Makanai, recensione: il Giappone segreto e saporito di una maiko

Una storia delicata, saporita, tra kimono e udon: Makanai è il racconto autentico della cucina giapponese e delle sue misteriose geishe.

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a cura di Elisa Erriu

Se doveste chiedere a chiunque quale simbolo gli venga in mente a proposito del Giappone, molto probabilmente riceverete come risposta il Monte Fuji, i kanji, i torii (gli alti portali rossi) o una geisha col suo splendido kimono. Forse i più coraggiosi penserebbero a un samurai o anche a una katana e i più romantici proporrebbero una gru realizzata in origami. Tutti loro avrebbero ragione, ma tutti loro stanno dimenticando un altro elemento fondamentale del Giappone: la cucina.

L'arte, in Giappone, è una delle sfumature più importanti del vero spirito nipponico, l'arte è ovunque nel paese del Sol Levante, soprattutto in cucina. Makanai, la nuova serie Netflix in uscita il 12 gennaio, è un omaggio delizioso alla cucina giapponese più segreta, quella che si prepara ancora oggi in casa, quella che in occidente è difficile vedere e conoscere, quella cucina che mangiano persino le misteriose maiko, le aspiranti geishe. Nove episodi deliziosi di circa 30 minuti ciascuno, tra azuki, udon e croste di pane fritte.

Makanai: come cucinare alle maiko

La storia di Makanai, diretta da Hirokazu Kore-eda, palma d’oro a Cannes nel 2018 per Un affare di famiglia, ha origine dal manga omonimo di Aiko Koyama e un po' come aveva fatto Yaro Abe col suo La taverna di mezzanotte, rappresenta storie, personaggi ed emozioni di un intero paese attraverso i piatti e il modo in cui vengono serviti. Potremmo, infatti, riassumere Makanai come un perfetto sodalizio tra il celebre Memorie di una geisha e il proprietario dell'izakaya di Shinjuku realizzato da Abe, che ha dato vita a una delicatissima serie sempre targata Netflix. Ma per chi non conoscesse questi due titoli, ricchi di autentica cultura giapponese, serve approfondire la trama.

All'inizio di Makanai, arriviamo in una città rurale di Aomori, nella parte alta della regione del Tohoku che si affaccia di fronte all'isola di Hokkaido. Qui facciamo la conoscenza delle giovani Kiyo (Nana Mori) e Sumire (Natsuki Deguchi), che si siedono a tavola per gustare un piatto insieme alla nonna. Si tratta del piatto tradizionale locale della zona meridionale della prefettura di Aomori, il "Nabekko-Dango", uno gnocco di farina di riso accompagnato con un impasto di fagioli azuki. Se non aveste saputo che questo piatto è un simbolo caro di questa città, vi sarebbe sembrato che le tre donne stavano mangiando soltanto una brodaglia con dei ravioli tondi. Ed è questa l'essenza, invece, di Makanai, già presentata in dieci minuti scarsi della prima puntata: parlare dell'autentica tradizione nipponica, senza dire una parola, senza aggiungere un sottotitolo che spieghi. Servire e basta.

Tra kimono e udon

Le due ragazze partono per Kyoto con l'intenzione di voler diventare maiko, le apprendista geiko o geisha. Nel corso degli episodi, assistiamo a come e perché Kiyo decida di scegliere un'altra strada, al contrario di Sumire che, nel tempo, si dimostra sempre più all'altezza di questa elegante figura. Sumire possiede la naturale compostezza e la giusta determinazione per diventare una maiko, mentre Kiyo è goffa, inadatta. Incapace a servire come una geisha, ma perfetta a servire per le geishe.

Diventa così una makanai, la responsabile della cucina dentro l'okiya, la casa delle geishe. Deve preparare, d'ora in avanti, i pasti speciali di circa una mezza dozzina di maiko e di chi possiede la dimora. Episodio dopo episodio, le vicende e i personaggi vengono accompagnati, consolati e deliziati da ricette tradizionali. Non c'è il rigore formale della cucina kaiseki, la più alta forma culinaria nipponica tipica proprio della cucina di Kyoto, i piatti di Kiyo non sono esteticamente raffinati, sono il tipico "comfort food" giapponese, preparato in ogni casa.

I pomodori preparati secondo la ricetta della nonna, le frittate con le uova, gli oyakodon e le melanzane: Makanai non fa della trama la sua caratteristica principale. Tutto scorre con la malinconia, l'accettazione e l'arte composta di un'okiya, dove sentimenti e dialoghi fanno fatica a essere espressi. Gli amici di una vita preferiscono comunicare tra risate e ricordi, un barista invece si esprime attraverso i suoi cocktail. C'è poco spazio agli approfondimenti e persino le regole delle maiko, quando sembrano obsolete, non vengono dimostrate come tali, ma lasciano allo spettatore cogliere le delicate sfumature dei riferimenti.

Eppure ciò che rende questa serie imprescindibile per chi ama la cultura orientale, è proprio il suo gusto della quotidianità giapponese. Sarà pure un sapore che forse molti stranieri non conoscono e per questo molti potrebbero non cogliere come meriterebbe la serie. Ma non c'è un solo episodio che non faccia venir voglia di continuare. E di andare oltre l'assaggio.

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