Moonage Daydream, recensione: David Bowie come chiave di lettura dell’artista e dell'essere umano

Moonage Daydream disegna un viaggio onirico, psichedelico e surreale all'interno della visione di un artista che continua ad affascinare.

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a cura di Nicholas Massa

Chi era davvero David Bowie? Proprio dall’impossibilità di dare una definizione di questo artista si genera l’intera riflessione e narrazione di Moonage Daydream, docufilm del 2022 diretto, montato e prodotto da Brett Morgan. Perché c’interessa così tanto comprendere la reale identità di un artista? Come mai vogliamo in tutti i modi definirlo seguendo dei canoni per noi estremamente familiari, così da omologarlo in qualche modo? La verità è che non ve n’è alcun bisogno, dato che l’artista, di per sé, non può essere definito in alcun modo, soprattutto se si utilizzano le etichette più classiche. Nel corso della sua carriera Bowie si è trasformato più e più volte, e questo suo approccio all’arte non ha mai disturbato troppo i suoi fan, destabilizzando però continuamente l’opinione comune che media e soprattutto detrattori avevano nei suoi confronti. Il suo approccio all’arte ritorna sempre in maniera differente, mai immobile nel tempo o fermo al successo facile di una canzone che sale la difficile china delle vendite e delle classifiche, portando avanti un approccio estremamente connesso alla ricerca di se stesso, del suo essere e di tutte quelle sensazioni pronte a manifestarsi senza alcun elemento ad imbrigliarle.

Moonage Daydream quindi non si limita a seguire le gesta di Bowie, anche perché non è un docufilm dalle dinamiche narrative classiche, piuttosto ne racconta la storia seguendo alcuni ragionamenti e guizzi visivi perfettamente connessi con il materiale di partenza, fatto di musica, immagini di repertorio, riprese dal vivo, coadiuvandosi con le parole stesse di Bowie a scandire ogni sviluppo e passo in avanti, fino a muoversi in parallelo con quelli che sono i suoi ragionamenti, trasformandone. Il potenziale verbale, dunque, pienamente espresso in immagini e suoni e colori.

Così Brett Morgan prende tutto questo materiale e lo trasforma in una vera e propria esperienza che avvolge del tutto, impattando direttamente sull’occhio di chi sta guardando atta non soltanto a definire l’artista (che alla fine ne fuoriesce più sfuggevole di prima), ma l’essere umano stesso che in qualche modo diventa una voce al di sopra del coro, facendola indelebilmente sua, abbracciandola nel profondo di un sentimento che affiora sia nei momenti più celebri che nei più minuscoli dettagli figurativi e musicali.

  • In occasione dell'uscita del docufilm uscirà anche un album omonimo al cui interno, oltre ai vari brani, sono presenti anche delle chicche inedite. Il tutto è acquistabile su Amazon.

Moonage Daydream: fra sogno e realtà

Il titolo stesso di questo docufilm, in uscita nelle sale italiane il 26, 27 e 28 settembre con la possibilità di vederlo dal 15 al 21 in IMAX, suggerisce lo stile generale di una narrazione che si fa immediatamente riflessione sull’arte e sull’artista. In molti hanno tentato di definire David Bowie in qualche modo, fallendo miseramente. La prova di ciò la troviamo nelle tante interviste che nel corso degli anni gli sono state fatte e in cui gli è stato chiesto di definire del suo stile, ad esempio, o della scelta di truccarsi, o dei vari personaggi che interpreta sul palco, sull’arte fuori dal palco. Se dovessimo basarci solo ed esclusivamente sulle sue dichiarazioni nel corso degli anni ne uscirebbe sì il ritratto di un essere umano che ha vissuto alcune fasi importanti della sua vita (dentro e fuori dall’arte), senza però riuscire a vedere null’altro.

Questa è la magia dietro a un personaggio come David Bowie che nel corso dei decenni è riuscito a trasformare sempre sia se stesso che la sua musica, che la sua arte, senza lasciarsi mai limitare dagli eventi. La sua creatività estremamente sfaccettata nasce dalla dimensione scritta (ha continuato per tutta la vita a definirsi uno scrittore e molte delle scelte che ha preso sono legate proprio alla sua scrittura) per poi muoversi continuamente sia attraverso la musica, che le varie arti figurative (video, pittura, scultura, danza, recitazione…). Il suo continuo sperimentare è sempre riuscito a toccare le corde del grande pubblico che si è ritrovato nelle sue opere, anche se resta davvero complicato comprendere il gigantesco impatto che ha avuto in ogni settore.

Con Moonage Daydream il regista parte da alcune dichiarazioni di Bowie e da quello che era il suo stile, costruendo una narrazione che oscilla continuamente fra la dimensione del reale e quella onirica, mantenendo una certa linearità narrativa nel rappresentare la strada che l’artista ha percorso nella sua vita, senza però cadere mai nel didascalico.

L’insieme d’immagini che utilizza Morgan per raccontare David Bowie sembra quasi che siano state scelte da Bowie stesso, allineandosi, in un certo qual modo, con il modus operandi del cantante e le sue parole, e i video, e le interviste, in un inseguimento concettuale continuo verso una figura che fugge via dalle dita. Il tutto mantenendo una certa coerenza con lo stile del docufilm classico, reinterpretandone, però, continuamente le potenzialità espressive.  Ne fuoriesce, così, un resoconto della vita dell’artista attraverso cui è possibile farsi un’idea nei suoi confronti, anche se le possibilità di lettura di alcuni frangenti narrativi ampliano a dismisura i limiti semantici del linguaggio adottato da questo regista che modella continuamente un materiale alla base molto complesso.

 

C’è vita su Marte?

Dal punto di vista formale Moonage Daydream da il meglio di sé, dimostrando tutto il valore dello sguardo di chi ci sta lavorando, risultando nell’immediato un vero e proprio “Sogno ad occhi aperti”, come recita il titolo stesso. Non un docufilm che si limita a raccontare la storia del personaggio al suo centro, ma un vero e proprio viaggio dalle fattezze oniriche, espressioniste ed astratte, attraverso cui imparare a conoscere una personalità complessa e sfaccettata.

Da qui il secondo valore fondamentale di questo lavoro. Morgan non ci parla, infatti, esclusivamente attraverso i fatti biografici di Bowie, ma anche attraverso la sua musica e le testimonianze figurative dirette della sua vita. Fuso a tutto questo troviamo un montaggio al cui interno sono inseriti momenti strettamente legati sia alla visione dell’artista che al cinema stesso come mezzo, plasmando una visione che si serve di momenti profondi della storia di questo mezzo per evidenziare il valore stesso del suo soggetto in esame.

Le immagini e la musica in Moonage Daydream non sono semplicemente asservite alla storia di David Bowie, ma diventano ben presto un mezzo a sé stante attraverso cui aprire una serie di riflessioni indipendenti che partono da alcune considerazioni dell’artista, per poi trovare una loro strada parallela e figurativa perfettamente coerente con tutto il resto. Come se il documentario stesso non dovesse limitarsi soltanto a riportare la realtà, ma, partendo da questa, costruire qualcosa anche di personale seppur connesso al materiale di partenza. Un mezzo attraverso cui dire qualcosa quindi, non soltanto ricostruire qualcosa che è successo. In questo Morgan è un maestro, delineando un vero e proprio viaggio che arriva a toccare anche corde profonde, ampliando a dismisura le potenzialità espressive del tutto con una lente d’ingrandimento che analizza: l’umanità, l’arte, la musica, il denaro, la scrittura, la creatività, la vita, la morte, il senso delle cose e della vita, il significato dietro alle cose che facciamo, l’accettazione di noi stessi, il modo in cui la società ci vede e tenta continuamente di assorbire…

Da quale universo viene?

Alla fine della visione non ci resta che l’essere umano, una persona che nel corso della sua vita ha sempre cercato di esprimere se stesso al meglio delle sue possibilità, cercando di riempire un particolare vuoto creativo interiore. Moonage Daydream non si limita alla figura dell’artista nella sua narrazione, andando oltre e cercando di carpire anche i dettagli dell’essere umano Bowie che si cela dietro alle dichiarazioni, alle riflessioni, alle canzoni e alle frasi d’effetto.

Facendo questo contestualizza un minimo non soltanto il soggetto dell’indagine filmica ma anche tutto ciò che lo circonda, anche a livello di minimo contesto temporale, con questa macchina da presa che si sofferma tantissimo sui fan ai concerti, sulle loro reazioni in primo piano, sulle loro idee in merito a Bowie e su tutta una serie di riflessioni in merito agli anni in cui questo artista ha continuato ad esibirsi, trasformandosi di volta in volta.

 

L’obiettivo alla base del progetto non è tanto cercare di definirlo in qualche modo, ma quello di creare un omaggio che si fa artistico, espressivo e spirituale nelle sue forme, costruendo una narrazione composta dalla stessa sostanza di cui è composta la voce narrante alla sua base, e che sembrano quasi muoversi insieme seguendo una traiettoria tutta loro in uno spazio difficilmente raggiungibile da tutti. Distante eppure vicino. Familiare eppure estraneo, irraggiungibile e sospeso da qualche parte, senza alcuna possibilità di toccare una definizione semplicemente… terrena.

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