tanto che il Predator ha un aspetto diverso rispetto a quelli visti precedentemente, con una diversa conformazione del cranio, più slanciato, e un armamentario che, per quanto letale, si mostra più arcaico rispetto a quello sfoggiato dall’alieno del primo Predator. Per quanto sia ravvisabili tratti inequivocabili della razza aliena, dal suono gutturale alla visione a infrarossi, si percepisce nettamente che siamo davanti a un Predator primitivo, non così evoluto come quello affrontato nei capitoli cronologicamente successivi della saga.

La fortuna di Prey è racchiusa in questa volontà di raccontare una storia che sia parte dell’universo di Predator, senza la presunzione di essere un remake, ma tenendo anzi conto di piccoli riferimenti cronologici che lo ricollocano all’interno di una cronologia che crea un’ideale trilogia tra Prey, Predator e Predator 2. Sicuramente un aspetto gradito agli appassionati del cacciatore alieno, che potrebbe rivelarsi un ottimo punto su cui sviluppare ulteriormente la nuova era del franchise, considerato che Prey avvince, con un buon mix di sviluppo del personaggio all’interno del suo tempo e una gestione oculata di un equilibrio tra alieno e umano che, pur facendo percepire la netta superiorità tecnica del Predator, lascia sempre aperta la speranza a una felice intuizione della cacciatrice umana. Non saremo davanti alla statura da cult che può vantare il primo Predator, ma Prey si presenta come un incoraggiante punto di ripartenza per un franchise da sempre in cerca di nuovi spunti da cui riprendere la propria definizione.

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