Tra gli ospiti che hanno partecipato all’edizione 2021 di Play Festival del gioco il nome di Cole Wehrle non è passato certo inosservato. L’autore statunitense, padre dell’acclamato gioco da tavolo Root e di Oath: chronicles of empire and exile, ha preso parte alla manifestazione per giocare alla sua creazione con gli appassionati italiani.
Oltre a Root e Oath, Wherle ha ideato e pubblicato anche i giochi An Infamous Traffic, Pax Pamir e John Company, tuttavia la fama e i riconoscimenti internazionali per questo autore sono arrivati grazie al titolo asimmetrico (localizzato in italia da MS Edizioni, disponibile per l'acquisto online) che vede al centro della vicenda una serie di creature del bosco impegnate per il controllo della foresta. Il palmares di Rott annovera infatti sia riconoscimenti internazionali come l’As d'Or e Origins Awards ma anche italiani come il Premio Goblin Magnifico, assegnato nel 2019. Il suo ultimo lavoro è il gioco da tavolo Oath: chronicles of empire and exile, un titolo di ispirazione legacy, in cui i giocatori saranno chiamati a determinare il corso della storia, attraverso scelte in grado di affermare il potere e lo status quo, oppure portare il regno alla rovina.
Durante Play abbiamo avuto l’opportunità di passare del tempo con Wehrle per una chiacchierata sui suoi giochi e il suo approccio al game design. Durante la nostra intervista Wehrle ha risposto con entusiasmo e interesse alle nostre domande, svelando qualche retroscena legato a Root e Oath e anche quali sono i titoli che ama di più.
Cole Wehrle: iniziamo da Root
Benvenuto e grazie per aver accettato l’invito a Play Festival del gioco, in questa intervista parleremo di Root, ma anche di giochi in scatola.
Sono in grado di parlare a lungo, quindi sentitevi liberi di fermarmi quando volete.
Come è nata l’idea di Root?
Root ha delle strane origini, che potrebbero non avere senso slegate dal contesto in cui queste idee sono venute alla luce. Ho iniziato a lavorare come sviluppatore per Patrick Leader di Leader Games e questa azienda voleva trovare un modo per spingere un certo tipo di game design interattivo. In quel periodo stavo lavorando a un design di un wargame leggero, perché nei wargame ci sono un sacco di innovazioni interessanti che non puoi trovare altrove in altre tipologie di gioco, perché i giocatori di wargame non sono soliti condividere le loro esperienze con il resto della community dei giocatori da tavolo e viceversa. Patrick mi ha chiesto se fossi interessato a sviluppare un gioco di strategia asimmetrico e quindi ho iniziato a lavorare al design di Root e sapevo che avrei voluto che questo gioco avrebbe dovuto essere un gioco di controguerriglia e asimmetrico.
E così mi vennero le idee sul movimento e sulle diverse meccaniche di gioco che si stavano prendendo forma molto velocemente. Ho mostrato il design a Patrick e a Kyle (Kyle Ferrin, l’illustratore del gioco n.d.r.) e ci siamo resi conto che il gioco era piuttosto cruento. Credo che il primo a suggerire il setting con gli animali sia stato Kyle e nel momento in cui abbiamo unito le due cose è stato chiaro che che questi due elementi fossero perfetti insieme. Ci siamo anche resi conto che in molti design, non è desiderabile avere questo tipo di interazioni così violente, perché potresti turbare i giocatori, ma nel caso di un wargame devi però rendere un’atmosfera seria e sanguinosa. Alcuni giochi sono particolarmente violenti nel tema, ma presentano meccaniche che rendono quel genere di atmosfera in modo cartoonesco. In Root trovo che accada l’opposto: l’atmosfera gioco è molto crudele e competiva e quindi al fine di avvicinare le persone a Root ho deciso di renderlo visivamente accattivante e “puccioso”.
Perché il tema degli animali antropomorfi?
Sono cresciuto leggendo le storie di Redwall, una serie di romanzi inglesi molto popolare negli Stati Uniti. Si tratta di una serie fantasy molto importante per me che è ambientata nei boschi e con protagonisti animali antropomorfi. Oltre a questi libri amo molto anche La collina dei conigli, un altro romanzo con animali molto violento, e se ci pensiamo le favole con animali hanno sempre fatto parte della mia infanzia e anche di quella di Kyle. Tra le ispirazioni di Root abbiamo anche Robin Hood della Disney, che per noi e moltissime altre persone ha rappresentato uno dei primi film fantasy visto da bambini. Ci piaceva l’animale antropomorfo perché ti permette una grande libertà artistica e creativa, permettendo di trasporre sull’animale certe qualità umane e al contempo di rendere la narrazione più realistica e drammatica. Uno degli elementi distintivi di Root è il tipo di fantasy inconsueto, ma innegabilmente riconducibile a questo genere, che Kyle ha rappresentato, grazie alla sua grande sensibilità artistica.
Root: gli elementi del successo
Quale è a tuo parere l’elemento che ha fatto di Root il successo che è?
Quando io e Kyle parliamo di design abbiamo un’affermazione che amiamo ricordarci: Kyle ha il compito di far avvicinare al gioco le persone la prima volta, mentre il mio compito è quello di fare in modo che giochino una seconda volta. Così quando qualcuno mi dice “Ho comprato il gioco per le illustrazioni” io penso “Perfetto!” e spero che ci giochino ancora apprezzando il gioco nelle sue meccaniche. Credo che il successo di Root abbia a che fare sia con le sue illustrazioni che con il suo design, ma anche con il fatto che il gioco sia stato un titolo innovativo con un design che non si era mai visto prima, ed è una cosa interessante, perché si tratta di un gioco che ormai ha una certa età.
In Root ogni giocatore ha la possibilità di muoversi liberamente per una mappa, spostando truppe esattamente come in un gioco strategico vecchio stile, ma in un modo completamente nuovo in grado di svecchiare il genere introducendo molti nuovi giocatori a questo tipo di gioco.
Bilanciamento e giochi assimetrici… quale è il processo creativo perché tutto funzioni senza rompere il gioco?
Bilanciare un gioco è sempre molto difficile, un sacco di tempo durante lo sviluppo è dedicato a questo processo. Io mi approccio al bilanciamento del gioco da diversi punti di vista, dove quello più importante è quello legato al potere che potrebbe guadagnare il singolo giocatore, diventando troppo potente. Il problema non è il potere in sé, quanto questo diventa noioso nel momento in cui si azzecca la strategia perfetta, la quale una volta applicata non vi è più ragione di proseguire la partita. Così inizio a pensare quali tipi di contrappasso potrei collegare ai diversi poteri, perché voglio creare un ambiente in cui i giocatori possano dare vita a cose incredibili all’interno del gioco, ma giustamente controbilanciate.
Un esempio di ottimo bilanciamento lo troviamo in Azul, in questo gioco sei costantemente tenuto sotto scacco dalle tue scelte e io amo questo genere di sensazione che ti porta a dover considerare non solo le azioni degli altri, ma anche l’impatto che le tue azioni avranno sullo svolgersi della partita. Il bilanciamento per me non è quindi solo questione di pratica e numeri, ma soprattutto il fatto che le scelte strategiche siano tutte interessanti e in grado di mutare gli schemi del gioco per tutte le persone sedute attorno al tavolo.
Il gioco di ruolo di Root ha sviluppato ulteriormente la lore del gioco da tavolo. Com'è stato vedere la tua idea sviluppata in un progetto diverso?
È stato molto interessante. Conoscevamo Magpie Games, ma è stato Patrick Leder a proporre la collaborazione sul gioco di ruolo. Una delle cose che ci ha entusiasmato di più è il fatto che non volessero produrre una copia di Dungeons & Dragons, perché pensavano che Root fosse un gioco inconsueto, per il quale ci fosse bisogno di un sistema di gioco diverso, che mettesse al primo posto la narrazione e le istanze dei giocatori, così la decisione di utilizzare il Power By The Apocalypse system. Un’aspetto interessante circa il processo collaborativo “dietro le quinte” è stato il mio ruolo di consulente creativo su tutto il progetto, ma in realtà il mio lavoro è stato perlopiù quello di dire agli autori del gioco di ruolo quando qualcosa sembrava fuori posto nel mondo di Root. È qualcosa di complesso, perché per creare Root, il gioco da tavolo, abbiamo sviluppato moltissimo la parte di worldbuilding, tuttavia questa non ha potuto essere inclusa nel gioco, perché non volevamo che interferisse con le scelte dei giocatori, risultando troppo invadente.
Nell’esperienza di un gioco in scatola è importante creare un ambiente che lasci la massima libertà alle persone, questo però all’interno di un gioco di ruolo non è possibile, una parte importante dell’esperienza consiste nell’ambientazione che farà da sfondo alle avventure. Così io e Kyle abbiamo dato delle linee guida e delle regole che permettessero al team creativo del gioco di ruolo di creare la storia, i personaggi e l’ambientazione. E va detto, hanno fatto un ottimo lavoro nel completare ciò che io non avevo mai sviluppato a pieno, in modo da consegnare ai giocatori gli strumenti per creare le proprie storie.
Qual è la tua fazione preferita in Root, se ne hai una?
Si ne ho una, ma cambia periodicamente. In questo momento amo molto i gatti, perché sono stati i primi che ho sviluppato e penso che siano la fazione più difficile da giocare, nonostante abbiano le regole più semplici. Amo molto anche le lucertole e anche queste sono complesse da gestire. Queste due fazioni richiedono una grande attenzione a ciò che fanno i tuoi avversari che è proprio ciò che amo del gioco.
Oath: l'ultimo gioco di Cole Wehrle
Parlando invece di Oath in cosa è diverso dagli altri titoli legacy?
L’idea alla base di Oath è stata ciò che si sarebbe ricordato del gioco, perché volevo che i giocatori si ricordassero che cosa era successo nella partita precedente. Basandomi su questa idea arrivai alla decisione che la conclusione di una partita sarebbe stato il punto di partenza della successiva.Il legacy hanno diversi punti di contatto con una serie tv, o con le serie di librigame, ma tutta la narrazione dei legacy è pensata per svilupparsi in un efficace crescendo drammatico, ma io ho cercato di capire se fosse possibile ideare un legacy che permettesse ai giocatori di scrivere le proprie storie.
Oath è un legacy senza una mappa, il cui finale è tutto da scrivere. Ho giocato diverse generazioni in diverse partite e queste hanno avuto sviluppi sempre diversi, senza sapere cosa sarebbe accaduto poi. In questo modo ho potuto sperimentare il gioco come un giocatore che si accosta ad Oath per la prima volta e questo ha rappresentato la difficoltà di design maggiore per questo gioco. Non era scontato che il gioco vedesse la luce. In termini di durata i giochi non sono sistemi stagni, la possibilità che si verifichino “perdite” superato un certo limite sono concrete e questo potrebbe generare tensioni indesiderate al tavolo. Oath era pensato per non avere una fine e questo avrebbe dato vita a una serie di problemi, come ad esempio l’inflazione, per cui abbiamo aggirato questo problema andando a resettare certi aspetti tra una tra una generazione e l’altra.
Esiste un gioco che hai provato e ti ha fatto esclamare "Wow vorrei averci pensato io!"?
Mi succede sempre! A tal proposito ho una storia legata ad Oath. Durante le fasi iniziali della lavorazione del gioco ero bloccato perché non riuscivo nemmeno a esprimere a parole che potessero spiegare quale fosse elemento strategico del gioco. Così ci siamo seduti e abbiamo giocato a Medici di Reiner Knizia e quando ho giocato a quel gioco, ero semplicemente stupito di come fosse in grado di mantenere questa tensione tra la tattica, la strategia e il suo bellissimo design.
In generale ogni volta che gioco ad un gioco in scatola mi stupisco di quanto siano intelligenti i designer che lavorano oggi. Quindi c'è una risposta breve alla domanda perché trovo che una delle cose più importanti che sento di poter fare come designer sia interpretare il lavoro degli altri e pensarci seriamente. Quando inizio a lavorare su un design, il primo passo è giocare a tutti i giochi che riesco a trovare che sembrano avere qualcosa a che fare con il mio progetto in una sorta di ricerca sul il campo. Essere attenti a quei momenti intelligenti fa parte dell’arte del design: credo che i giochi siano una sorta di conversazione ed essere un buon oratore in grado di ascoltare le idee di altri e condividere poi le sue.
Cole Wehrle: i giochi preferiti e il futuro
Quali sono i tuoi 5 giochi preferiti?
Mi hanno fanno questa domanda qualche volta e credo di non aver mai risposto allo stesso modo, quindi anche questa volta darà una top five diversa. Il primo gioco è First Contact, una sorta di gioco sui nomi in codice. Questo è un gioco collaborativo di deduzione in cui lo scopo è quello di comunicare e imparare una lingua. Trovo sia meraviglioso con un design fantastico, specialmente da giocare con persone che non parlano tutte la stessa lingua. Un vecchio gioco che amo molto è Titan un gioco di guerra di Avalon Hill, con un bellissimo sistema numerico, molto elegante e sbalorditivo. Amo i giochi con i treni, sono un grande ammiratore del lavoro di Francis Tresham e e tutti gli altri autori della serie dei 18xx: i miei preferiti sono 89, 30, 60 e 41 e Age Of Steams. Per finire, siccome siamo in Italia includerò Clans di Leo Colovin, un gioco di deduzione profondamente sottovalutato, ma meraviglioso.
Puoi dirci su cosa stai lavorando in questo momento?
Certamente. Al momento sto finendo John company, che sarà il mio prossimo gioco storico. Solitamente il lavoro su questo genere di giochi mi impiegano circa tre anni. John Company sarà il seguito di PAX, il mio gioco sull'Afghanistan. Questo gioco coprirà la compagnia britannica dell'India orientale. John Company mi impegnerà per diversi mesi e speriamo che possa essere localizzato anche in Italia. Per Leader invece sto lavorando a un gioco spaziale che condivide alcuni elementi con Oath e alcuni di Root, ma molto più facile di entrambi e con un aspetto più pop e appariscente. Sono molto entusiasta di questo nuovo gioco perché avrà un aspetto pazzesco: Kyle si è ispirato ai fumetti di fantascienza francese degli anni '60 o '70 in stile Mobius.