Mike, recensione: un Mike Tyson controverso per Disney Plus

Mike è la miniserie di Disney Plus sul grande campione Mike Tyson. Una storia inedita e controversa che avrà raggiunto il suo obiettivo?

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a cura di Giovanni Arestia

Lo showrunner Steven Rogers e il regista Craig Gillespie sono i talenti creativi dietro Tonya, un film che ha portato una ventata di aria fresca ed energica a quello che avrebbe potuto essere un film biografico standard su una pattinatrice sul ghiaccio. I due si sono, quindi, riuniti per una miniserie sulla vita di Mike Tyson realizzata per Disney Plus, con lo stesso approccio fatto di un umorismo oscuro e uno stile narrativo esuberante già utilizzato nella pellicola del 2017. Come Tonya, quindi, anche Mike è frenetico e scontroso, con uno stile decisamente cinematografico e un tono sorprendentemente emotivo rispetto al suo predecessore, rompendo più di una volta la quarta parete e divenendo spudoratamente consapevole di sé e brutalmente onesto nella sua rappresentazione di Tyson, ma perdendo a tratti il suo appeal quando non riesce a seguire un filo conduttore che possa far comprendere allo spettatore il senso di ciò che sta osservando.

Mike: un racconto troppo umano per un campione sportivo

Come sicuramente saprete, Mike Tyson è stato uno dei pugili più famosi e vincenti della storia divenuto celebre non solo per le sue numerose vittorie, ma soprattutto per aver condotto una vita molto movimentata e decisamente controversa. Il suo passato è fatto di talmente tanti tasselli tutti diversi tra di loro che per unirli che solo una una serie biografica avrebbe potuto mettere insieme coerentemente. Non sarà stato semplice farlo perché uno degli aspetti più complessi è stato strutturare la serie affinché non solo rendesse giustizia alla storia di un personaggio ancora in vita, ma che fosse anche coinvolgente per qualsiasi tipologia di spettatore. In secondo luogo era necessario ritrarre autenticamente il campione di boxe dei pesi massimi con tutti i suoi pregi, ma soprattutto i suoi difetti e le innumerevoli debolezze. La serie Disney Plus riesce a perfezionare tutte queste caratteristiche, regalando un prodotto intelligente e funzionale, ma non perfetto, anche grazie all'ottima performance di Trevante Rhodes nei panni di Tyson.

La serie inizia con una chicca di Rogers, ovvero l'utilizzo dell'intervista autobiografica di Tyson del 2017 come collante che tiene insieme l'intera produzione. Il campione di boxe viene mostrato in una scena fittizia mentre racconta la sua vita, parlando liberamente al suo pubblico tra la folla e, allo stesso tempo, anche agli spettatori a casa. È onesto e aperto sui tanti errori che ha commesso nel corso degli anni, dimostra di essere consapevole di sé e, sempre grazie a Rogers, anche abbastanza affascinante in quello che può essere definito un one-man show. Tyson, inoltre, sussulta per alcune delle sue scelte più imbarazzanti o controverse, ma riflette sempre sul perché ha preso quelle decisioni e su come determinati eventi della vita le abbiano influenzate. La narrazione interconnette le numerose linee temporali prese in considerazione, anche se la serie torna rapidamente a una struttura cronologica, a partire dalla sua orribile infanzia, per poi passare alla sua adolescenza e all'età adulta.

Ottime interpretazioni, ma il centro del bersaglio?

Impossibile, poi, non menzionare l'incredibile performance di Rhodes, forse a volte un po' troppo accentuata, ma che riesce a mostrare in maniera efficace il complesso carattere di Tyson. Riusciamo comunque a osservare anche un Tyson bambino vittima di bullismo e un Tyson adolescente criminale. Rhodes, comunque, si vede maggiormente su schermo ed è interessante osservare il suo grande lavoro sulla voce e sull'aspetto i quali riescono a donare anche una maggiore vulnerabilità e umanità all'atleta. Anche il suo rapporto con il manager e mentore Cus D'Amato (Harvey Keitel) è meravigliosamente rappresentato, fornendo uno strato sorprendentemente emotivo allo spettacolo. Keitel, infine, è magistrale come allenatore eccentrico e anziano, con una performance senza sforzo che merita comunque un elogio insieme al lavoro di Rhodes.

Tuttavia Mike soffre di un grave problema: la mancanza di una vera identità. La serie, come accennato nell'introduzione, rompe spesso la quarta parete partendo da una domanda iniziale, ovvero "Chi sono?" a cui cerca di rispondere in otto episodi dalla durata di trenta minuti. Purtroppo, però, la risposta non arriverà mai perché il tutto viene raccontato sfruttando una rapida carrellata di eventi, più personali che sportivi, già introdotti dagli emblematici titoli degli episodi. C'è spazio per raccontare del matrimonio con l'attrice Robin Givens interpretata da Laura Harrier, di presentare Desiree Washington (Li Eubanks), una concorrente di un concorso di bellezza che venne violentata da Tyson e per la quale il pugile scontò tre anni di carcere e di tanti altri delicati eventi. Alla fine, però, c'è poca caratterizzazione sportiva sul personaggio e lo spettatore si ritrova a farsi un'altra domanda: "Perché dovrei essere interessato alla figura di Tyson?".

Conclusioni

Mike Tyson, in conclusione, è stato un personaggio bruto e tragico, ma anche un grande campione di pugilato. Di quest'ultimo aspetto c'è poco nella miniserie Mike di Disney Plus che invece preferisce mostrare il lato più personale e umano del pugile.

Una vita piena di problemi lo hanno portato ad essere violento e spesso anche usato e maltrattato da chi gli è più vicino (purtroppo anche da chi ha realizzato questa miniserie che, secondo l'accusa dello stesso Tyson, non ha contattato il pugile per acquistare i diritti sulla sua storia personale). Per questo motivo vengono raccontate anche storie d'amore dannate e collaborazioni lavorative dolorose. La miniserie non lascia nulla di intentato, tuttavia lascia allo spettatore l'amaro in bocca e voglioso di saperne di più per capire perché dovrebbe empatizzare per un personaggio così negativo che, nella stessa serie, viene rappresentato come se fosse un gangster alla Quei bravi ragazzi. Mike, quindi, è un resoconto nudo e crudo della vita del controverso pugile che intrattiene, sbalordisce, ma si conclude in maniera troppo frettolosa dimenticando per strada qualche tassello di troppo, soprattutto sulla carriera sportiva di Tyson.

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