Silenzio, si gira
Sotto alla tenda, al riparo dalla pioggia, ma non dal vento, si vede la stessa scena una, due, cento, duecento volte, e quando dopo la quinta – enorme - tazza di caffé si sente la necessità di espletare un normale bisogno fisiologico, si diventa un sorvegliato speciale. Perché niente si muove liberamente sul set de lo Hobbit, niente si filma, niente si fotografa, niente si tocca e, per favore, tenete anche la voce bassa. Non oso immaginare quante carte ogni attore, tecnico o inserviente debba firmare per lavorare a un film del genere. Questo è anche il motivo per cui non ho potuto fare alcuna foto o ripresa dal vivo.
E poi a un tratto suona un tromba da stadio, tutti si fermano, scende il silenzio perché "ciak, si gira". Al segnale gli unici a muoversi e parlare sono gli attori, e anche noi, nascosti nella tenda fuori dal set, dovevamo stare in assoluto silenzio. Non importa se in quel momento stavano girando a decine di metri di distanza, questa è la regola, il sommo comandamento che tutti coloro che hanno varcato la sbarra d'entrata devono rispettare.
La grande battaglia è il punto focale del terzo film, come l'hai realizzata? Hai iniziato con la logistica generale, chi combatte con chi e quando, o hai scelto prima i movimenti degli umani come abbiamo visto nella scena di oggi?
Entrambe le cose. Voglio dire, Tolkien ha descritto la battaglia in termini strategici ed è ragionevole seguire il suo racconto. Siamo a Dale, una città strategica per la battaglia, e chi controlla Dale, controlla la battaglia. In questo caso è normale pensare al modo in cui abbiamo creato, ne Il Signore degli Anelli, le battaglie di Helms Deep e Minas Tirith, e durante la fase di editing si cerca di non rimanere a lungo con scene senza vedere uno dei personaggi principali. […] Anche se il campo di battaglia è enorme, la storia è sempre raccontata dai Gandalf, Bard, o gli altri personaggi, con le proprie relazioni e conflitti.
La macchina del film è enorme, non è fatta solo da attori e comparse, ma anche da un servizio mensa, un'infermeria, un'area costumi, un'area trucchi e soprattutto macchine pesanti e tecnici che si spostano assieme alla troupe. Luci, green screen (grandi tanto da fare da sfondo a un campo da calcio), alberi, muri veri e finti che creano sfondi, ma anche cieli reali o creati ad hoc in post produzione dagli specialisti degli effetti speciali. Stiamo parlando di milioni di euro, non c'è niente di piccolo e discreto.
Arriva l'ora di pranzo e, almeno per il sottoscritto, un altro mito sfatato. Attori di livello mondiale, comparse, inservienti e anche il sottoscritto, tutti a mangiare assieme, sotto la stessa tenda di plastica, calpestando lo stesso fango e sedendoci alle stesse fredde e sporche sedie di plastica. Per un esperto di questo mondo potrebbe sembrare tutto normale, ma credevo che le Star fossero servite e riverite, e per essere certo che non fosse solo una mia convinzione ho condiviso e trovato conforto in alcuni amici, colleghi e parenti.
Invece no, tutti assieme, chi a un tavolo chi all'altro, dove c'è posto, per mettere sotto i denti un boccone caldo, rigorosamente self service. Non c'è differenza, su questo set tutti si danno da fare, e non c'è il tavolo riservato ai pezzi grossi. Al momento del dolce - un paio di torte al pandispagna e crema abbandonate su un tavolo da parte alle macchinette automatiche del caffé - alzo gli occhi e scambio due chiacchiere con Ian McKellen in costume di scena. Gandalf che raccattava i pezzi sbriciolati della suddetta torta. Il minimo che potessi fare era servirgli una fetta e ringraziarlo, in maniera soave, per il personaggio che interpretava.