Nomadland: recensione del film vincitore agli Oscar

La nostra recensione di Nomadland, il film favorito alla corsa agli Oscar 2021

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a cura di Simone Soranna

Presentato in anteprima mondiale alla scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia, dove tra l’altro si aggiudicò il premio più prestigioso, Nomadland ha iniziato un cammino costellato da numerosi riconoscimenti ed è approdato alla notte degli Oscar come il titolo favorito. Il 25 aprile, come anticipato agli ultimi Golden Globes, il film diretto da Chloé Zhao è stato insignito con gli Oscar come Miglior film, Migliore regia e Migliore attrice protagonista. Chloé Zhao è entrata nella Storia come la seconda donna a vincere la statuetta nella categoria relativa alla miglior regia.

Homeless o Houseless?

Nomadland racconta la storia di Fern, una donna di mezza età rimasta vedova che a una vita sedentaria e stabile preferisce prendere il largo lungo la strada, vivendo nel suo camper e spostandosi di città in città. Gli incontri, i tramonti, i luoghi e i lavori nei quali di volta in volta la donna si imbatterà costituiranno il bagaglio della sua esperienza, della sua esistenza.

In uno dei passaggi più significativi del film, mirato a restituire il carattere della protagonista, Fern non si definisce homeless (senza tetto), ma houseless (senza casa). La differenza è sottile (in inglese home e house sono sinonimi seppur abbiano connotazioni lievemente diverse) ma fondamentale. In effetti la donna una casa la ha eccome: il suo furgone. Si tratta però di un’abitazione poco convenzionale, limitata e che viaggia su quattro ruote. La personalità di Fern è una personalità al limite, marginale, che vive al di fuori di ogni preconcetto. Una personalità, insomma, che non trova casa nell’America contemporanea.

Una lettera d’amore

Così, Nomadland si trasforma in una lettera d’amore a cuore aperto nei confronti di un Paese sempre più lontano, distante (fate attenzione a come la regista usa gli spazi nel film, raccontano tanto di questo scollamento). Il grande e glorioso Ovest, il far west a cui tutti noi ambiamo grazie soprattutto all’epica cinematografica, viene attraversato in lungo e in largo da questo film on the road privo di meta. Lo scopo è proprio la strada, il viaggio, non la sua destinazione.

Nomadland riesce a fotografare perfettamente lo stato d’animo di una donna, di una comunità, di una nazione sempre più smarrita e disorientata. Un Paese ormai privato delle sue radici, che ha bisogno di recuperare il suo passato, tornare alle origini per provare a riscoprirsi. In Nomadland si respirano eccome gli effetti della politica di Trump. Il film è una sorta di elegia alle minoranze, agli emarginati e al senso di accoglienza cui forse un tempo gli Stati Uniti erano abituati ma di cui oggi risultano completamente privi. Nomadland è quindi la messa in scena di uno Stato che sa benissimo qual è il tetto sotto il quale ripararsi, ma non sa più a quale casa appartiene.

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Fern diventa così il simbolo ideale, la sintesi massima degli Stati Uniti d’America a noi più contemporanei. Una donna sola, con la testa sulle spalle e pronta ad affrontare continui cambiamenti pur di trovare il proprio equilibrio. Frances McDromand è bravissima nella parte. L’attrice riesce a restituire tutte le incertezze e le sfumature di un’esistenza precaria, ma che non si cura della stabilità. L’importante è continuare a sorprendersi, di ogni singolo momento, ogni istante, incontro o parola che si possano incontrare lungo la strada.

Nomadland & Soul

In questo senso è molto curioso notare come il messaggio alla base di Nomadland non sia poi così lontano da quanto esplicitamente tematizzato nel più recente tra i film Pixar, Soul. Lì, un musicista frustrato per via degli insuccessi della sua carriera professionale riscopriva il valore della semplicità, della vita che si manifestava in quanto tale, non come percorso finalizzato a uno scopo da raggiungere. In Nomadland, il viaggio intrapreso da Fern è praticamente il medesimo.

Forse non è quindi un caso che entrambe le pellicole facciano capo a Disney (Nomadland nello specifico è una produzione Fox che però da qualche tempo è stata acquisita dalla casa di Topolino). Ragione per cui sarà possibile vedere il film dal 30 aprile proprio sulla piattaforma streaming Disney+. Sembra dunque che dopo molte decadi in cui Disney ha raccontato storie incentrate sull’affermazione di sé, sul raggiungimento di un obiettivo e il realizzarsi di un sogno covato a lungo, senta ora l’esigenza di fermarsi. L’idea è provare a fare un passo indietro, valorizzare ogni singolo istante e cercare di tematizzare questo messaggio tanto per i bambini, quanto per gli adulti.

Il film giusto al momento giusto

Infatti Nomadland è un titolo profondamente autoriale, scritto e diretto da una giovane regista che ha già dato prova di saper sposare uno sguardo unico e interessante (il precedente lavoro, The Rider, è un piccolo gioiello) e riuscire a comunicare con la forza delle immagini. Così, anche questo suo nuovo lungometraggio cerca maggiormente il consenso del pubblico più cinefilo, facendo leva su immagini di rara potenza e silenzi contemplativi nei quali smarrirsi.

Nomadland è il film giusto al momento giusto. In un’annata dove il grande spettacolo cinematografico si è dovuto fermare e dove i velocissimi cambiamenti sociali stanno spostando gli equilibri del mercato dell’intrattenimento, questo lavoro si inserisce perfettamente nelle logiche più contemporanee arrivando a essere il front runner per eccellenza alla corsa per l’Oscar. Probabilmente qualche anno fa sarebbe stato impossibile pronosticare un simile successo, oggi invece i più appassionati tra i cinefili potrebbero esultare e soprattutto sperare in un’attenzione diversa del mercato verso questo genere di prodotti. Tuttavia, seguendo l’esempio di Fern, forse è anche inutile guardare al domani cercando di tracciare la strada: è più corretto percorrerla senza troppe aspettative e vedere dove sarà lei a condurci.

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