Il debutto de Lo Hobbit al cinema, otto anni dopo

A sei anni dalla conclusione e otto dal debutto, celebriamo oggi Lo Hobbit, la seconda trilogia ambientata nel legendarium di J.R.R. Tolkien.

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a cura di Adriano Di Medio

Con tutta probabilità, quello che ha fatto J.R.R. Tolkien non si ripeterà una seconda volta. Il grande Professore non solo è considerabile tra i padri del fantasy contemporaneo, ma è stato in grado di creare un universo sia approfondito che accessibile e popolare. Una mitologia che ha affascinato fin dalla sua uscita, ma che ha dovuto aspettare non poco prima di poter approdare al cinema. Dopo la storia dell'Anello, il primo film di Lo Hobbit, intitolato Un Viaggio Inaspettato, ha debuttato nelle sale statunitensi il 14 dicembre 2012.

https://www.youtube.com/watch?v=C3_RqRPF-OY

Con Il Signore degli Anelli si è andata definendo quella che tutti considerano tra le migliori (se non la migliore in assoluto) trilogia fantasy del cinema di tutti i tempi. Inevitabile che quindi, dopo tale grandissimo risultato, le attenzioni si siano spostate su quello che ne è prequel: Lo Hobbit. Anche in questo caso il lavoro è stato travagliato, generando una trilogia che, per quanto di assoluto successo, ha avuto anche i suoi spigoli. A sei anni dalla conclusione ed esattamente otto dal debutto, celebriamo il viaggio di Bilbo con un piccolo concentrato di riflessioni e curiosità su libro e film.

Lo Hobbit, un libro inaspettato

La casa editrice Allen & Unwin pubblica Lo Hobbit il 21 settembre 1937. Come molte altre opere d’esordio, il libro ha avuto delle origini un po’ “strane”. In sé il Professore ha sempre ha sempre confermato di avere un ricordo abbastanza chiaro riguardo l’ispirazione iniziale. In una sua lettera scritta nel 1955 racconta:

Tutto quello che ricordo su come abbia iniziato a scrivere Lo Hobbit era che ero seduto al tavolo a correggere dei paper di letteratura inglese, oppresso dal permanente senso di stanchezza dell’accademico con figli e in ristrettezze economiche. Su una pagina bianca a un certo punto ho scritto: “In un buco nel terreno viveva uno hobbit.” Non sapevo e tuttora non so perché l'ho fatto. Non ho scritto altro per molto altro tempo, e per molti anni non sono riuscito ad andare oltre il disegno della mappa di Thror. Ma è iniziato a divenire Lo Hobbit all’inizio degli anni Trenta…

(tratto dalla prefazione di Lo Hobbit di Christopher Tolkien, contenuta nell’edizione inglese edita dalla Harper&Collins, p.V; trad.mia)

Quelle parole, “in un buco nel terreno viveva uno Hobbit”, sono così importanti che sono rimaste l’incipit del libro e, successivamente, anche del film. Ma nella descrizione del Professore probabilmente c’è tutta la magia dell’invenzione letteraria, del pensiero che si fissa nella testa e non se ne va finché appunto non cresce e sboccia.

E tale fu l’idea: nato come esperimento e sperimentazione di letteratura fiabesca e per l’infanzia, come tale venne proposto all’editore Allen & Unwin. L’aneddoto più famoso in questo senso è che l’allora proprietario della casa editrice Sir Stanley Unwin, per far “valutare” Lo Hobbit lo fece leggere in anteprima al suo figlioletto Rayner. A fronte del parere favorevole del bambino (che scrisse un’apposita recensione pagatagli uno scellino) accettò di procedere con la pubblicazione.

Tuttavia, anche sulla pagina scritta Lo Hobbit ebbe le sue traversie, soprattutto per quanto riguarda le denominazioni: nelle prime versioni infatti Gandalf si chiamava Bladorthin e Smaug invece portava il nome di Pryftan. Aneddoto ancor più interessante è il fatto che, almeno nelle primissime intenzioni, Lo Hobbit non doveva essere inserito all’interno del legendarium: bensì doveva essere semplicemente una storia a sé stante, nonché fiaba solo all’apparenza.

Quando Bilbo andò al cinema

Ancor prima di Peter Jackson, numerosi sono stati i tentativi di adattare Lo Hobbit su piccolo e grande schermo, molti dei quali avvenuti tramite l’animazione. I più famosi risalgono agli anni Settanta, a seguito della riscoperta del libro come diretta conseguenza del successo letterario de Il Signore degli Anelli. Una storia che si è ripetuta anche in anni recenti: l’idea di trasporre in film Lo Hobbit è infatti nata nei primi anni Duemila, dopo che Il Ritorno del Re aveva coronato definitivamente il già clamoroso successo della trilogia de Il Signore degli Anelli. Tuttavia la lavorazione, come molti che hanno vissuto quegli anni ricorda, è stata decisamente travagliata.

L’idea di Lo Hobbit era infatti presente nella mente di Peter Jackson addirittura dal 1995: il progetto iniziale era infatti quello di unire le due storie all’interno di un’unica trilogia. Il primo film avrebbe trattato di Lo Hobbit, i restanti due de Il Signore degli Anelli. A quanto ci dice la storia ufficiale, per Lo Hobbit c’erano dei problemi legali e quindi la trilogia venne spostata al solo Signore degli Anelli. Per certi versi, la produzione di Lo Hobbit è un po’ segnata dai problemi legali, tra cui anche quelli degli eredi di Tolkien che minacciavano di bloccarne le riprese.

Accompagnata solo da voci di corridoio, la preproduzione comunque andò avanti per tutti gli anni Duemila. Il primo grande slancio della produzione arrivò con l’assunzione di Guillermo Del Toro, che lavorò alacremente insieme a Peter Jackson a scrivere una sceneggiatura mai filmata, che intendeva suddividere l’adattamento in due film. Le cose andarono avanti finché Del Toro non dovette abbandonare il progetto per via della brutta situazione della MGM, tra ritardi e problemi finanziari. Il regista ebbe a dire che per il suo film era praticamente tutto pronto, tra set, creature, coreografie e storyboard, ma senza il via libera della MGM tutto ciò non rimase che carta.

Peter Jackson quindi rimase nuovamente da solo a dirigere le pellicole, e la conseguente riscrittura a seguito dell’abbandono di Del Toro (con cui purtroppo Jackson non era mai riuscito a trovare piena sintonia artistica) spostò l’uscita del film ancora più in avanti. La première mondiale si svolse in Nuova Zelanda il 28 novembre 2012, mentre in Italia fu il 13 dicembre dello stesso anno (addirittura un giorno prima degli Stati Uniti) che Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspettato vide finalmente il buio della sala cinematografica.

Da due a tre film, con strascico di commenti

Tra le decisioni più controverse riguardo Lo Hobbit è sicuramente da annoverare quella di essere passati da due a tre film. Del resto anche l’idea di voler adattare in nove ore di trilogia un libro assai più piccolo rispetto a Il Signore degli Anelli è qualcosa su cui il pubblico non ha mancato di ironizzare, dentro e fuori dal web. Eppure, anche dopo tutto questo tempo, è innegabile come la trilogia di Lo Hobbit abbia i suoi momenti memorabili. Dalle scenografie virtuali all’ampliamento delle vicende per ricollegarle al “futuro passato” de Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit è stato per molti il ritorno alla Terra di Mezzo aspettato quasi dieci anni.

La decisione di voler ricollegare Lo Hobbit a Il Signore degli Anelli è qualcosa di fisiologico, sia da un punto di vista narrativo che più banalmente commerciale. I dubbi, come molte altre volte, stanno da un’altra parte: l’avventura di Frodo portava con sé un sottotesto epico e maestoso che nel libro di Lo Hobbit non c’è. Riscrivere una fiaba (un po’ travestita, ma pur sempre tale) in un poema epico è un’operazione narrativamente molto rischiosa. Basta infatti veramente poco per trasformare un’epopea solo in una serie di frasi vuote oppure in un semplice sfoggio di computer grafica.

Con Lo Hobbit questo non è avvenuto, o perlomeno non è avvenuto del tutto: molti ne hanno visto la “frattura” più evidente con il terzo film. Uscito nel 2014, Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate doveva mantenere tutte le emozionanti promesse fatte dai film precedenti, ma la delusione fu tanta quando si scoprì che non vi era riuscito che in parte. Nonostante gli enormi incassi al botteghino, ciò che è stato maggiormente rimproverato alla conclusione dell’avventura di Bilbo era appunto l’essersi dimenticata il tema portante del mondo tolkeniano, ovvero che sono i piccoli e i loro piccoli gesti a cambiare davvero il mondo.

Lo Hobbit come metafora involontaria

E in effetti, l’idea dei piccoli e delle loro imprese è una metafora di Tolkien stesso. Non pochi sono stati i biografi che hanno speculato che il buon Bilbo Baggins possa essere una sorta di “proiezione involontaria” di Tolkien. Molti elementi del retroterra narrativo del buon Hobbit hanno infatti echi autobiografici dalla vita di Tolkien, dai parenti all’idea del viaggio. Tale viaggio fu per Tolkien la terribile esperienza della prima guerra mondiale, dove combatté alla Battaglia della Somme.

In questo senso c’è stato chi ha speculato che Lo Hobbit possa essere una sorta di “metafora involontaria” proprio del primo conflitto mondiale. Definita da più parti come l’ultima guerra antica e la prima guerra moderna, ha portato milioni di uomini di umili origini a improvvisarsi eroi. Persone umili come artigiani, contadini, accademici, studiosi, operai non volevano la guerra, ma una volta che vi furono gettati dentro, furono costretti a vincerla.

A questo si ricollega appunto il tema dell’eroismo, che nel più banale dei capovolgimenti egli attribuisce a Bilbo stesso e alle sue azioni per la salvezza dei suoi compari. Basta guardare i film o leggere il libro per capire infatti come Bilbo non pensi praticamente mai all’oro, anzi quando Thorin e la sua compagnia vogliono ricompensarlo lui pensa che sia addirittura troppo per quel che ha fatto.

Alla fine, il più grande tesoro che Bilbo porta a casa dalla sua avventura sulla Montagna Solitaria è proprio una crescita psicologica, un passaggio dall’oziosa ingenuità alla consapevolezza. Una consapevolezza che prima è paura, e poi è saggezza innaffiata di furbizia. La sua avvenuta crescita mentale è esplicitata simbolicamente quando vince la paura e arriva a sostenere una “conversazione-duello” con addirittura il drago Smaug.

Bilbo Lo Spagnolo

Ancor prima del suo duello vocale con Smaug, Bilbo raggiunge un primo livello di consapevolezza quando si ritrova da solo a combattere i ragni di Bosco Atro. Qui Bilbo riscopre il proprio istinto di sopravvivenza e tira fuori gli artigli; o meglio, il pungiglione.

Quando riprese i sensi, intorno a lui c’era la solita luce fioca del giorno nella foresta. Il ragno giaceva morto accanto a lui, e la lama della spada era macchiata di nero. L’avere ucciso il ragno gigante, tutto da solo, al buio, senza l’aiuto né dello stregone né di nessun altro, fu molto importante per il signor Baggins. Si sentì una persona diversa, molto più fiera e audace nonostante lo stomaco vuoto, mentre puliva la spada sull’erba e la riponeva nel fodero.

«Voglio darti un nome» le disse. «Ti chiamerò Pungiglione»

(Lo Hobbit, edizione Adelphi del 2001, p. 175)

Quello che per un umano è un pugnale, per un Hobbit ha le proporzioni di una spada corta. Così è nata Pungolo, la spada corta hobbit che brilla di blu in presenza di Orchi. Le prime traduzioni in realtà erano molto più letterali, in quanto nell’originale inglese è appunto Sting. Il nome Pungolo risale al Signore degli Anelli (tradotto in italiano da Vicky Alliata di Villafranca e revisionato da Quirino Principe), dove Bilbo la lascia in eredità a Frodo.

C’è un’ultima curiosità riguardo Bilbo, e Pungolo è in qualche modo coinvolta. Nel nord della Spagna sorge la città di Bilbao; nonostante oggi sia un importante centro industriale, nel tardo Cinquecento il luogo era famoso per i suoi abili armaioli. Tra le loro creazioni vi era uno spadone da cavallo che assunse il nome della città stessa ma pronunciato in basco, ovvero Bilbo. Malgrado non ci sia alcuna prova che Tolkien si sia ispirato a questa storia per dare il nome al signor Baggins (tanto da dire, nell’Appendice F de Il Signore degli Anelli, che i nomi maschili degli Hobbit fossero del tutto privi di significato), il nome “Bilbo” sembra davvero troppo poco casuale, così come l’avergli affiancato un’arma come Pungolo.

Conclusione: casa e oro

Tanto sul libro quanto sul grande schermo, Lo Hobbit rimane una grande opera non solo di formazione, ma anche di importanza trasversale. La sua forza sta nello sfruttare la fiaba e la letteratura per l’infanzia non tanto (o non solo) come una copertura, ma piuttosto come un punto di partenza per una storia più universale. Una storia che va a due velocità, tra un Bilbo non avido e un Nano rancoroso ma rispettabile nel suo orgoglio, uniti contro la perversione di un drago che incarna tutto quello che è vizio e perdizione.

Del resto, è probabilmente questa la difficoltà più vera (nonché subdola) con cui si è dovuta scontrare la trasposizione di Lo Hobbit al cinema. La trilogia di Peter Jackson ha portato grandi successi commerciali ma anche controversie, venendo accusata anche di “non aver azzeccato il mood dell’originale”. Accuse che, è bene dirlo, non sono del tutto infondate. Ma dove il tema dei piccoli che fanno la differenza si è andato un po’ perdendo dietro a dichiarazioni smielate da kolossal, Lo Hobbit cinematografico non ha scordato il secondo grande messaggio della sua epopea: se più persone valutassero più la casa dell’oro, allora il mondo sarebbe un posto migliore.

Per fare un bel confronto tra pagina e schermo, vi proponiamo sia il libro che la trilogia in versione estesa!
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