Lucca Comics & Games 2019: Intervista a Lorenzo LRNZ Ceccotti
In occasione del Lucca Comics 2019 abbiamo intervistato Lorenzo Ceccotti, in arte LRNZ. Poliedrico artista e straordinario copertinista della serie "Il Confine" per Sergio Bonelli Editore.
Tra i protagonisti della scorsa edizione di Lucca Comics, per cui firmò una delle locandine più belle e concettualmente impressionanti mai viste per una convention del fumetto (e non), Lorenzo Ceccotti si è prestato anche quest'anno ai nostri microfoni, in un'intervista anti convenzionale che gli abbiamo strappato direttamente tra le mura del suo appartamento lucchese, tra un tè caldo e una dedica sulla quarta del primo volume de "Il Confine", la nuova superlativa serie Sergio Bonelli di Mauro Uzzeo e Giovanni Masi per cui LRNZ si occuperà delle copertine.
Come sempre, ci siamo divertiti a chiacchierare con Lorenzo in modo del tutto anticonvenzionale, partendo sì da Il Confine, ma andando poi a indagare su quelle che sono le sperimentazioni di un artista che, a nostro giudizio, può già annoverarsi tra i massimi esponenti del disegno in Italia e in Europa. Il prosieguo ideale di una chiacchierata cominciata lo scorso anno e che, magari, continueremo anche alla prossima e (già) attesissima Lucca 2020!
L’anno scorso hai realizzato una locandina per Lucca Comics & Games magnifica, a partire dal concept. Senza entrare troppo nel dettaglio, da artista ed autore, come hai vissuto la questione della locandina di quest’anno, che ha creato un certo scalpore tra la stampa di settore, e i fan?
Possono non rispondere a questa domanda? La mia opinione la avevo espressa in un post su Facebook, che si può ancora trovare cercando bene, è pubblico. Personalmente, preferisco parlare delle mie cose, non voglio entrare nel merito del lavoro altrui. La cosa importante per me è Lucca Comics, che è una delle cose che più adoro, conta solo questo.
Parliamo di Ghost in the shell. Tu hai un atteggiamento reverenziale per quest’opera o non ci avresti lavorato ora. Ma quando si ha l’occasione di lavorare a qualcosa di cui si è appassionati, come ci si approccia? Credo sia impossibile non avere la paura di fare qualche gigantesco errore, o no?
È così, hai ragione. Io ho avuto una fortuna enorme: mi è sta data l’opportunità di lavorare a Ghost in the Shell, ma farlo di corsissima: o lo si faceva subito o non lo si faceva. La parte operativa, scrittura e disegno, si è svolta in venti giorni, per trenta pagine. Generalmente quando devi fare un fumetto, ti prendi un giorno a pagina. Considera che il vero scoglio è stato recuperare i materiali, poi abbiamo avuto la sceneggiatura bloccata per parecchio tempo a causa dell’approvazione della scrittura, e quando ci è stato detto ‘Ok lo facciamo’ avevamo tempi di lavoro ristretti. Però è stato un bellissimo progetto. Anche se la fase di scrittura è stata lenta, l'abbiamo fatta con Brian Fletcher, scrittore canadese bravissimo, non a caso nominato anche per il Premio Eisner, rispettato nel giro del fumetto seriale americano. Io ho avuto questa occasione proprio grazie a lui, che è appassionato di Golem, al punto da lodarlo pubblicamente. Quando mi ha chiamato, mi ha confessato che mi contattava perché stava scrivendo una storia per me, ma soprattutto perché ha apprezzato come ho scritto Golem, quindi mi ha proposto di scrivere la storia assieme. Il plot è opera sua, come l’idea di avere diverse Motoko Kusanagi, ispirate alle diverse versioni viste del personaggio. La sua intuizione straordinaria è una riflessione sul rapporto tra il ghost (lo spirito) e lo shell (il corpo): considerato che un cyborg è fatto da ghost e shell, ci siamo chiesti se un ghost che viene trasferito da uno shell all’altro sia sempre la stessa persona o meno. Da qui abbiamo riflettuto sulle diverse incarnazioni di Motoko, chiedendoci se esse siano lo stesso shell interpretato da diversi autori, o siano realmente shell differenti con lo stesso ghost. Fletcher parte dall’assunto che forse sono davvero shell diversi, ma lascia il dubbio per tutto il tempo. È una riflessione interessante, perché la verità è che quando un disegnatore interpreta un personaggio, a livello metalinguistico, ne sta creando uno nuovo.
Quindi avete scritto un Ghost in the shell molto umanistico?
Sì, lo è. Infatti c’è questo percorso interiore di Motoko, che guardando in sé stessa ritrova tutte le personalità che hanno attraversato il suo spirito. C’è uno scrittore, di cui ora non ricordo il nome, che diceva che se noi vediamo un uccello maestoso, con un piumaggio stupendo, vediamo in esso tutta la grandezza divina all’interno dell’animale, partendo dalla superficie. Se vedi una bella volpe, e ne ammiri il pelo, non verrebbe mai da dire che sei superficiale perché non pensi alla sua interiorità, vedi solo l’oggetto, il corpo…
Ecco, secondo te perché esiste questa differenza tra gli esseri umani e tutto ciò che non è l'essere umano?
Beh, perché noi abbiamo un livello comunicativo che avviene in una maniera sostanzialmente unica, che consente di trasferire le idee e le sensazioni.
E secondo te, dal punto di vista filosofico, questo non vuol dire che l’esser umano si reputa superiore a tutto ciò che lo circonda?
Non è necessariamente vero, ma sicuramente ribadisce l’unicità dell’essere umano. Insomma, l’uomo è una bestia rara, nulla da dire. Ma c’è anche da dire che una cosa che è stata compresa, in maniera piuttosto chiara, è che spesso si dice che l’uomo possiede il linguaggio, è il solo ad avere la comunicazione.
Sai che io non ho mai creduto a questa cosa?
Penso fai bene, perché infatti è sbagliato. Anche i cani hanno il linguaggio, basilare, ma lo hanno. Ma l’uomo, in realtà, non usa il linguaggio come forma di comunicazione, in prima istanza lo utilizza come forma di pensiero. Se tu la metti sotto questo punto di vista, l’uomo è arrivato a comprendere le onde gravitazionali da casa, e con tutto il rispetto che si può avere per i passerotti, loro mica lo sanno. L’uomo sa ha una comprensione del suo pensiero, è una forma di speculazione lontana da qualsiasi altro essere vivente. Pensaci, fosse diversamente, gli animali non morirebbero in modi strani, e soprattutto loro non sono in grado di concepire la violenza nel modo in cui riesce a realizzarla l’uomo. La bomba atomica l’ha tirata solo l’uomo, che io sappia, anche perché se i macachi avessero l’atomica sarebbe un guaio!
Torniamo ai fumetti. Le copertine de Il Confine. Tu sei un artista che ha i suoi tempi, sei estremamente preciso, e - consideralo un complimento - molto metodico. Ho sempre pensato, però, che un copertinista abbia delle scadenze molto serrate e non mi sarei mai immaginato una persona come te, preciso e sempre molto impegnato, potesse mettersi alle prese con la realizzazione di copertine per una serie regolare.
Le copertine de Il Confine, onestamente, arrivano come un toccasana. Diversamente dal solito ora sto lavorando solamente al mio prossimo libro, che si chiamerà Geist Machine. In realtà, avevo la necessità di un lavoro tranquillo e con delle scadenze, anche per mantenere il contatto col resto del mondo. Quando ti chiudi in casa per un anno e mezzo poi ti senti impazzire a un certo punto. L’idea di dover uscire di casa, confrontarmi con un staff creativo figo, parlare con Giovanni Masi e Mauro Uzzeo, è stata un’ottima opportunità, che mi ha consentito di evitare la crisi da Jack Torrance! È stata una boccata d’aria che arriva mensilmente, più normale rispetto a lavorare su un libro.
Ma con Geist Machine, come siamo messi? Ne abbiamo già parlato anche in passato ma da allora non ho visto ulteriori aggiornamenti.
Dunque, Geist Machine ha un problema, cioè è diventato una saga di tre libri. Necessita di una struttura narrativa precisa come un orologio, se tu cambi una cosa nell’ultimo libro ti modifica anche il primo volume, e quindi li sto scrivendo tutti assieme, ed è una cosa estremamente complicata, ma sono quasi arrivato alla fine.
Ma dal punto di vista grafico hai già tutto in testa?
Sai, quando scrivi per te stesso, hai la fortuna di scrivere ciò che visualizzi, scrivi quasi per immagini. Hai in mente la sequenza, quando prendi in mano la tua scaletta non hai punti oscuri. Una sceneggiatura normale va prima letta e interiorizzata. Devi capire cosa ti stanno chiedendo ma il problema, anche se la interiorizzi, è capire come tradurre il tutto in immagine. Quello che mi stupisce dello scrivere per me è che ho sempre chiaro tutto, soprattutto il motivo del perché avvengono le azioni.
Realisticamente, quando ci vorrà per la realizzazione?
Almeno un anno, per la prossima Lucca arriverà il primo libro.
Tornando un attimo al Confine, possiamo dire che si tratti di una sfida ma anche di una sicurezza?
Assolutamente si. Il Confine è un po’ la mia base orbitante di salvezza. Per me è una novità, anche se in passato mi era capitato di fare le copertine tutti i mesi per Long Wei. Il Confine, però, arriva dopo tanti anni da quell’esperienza e ho la speranza di esser anche cresciuto artisticamente nel frattempo.
Nell’ultimo periodo ti stai dedicando molto a Twitch, posso chiederti il perché?
Sì, sto vivendo Twitch come quello studio su strada che avrei sempre voluto avere. In pratica, su Twitch mi siedo, lavoro, la gente può passare di lì vedendo ciò che faccio, interagire con me e la cosa mi da un grande sollievo.
Ma ti saresti mai aspettato che ti fermassero per dirti che ti seguono Twitch anziché che ti leggono da Golem?
Mai! Pensa che oggi mentre ero in dedica per Il Confine c’era gente che mi diceva che mi segue su Twitch ed era lì per quello. Fa ridere, significa che è una roba belle e che funziona. Considera che io non sto seguendo le regole di Twitch, eppure la gente si è affezionata e mi segue ugualmente. Non sto dando niente in cambio, non c’è un rapporto che si basa sul regalino, o sulla schedulazione di presenza. Mi collego quando voglio e la gente, semplicemente, arriva.
Ma secondo te, allora, come mai, almeno a livello europeo, Twitch rimane ancora principalmente legato al mondo dei videogiochi o, comunque, a tutto ciò che ruota intorno a quel settore?
Perché è un contenuto facilissimo da produrre. Quanto ci vuole a fare un disegno fatto bene? Parecchia fatica. Quanto ci vuole a finire Call of Duty? Probabilmente di meno. Il videogioco è un contenuto facile da produrre, non trovi?
Allora a questo punto ti chiedo: a a parer tuo perché un artista non dovrebbe essere su Twitch? E perché gli artisti che lo conoscono non ci si fiondano?
Allora, Twitch è un bel social network, perché ha rotto gli indugi su cosa può essere digeribile in video. Per dire, se tu ti metti fisso davanti al monitor e ti metti le dita del naso, diventi un canale seguito.
Te come ti spieghi, allora, il successo di quel canale Twitch che ha fatto il botto proponendo solo vecchi video di Bob Ross?
Bob Ross, però, ha una serie di motivazioni a suo favore che ne hanno decretato il successo. Se pensi a Youtube ha ancora degli aspetti simili al mondo televisivo, ragioni in termini di funzionalità del contenuto, devi crearti una grafica accattivante. Su Twitch, invece, ho trovato anche canali da milioni di utenti con gif rappezzate, con video assurdi come un coreano che nella sua cameretta mangia patatine e sghignazza. Eppure fa un milione di persone. Questa cosa mi intriga, perché è come se si fosse rotto il patto tra ciò che si pretende da un canale media ed il suo fornitore. Il discorso che faceva Umberto Eco sul fatto che si sono rotti i meccanismi di internet, in Twitch trova una nuova definizione. Questo può spaventare un artista, allontanandolo da Twitch. Se tu vedi che la cosa che ha più valore su Twitch è uno che si mangia le patatine, che non è sempre vero, creando più un rapporto personale che non sul valore del prodotto, ti spaventa. Ma ci sono artisti che invece su questo aspetto potrebbero essere perfetti, come Bevilacqua. Giacomo ha tutte le carte in regola per aprirsi un canale Twitch.