Quanto può sopportare un supereroe prima di spezzarsi? È una domanda con cui gli autori di fumetti si sono dovuto spesso confrontare, specialmente quando la rivoluzione ‘umana’ della figura del supereroe avviata dalla Silver Age ha introdotto in questo mondo di dei moderni una componente emotiva che avvicinava ai lettori l’uomo sotto la maschera dell’eroe. In casa Marvel, questo interrogativo si abbattè con particolare ferocia su un personaggio, che sembrava destinato ad essere il bersaglio di una vita piena di ostacoli e dolori: Spider-Man. Diversi scrittori del Ragno ebbero modo di mettere a dura prova lo spirito di Peter Parker, ma pochi riuscirono a raggiungere le vette toccate da J.M. DeMatteis e Mike Zeck con la saga Tremenda Simmetria, meglio conosciuta come L’ultima caccia di Kraven.
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Gli anni oscuri di Spider-Man
Nonostante inizialmente fosse stato concepito come un personaggio schivo ed introverso, Spider-Man per molto tempo è stato visto come un elemento scanzonato e divertente della Casa delle Idee. Il suo umorismo durante gli scontri, la sua voglia di non abbattersi nonostante una vita non certo agiata, erano fattori che avvicinavano al pubblico l’Arrampicamuri. Una caratteristica che, in un certo senso, poteva essere intesa come una reazione ad una vita fatta anche di grandi tragedie personali (dalla perdita di Zio Ben alla morte di Gwen Stacy), a cui Parker reagiva con una ricerca di leggerezza che si accompagnava al suo scorazzare per i cieli newyorkesi. Eppure, per quanto sopita, la vena di disperazione e quel sentore di affrontare sfide incredibili aleggiava sempre sul Tessiragnatele, una presenza costante che trova uno sfogo negli anni ’80.
Gradatamente, in quel decennio cominciano ad apparire delle tematiche più dure nel mondo supereroistico della Casa delle Idee. I presupposti di questa evoluzione, ironia del destino, erano derivati da un’altra celebre storia di Spidey, Green Goblin Rinato, in cui Lee aveva infranto la barriera della Comics Code Authority, scrivendo una storia che trattava della tossicodipendenza. Una spaccatura secca con le restrizioni imposte ai comics, che avrebbe consentito a O’Neill e Adams di realizzare la stupenda avventura on the road di Lanterna Verde e Freccia Verde, o, nuovamente in casa di Marvel, di mostrare al mondo i problemi di alcolismo di Tony Stark in Il demone della bottiglia. Il pubblico dei lettori, insomma, era finalmente ricettivo e pronto a godersi storie in cui i supereroi potessero emergere come umani travagliati e complessi, che faticavano maggiormente sul piano della gestione dei problemi personali che non nella loro dimensione eroistica.
All’interno di questa libertà narrativa dalle tinte più cupe, Spider-Man aveva iniziato a perdere parte del suo atteggiamento scanzonato, diventando protagonista di avventure in cui il suo spirito veniva messo a dura prova. Siamo nel periodo post-Guerre Segrete, il maxi evento da cui Spidey torna con il costume simbionte che in seguito diventerà una sua nemesi, Venom, da cui Parker si separerà mantenendo però il look dark. È il momento in cui Parker realizza uno dei suoi sogni, sposare Mary Jane, eppure è in questi anni che si assiste ad un progressivo crollo delle sicurezze del Ragno, un percorso che al suo apice incontra il genio di J.M. DeMatteis.
Una storia di morte e rinascita
Quella che oggi è nota come L’ultima di caccia di Kraven era nata inizialmente come una storia su Simon Williams, l’eroe Marvel noto come Wonder Man. Nell’idea di DeMatteis, Wonder Man veniva sconfitto dal perfido fratello, il Sinistro Mietitore, e veniva sepolto vivo in una bara da cui sarebbe scappato scavando nel legno e nella terra con le unghie. Inizialmente respinta da Tom DeFalco, editor Marvel, la storia venne riadattata da DeMatteis per un tentativo in DC Comics, sostituendo i protagonisti con Batman e Joker, immaginando la morte del Cavaliere Oscuro per mando del Clown del Crimine.
In questa versione, la morte di Batman avrebbe portato Joker a recuperare la sanità mentale, dando vita ad un confronto diverso tra i due. Storia promettente, ma che arrivò sulla scrivania di Len Wein, all’epoca supervisore di Batman, mentre un giovane autore inglese, tale Alan Moore, aveva presentato una storia simile, intitolata The Killing Joke. Che colpì maggiormente Wein, che si vide costretto a respingere la proposta di DeMatteis. Che non si arrese, sostituì Joker con Hugo Strange, rimaneggiò alcuni passaggi e la presentò al nuovo editor di Batman, Denny O’Neill, che non diede luce verde al suo progetto.
L’occasione però arrivò quando DeMatteis venne arruolato da Marvel per scrivere le avventure del Tessiragnatele in Spectacular Spider-Man, sotto imprimatur di Jim Owsley. DeMatteis voleva interpretare le tensioni narrative tipiche del periodo, dando vita ad un ‘nuovo’ Spider-Man, con un arco narrativo di spessore che avesse al centro lo spirito autentico del Ragno, portandolo al suo punto di rottura e consentendo a Parker di trovare un nuovo equilibrio. A vederla così, può quasi sembrare una nuova storie delle origini, pensiero che venne anche all’allora editor esecutivo di Marvel , Mark Gruenwald, che vedendo la tendenza di altri editori nel presentare ciclicamente nuove storie delle origini ripeteva come un mantra
“In Marvel non sentiamo la necessità di rinnovare i nostri eroi. Abbiamo fatto centro al primo colpo”
Ma ad un certo punto, era comunque necessario introdurre delle variazioni, approfondire le peculiarità degli eroi. Tra questa posizioni divergenti si collocò l’idea di DeMatteis, che trovò una spalla importante in James Owsley, che in quegli anni era responsabile delle tre serie dedicate a Spider-Man. L’idea, dunque, era sostanzialmente semplice: come portare Spider-Man al suo punto di rottura?
Serviva un catalizzatore efficace, era necessario trovare un suo avversario capace di interpretare al meglio questo ruolo. La scelta ricadde su Sergei Kravinoff, meglio noto come Kraven il Cacciatore. DeMatteis ebbe la felice intuizione di strutturare questa storia contrapponendo le emotività di Kraven e Spidey, da cui anche il concetto di tremenda simmetria che diede uno dei due titoli alla saga.
Prede e cacciatori
Difficile dire chi sia il vero protagonista in L’ultima caccia di Kraven.
Spider-Man si trova ad affrontare un periodo durissimo, che lo porta a mettere in discussione il proprio ruolo. In apertura di questa saga, partecipa alla veglia funebre di un suo informatore, domandosi quale sia la propria relazione con questi piccoli criminali, dando il via ad un flusso di coscienza che si dipana nelle didascalie, da cui emerge un’interiorità tormentata e pericolosamente vicina ad una resa. Situazione che si intreccia alla volontà di Kraven, prossimo alla morte e deciso ad andarsene dopo una grande impresa, di chiudere i conti con il Ragno, la sua preda più sfuggevole.
Non è un caso che le didascalie che raccontano i primi pensieri di Kraven siano presi da The Tyger, breve componimento del poeta inglese William Blake. DeMatteis sostituisce Ragno a Tigre, ma il senso del poema di sposa alla perfezione con la dinamica interiore di Kraven. Blake, nella tigre, vedeva una contrapposizione ad un suo precedente poema, The Lamb, e si domandava come due creature così differenti potessero essere creature del medesimo Dio, arrivando alla conclusione che il felino, incarnazione di una sofferenza umana, sia parte di un disegno più ampio, in cui trovano spazio elementi come il male, che sono sfuggenti alla comprensione umana, ma fanno parte di un ordine naturale.
Allo stesso modo, il Ragno e il Cacciatore sono i vertici di un dualismo morale in cui Spider-Man rappresenta la rettitudine, mentre a Kraven spetta il ruolo del malvagio, animato da una cattiveria fine a se stessa, ma figlia di un ordine naturale (in questo caso, il suo retaggio familiare) che ne è al contempo forza motrice e foriera di sofferenza. Ed è proprio il finale di The Tyger che offre alla saga di DeMatteis una seconda identità
“Tyger! Tyger! Burning Bright
In the forests of the night:
What immortal hand or eye
Dare frame thy fearful
Symmetry?”
Fearful Simmetry è il titolo con cui è anche conosciuta L’ultima caccia di Kraven.
Il telaio emotivo su cui si fonda L’ultima caccia di Kraven è la contrapposizione emotiva, più che fisica, tra i due avversari. Tanto è fragile e pieno di dubbi è Parker, quando deciso e concentrato Kraven, seppur guidato dalla sua prorompente follia. Lo shock narrativo è arrivare finalmente al climax di quella deriva emotiva a cui Spidey era legato in quel periodo, che metaforicamente si conclude con la sua morte, avvenuta per mano di Kraven in uno scontro in cui Spider-Man cerca di reagire con una forzata ironia, ma in cui sembra di intravedere una certa arrendevolezza.
La vittoria di Kraven, però, non è nella morte di Spidey, ma nell’indossare il suo costume e sostituirsi a lui, dimostrando di essere migliore del Ragno, non solo perché lo ha infine battuto, ma anche perché avrebbe potuto un Tessiragnatele migliore, almeno secondo i suoi standard etici. La particolarità di Kraven, infatti, è una visione dell’onore insolita, a cui non si sottrae ma che ne è sempre stata la bussola, anche nel momento in cui la follia che incombe come una maledizione sulla sua famiglia fa la sua apparizione.
“Ma non basta semplicemente annientarlo. Devo diventare lui! Devo provare a me stesso che sono superiore…alla faccia del suo fantasma che incombe. Così ora vedo con gli occhi del Ragno. Indosso la sua pelle. Striscio. Ora…io sono il Ragno”
De Matteis interpreta al meglio queste peculiarità di Kraven, mostrando la sua preparazione alternandola alla continua fragilità di Parker. La follia del Cacciatore si alterna alla rassegnazione del Ragno, sino all’inversione dei ruoli, al momento in cui Parker, non morto ma in un coma indotto, deve ritrovare il suo fulcro emotivo e la ragione di tornare a vivere, a non cedere alla tentazione della morte come una liberazione. E questa spinta vitale ha un nome: Mary Jane Watson Parker.
La donna che salvò il Ragno
Mary Jane, per quanto considerata la donna della vita di Parker, non è il primo amore di Parker. Se quella notte sul ponte di Brooklyn il collo di Gwen Stacy non avesse ceduto, non avremmo mai avuto la storia d’amore di Parker e della bella rossa, perché il cuore di Parker sarebbe appartenuto per sempre alla dolce biondina. La notte in cui morì Gwen Stacy è un capitolo essenziale per Spider-Man e il suo vissuto emotivo, ha portato il mondo dei comics fuori dalla Silver Age in quella che viene definita la ‘fine dell’innocenza’, ma è soprattutto il momento in cui Mary Jane può avvicinarsi maggiormente a Peter.
Saranno tanti i momenti in cui la futura signora Parker si dimostra una donna eccezionale, ma in L’ultima caccia di Kraven il ruolo di Mary Jane è fondamentale. DeMatteis inserisce nella sua storia il ruolo della compagna dell’eroe, la riveste di quel fascino quasi da epoca classica in cui l’amata attende con ansia e paura il ritorno dell’eroe. Nelle due settimane in cui Parker è prigioniero di Kraven, Mary Jane deve affrontare, forse per la prima volta, il duro ruolo della compagna
“Non è morto! Sta benissimo! E’ solo un po’ in ritardo! E’ …in un vicolo immerso in un bagno di sangue. A galla nell’East River, crivellato. Pugnalato. Le ossa rotte. Morto. Morto!”
Mary Jane diventa il perno della rinascita di Parker, che deve risorgere come uomo prima che come eroe. Nel delirio del coma indotto, Parker affronta le sue paure, le vede finalmente come reali e le accetta, le riconosce. E vede in Mary Jane la sua forza, una scelta, quella di DeMatteis, che libera finalmente dal fantasma di Gwen Stacy la figura della rossa signora Parker.
Quando DeMatteis adattò il suo vecchio concetto del ‘ritorno dalla bara’ alle dinamiche delle storie di Spider-Man, il Tessiragnatele si era appena sposato e la nuova dinamica familiare rappresentava una ghiotta occasione per creare una storia incredibile
“Peter Parker è forse il protagonista emotivamente e psicologicamente più autentico dell’intero universo dei supereroi. Sotto la maschera è intricato, pieno di difetti, teneramente umano, tanto quanto le persone che leggono – e scrivono – di lui: il tipico uomo qualunque. E quell’amore di uomo qualunque per la neo mogliettina, per la nuova vita che stavano costruendo insieme, era il combustibile emotivo che dava pepe alla storia. Era la presenza di Mary Jane, il suo cuore e la sua anima, a raggiungere le profondità del cuore e dell’anima di Peter, e a farlo emergere, da quella bara, dalla tomba, verso la luce”
Una fondamentale importanza, quella di Mary Jane, che è racchiusa nel dialogo straziante tra lei e Peter, quando l’uomo decide di chiudere i conti con Kraven
“Peter, ti prego…Dopo quello che hai passato…Che ti ha fatto”
“Non voglio parlarne”
“Hai bisogno di tempo per riprenderti. Nelle ultime due settimane eri…
“Non voglio parlarne”
“Allora vai?”
“Vado”
Uno scambio rapido, reso immortale da una tavola meravigliosa di Mike Zecke. Il linguaggio dei corpi di Spidey e Mary Jane è inconfondibile, è più rivelatore di quel breve scambio di battute.
Ci sono il senso del dovere di Peter, l’ansia e l’accettazione di Mary Jane che trovano un’eco nella gratitudine e nell’amore di Peter, tutto racchiuso in una sequenza di tre vignette in cui un tocco diventa una carezza carica di significato. In quel momento, alla finestra affacciata su una New York scossa da un temporale tremendo, Mary Jane diventa pienamente l’ancora di salvezza dell’animo di Peter Parker.
Ritrarre follia e rinascita
Zecke, però, non ha concentrato la propria bravura solo in quella scena. Per tutto il lungo arco narrativo de La caccia di Kraven, Zecke dimostra una padronanza impressionando della narrazione per immagine. Sin dalla prima tavola, in cui vediamo Kraven prepararsi alla caccia al Ragno, Zecke lavora con dedizione alla muscolarità del Cacciatore, rendendone pienamente il vigore fisica e la follia ferina dell’animo. Supportato da Bob McLeod alle chine e da Ian Tetrault ai colori, Zecke ha dato vita ad un’ottima interpretazione visiva della trama di DeMatteis.
Compito non facile, data la tragicità umana di numerosi passaggi di questa storia, in cui l’elemento emotivo, virato al drammatico, impera. Basta prendere le tavole in cui assistiamo alla rinascita interiore di Parker, in cui convivono istinto, amore, paura e disperazione, in una rinascita ansiogena che culmina con una tavola a tutta pagina in cui Spidey risorge dal mondo dei morti.
L’apice emotivo della saga, però appartiene alla fine di Kraven, travolgente e inattesa, resa con una costruzione grafica e narrativa che pur tratteggiando un attimo di intensa tragicità la riveste di pietas umana, dando alla nemesi del Ragno non la fine che ci saremmo attesi, ma quella che il personaggio stesso desiderava. Una scelta che fu al centro di grandi polemiche all’uscita della saga.
La morte come scelta
La morte in Spider-Man è una vecchia amica. È seminale nel dare al personaggio i suoi principi morali, con il violento trapasso dell’amato zio Ben, ed è un brusco ritorno all’umanità dell’uomo sotto la maschera quando gli porta via l’amata Gwen Stacy. In L’ultima caccia di Kraven, però, si arriva a trattare la morte da un punto di vista inusuale e pericoloso: il suicidio. Scelta ardita, in un periodo in cui le statistiche di suicidi in America, specialmente nella fascia adolescenziali, toccavano cifre mai così alte.
Inevitabile le critiche piovute su Marvel, con genitori che protestavano per una trattazione del suicidio in modo così approssimativo e poco rispettoso. Visione dovuta alla lettura parziale de L’ultima caccia di Kraven, ovvero del capitolo in cui si assisteva alla tragica uscita di scena di Kraven, mentre leggendo la saga nella sua interezza, appare ovvio come il suicidio del Cacciatore sia l’epilogo di una vita triste ed infruttuosa, aggravata da uno stato mentale precario in cui la morte veniva vista come un gesto nobile, capace di sanare inesistenti fallimenti dettati da un codice morale travisato.
Come disse Jim Salicrup, editor delle Spider-Testate dell’epoca
“Se avessimo scelto di non inserire la scena del suicidio in Tremenda Simmetria, la storia avrebbe perso molto del suo mistero, anche se Kraven fosse morto per un altro motivo”
Per Spider-Man, questo passaggio tragico era un’altra tappa all’interno di un percorso di definizione delle tematiche adulte e ‘scomode’ per la società del periodo, un processo iniziato dallo stesso Lee anni prima con la tematica della tossicodipendenza in Green Goblin Rinato. Tuttavia, l’eco della tragica morte di Kraven costrinse DeMatteis, Zecke e McLedo a tornare al lavoro dando vita a L’anima del Cacciatore, in cui Parker elabora la sua morte e il suo ultimo scontro con Kraven, offrendo agli autori la possibilità di ribadire la follia di Kraven, alleggerendo le polemiche sul suo suicidio.
Ma nemmeno questa emozionante storia fruttò a Marvel il perdono di altri scontenti: i fan!
Schegge di follia
Quando L’ultima caccia di Kraven venne pubblicata, il successo di Spider-Man era tale che figurava contemporaneamente su tre testate: Amazing Spider-Man, Spectacular Spider-Man e Web of Spider-Man. Jim Salicurp, editor delle testate, ebbe l’intuizione di spalmare il ciclo di DeMatteis su tutte le testate, convinto che non sarebbe stato accettabile che mentre Spidey era rimasto per due settimane prigioniero di KRaven potesse volteggiare per New York su altre serie. Per la Marvel fu una vera rivoluzione, il primo evento di un personaggo condiviso su più testate contemporaneamente, che avrebbe dovuto cementare una sorta di continuity tra le diverse Spider-testate. D’altronde, la tradizione dei crossover e dei maxi eventi era già una prassi in casa Marvel, questo sembrava un passaggio inevitabile.
Ma alcuni lettori si appoggiavano al servizio abbonamenti per ricevere Amazing Spider-Man per mancanza di alternative, edicole o fumetterie, e non potendo reperire anche le altre serie si sentirono traditi dalla Marvel. Che incassò anche un discreto numero di proteste e disdette, addolcite però da un generale apprezzamento per quella che viene ancora oggi considerata una delle storie più emozionanti di Spider-Man.
Leggere L’ultima caccia di Kraven
Delle tante edizioni de L’ultima caccia di Kraven, l’ideale è attualmente la recente riedizione da collezione edita da Panini all’intero della collana Edizione Grimorio, che ospita altri capolavori come La saga di Fenice Nera e Infinity War. in questo volume è presente l’intero arco narrativo, oltre ad altre storie che approfondisco il legame tra Spider-Man e Kraven, anche se il vero valore aggiunto sono i ricchi contenuti editoriali che, attraverso le parole degli autori, svelano la storia e l’impatto emotivo di quella che rimane una delle imprese più tragiche e appassionante dell’Arrampicamuri.
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