In principio, Hulk era grigio. Chiunque abbia familiarità con la storia del Gigante di Giada marveliano sa che alla sua prima apparizione l’alter ego di Bruce Banner non era verde come siamo abituati a vederlo in azione da sessant’anni, ma la sua pelle era grigia. Una particolarità spesso relegata a mera curiosità, un incidente di percorso legato a una colorazione poco felice, ma che si è prestata a essere fonte d’ispirazione per un duo autoriale che proprio ai colori degli esordi ha legato una felice quadrilogia per la Casa delle Idee, unpoker di storie con cui Tim Sale e Jeph Loeb hanno raccontato momenti intimi di tre pilastri del Marvel Universe. E andando a ritroso in queste storie di amore tormentati e primi passi in un mondo di eroi, non poteva certo mancare all’appello Bruce Banner, che assieme al suo corpulento alter ego è protagonista di Hulk: Grigio.
Sale e Loeb hanno creato un’ideale trilogia cromatica in cui Hulk: Grigio è l’ultimo capitolo, preceduto da Daredevil: Giallo e Spider-Man: Blu. Tre personaggi apparentemente molto diversi per indole e corpus narrativo, eppure accumunati in diversi momenti della loro esistenza dalla perdita della donna amata. Daredevil: Giallo era il ricordo della nascita dell’amore di Matt Murdock per Karen Paige dopo la morte di quest’ultima in Diavolo Custode, mentre Spider-Man: Blu è l’attestazione definitiva di come il primo, vero amore di Peter Parker fosse Gwen Stacy, una confessione declinata in una struggente melodia blues resa fumetto. La scelte dei colori, ovviamente, non era semplicemente legata ad aspetti dei costumi dei personaggi, ma rifacendosi al linguaggio cromatico evocava aspetti fondanti di questi struggenti racconti, dove il giallo del primo costume del Cornetto rappresentava anche l’ottimismo e la felicità portata dalla presenza di Karen, mentre il blu della divisa di Parker viene allegoricamente trasformato in un blues carico di rimpianto per la perdita mai pienamente guarita. E seguendo questa scelta narrativa, per Hulk il grigio era un colore che nuovamente faceva della sua doppia valenza un tratto essenziale del personaggio.
Hulk: Grigio, le origini emotive del Gigante di Giada raccontate da Tim Sale e Jeph Loeb
Ripensando alle origin story dei primi anni del Marvel Universe, si può notare una costante: accade tutto rapidamente. Complice la necessità di rendere immediatamente familiare il personaggio ai lettori, i primi racconti degli eroi della Casa delle Idee si presentano come un ricordo della nascita dei poteri (Fantastici Quattro), ci si affida a intuizioni furbesche che annullano la necessità di una spiegazioni più articolata (come la mutazione per gli X-Men) oppure si imbastiscono storie che condensano nell’arco di poche pagine un contesto eroico dai toni complessi. Per Hulk, si scelse questo approccio, lasciando comunque, all’interno della storia iniziale, una serie di vuoti temporali che venivano gelosamente custoditi dallo spazio bianco tra le diverse vignette. Un limbo narrativo che divenne nel 2003 il perfetto ambiente narrativo per Sale e Loeb.
Non paghi di doversi cimentare con uno dei personaggi più identificativi del pantheon marveliano, i due autori dovevano trovare un modo per inserire questo loro ricordo delle prime ore del dualismo di Banner all’interno di un momento particolarmente duro per lo scienziato: la perdita dell’amata Betty Ross. Il percorso cromatico avviato con Daredevil: Giallo si fondava essenzialmente sul concetto di perdita, accettazione e guarigione per i tre eroici protagonisti, costretti a venire a patti con sensi di colpa e in cerca di un modo per colmare il vuoto lasciato dai rispettivi amori.
Scegliere un elemento cardine di questa portata non era semplice, eppure è divenuta la chiave emotiva di questi tre apprezzati archi narrativi, parzialmente presente, seppure in altra declinazione, anche in Captain America: Bianco. A dare il tono di questa scelta fu proprio Tim Sale, che non mancava di ricordare come doversi confrontare con le origin story primigenie firmate da Stan Lee era un confronto particolarmente opprimente, ma al contempo era una sfida che spingeva il duo autoriale a cercare un proprio modo di inserirsi in modo netto ma rispettoso all’interno della continuity del personaggio:
Penso che come idea e come realizzazione Hulk: Grigio sia la migliore delle tre miniserie: è una storia purista, originale e molto semplice, che si svolge nell’arco delle ventiquattro ore. Jeph ha avuto una grande idea, che credo sia interamente originale: il fatto che che Betty sia attratta da Banner e da Hulk perché la loro dicotomia e la loro mostruosità riflette il suo rapporto con il padre.
Leggendo Hulk: Grigio si ha la percezione di come l’esordio della doppia vita di Banners sia al contempo in linea con la tradizione del personaggio, ma al contempo ne dia una visione più articolata in linea con aspetti moderni del personaggio. Pur presentando tutti i dogmi della origin story tradizionale (dalla bomba gamma alla presenza di Rick Jones), questo racconto del primo giorno di vita di Hulk conferisce all’energumeno di casa Marvel una sensibilità e una delicatezza inconsueta. La lunga vita editoriale di Hulk ha spesso conferito al Gigante di Giada tratti che spingono il lettore a interrogarsi sulla reale bestialità di questo personaggio fuori controllo, ma nell’ottica di Sale e Loeb viene inserito un elemento innovativo: l’innocenza del selvaggio.
L'umanità del mostro attraverso l'amore
L’esperimento che trasforma Banner in Hulk diventa l’occasione per mostrare come dietro l’ingannevole figura di una forza inarrestabile ci sia sostanzialmente un essere paragonabile a un bambino, incapace di comprendere le dinamiche sociali, mosso essenzialmente dalla voglia di non esser il bersaglio di un ben più lucida ferocia (quella umana) e attratto dall’amore per la persona amata. Pur trasformato in Hulk, Banner preserva l’attaccamento per Betty e lo trasla nella sua forma mostruosa, rendendolo una delle sue forze trainanti. Nonostante il pericolo, Hulk cerca di avvicinarsi a Betty, mostrando inizialmente un approccio brutale nel suo volerla proteggere, ma che non nasce da una voglia di prevaricazione, quanto da una incapacità di processare la propria emotività in un’ottica sociale. Quella che apparentemente potrebbe esser la criticità maggior di Hulk in queste sue prime ore diventa la chiava con cui costruire un rapporto inizialmente conflittuale con Betty, ma che proprio per questa spiazzante genuinità avvicina i due.
La contrapposizione con la presenza di una figura autoritaria e oppressiva come Thunderbolt Ross, che soffoca la sensibilità della figlia sminuendone costantemente la forza d’animo, è un tramite emotivo forte e ben radicato, che viene dosato da Sale e Loeb con la giusta attenzione. I dialoghi dissonanti tra Ross e la figlia predispongono in modo sublime il lettore alla difficoltà emotiva della giovane donna, che proprio da questi contrasti trova una forza interiore con cui affrontare la sua prima vicinanza a Hulk, passando da un timore comprensibile a un’affermazione di volontà frutto di esperienza con una presenza dominante nella sua vita. La presa di coscienza di Betty si accompagna magnificamente alla spiazzante franchezza con cui Hulk intavola un rudimentale dialogo con lei, aprendosi e confessando in modo chiaro paure e timori. Hulk: Grigio è, sotto questo aspetto, l’origin story dell’amore di Ross e dell’intera sfera interiore di Bruce Banner, nato da una comprensione frutto di due anime che arrivano, come si scoprirà negli anni seguenti, da vissuti familiari simili.
La lungimiranza di Hulk: Grigio risiede nella scelta di non rendere centrale la trasformazione fisica di Hulk, quanto di aver reso questo tratto essenziale del personaggio un momento asservito alla valorizzazione della personalità di Betty. Come accaduto anche nelle altre opere parte di questo citato trittico cromatico, i supereroi sotto analisi non sono protagonisti nel senso tradizionale, ma sono resi protagonisti di riflesso, resi tale dal modo in cui le donne da loro amate percepiscono la loro presenza e il loro mondo. Come per il Cornetto e il Tessiragnatle, anche per Hulk Loeb trova il modo di rendere centrale la figura femminile, ogni passaggio, anche in presenza di guest star d’eccellenza, trova la strada per dare a Betty una maggior rilevanza all’interno della definizione della sensibilità pura e autentica di Hulk.
Un chiave emotiva che trova nuovamente un perfetto tramite emotivo nelle tavole di Sale. Pur ispirandosi all’Hulk primigenio, Sale arricchisce la sua definizione del Gigante di Giada con una serie di ispirazioni che passano dagli artiste contemporanei all’immaginario del Frankestein cinematografico à la Karloff, dove la bestialità fisica del mostro viene mitigata da un’incredibile delicatezza nel suo approcciarsi a Betty. Tanto è esplosivo e fisicamente imponente nelle battaglie tanto è struggente e intimorito nel suo contatto fisico con Betty, toccando dei picchi di tenero e impacciato contatto nei momenti più intensi. Sale lavora con un cesello emotivo sugli sguardi, le espressioni di assordante sofferenza resi puramente graficamente senza alcuni suono onomatopeico, costruendo con progressiva intensità un legame affettivo tra i due. Nel momento in cui Hulk: Grigio si concentra sul primo, vero dialogo tra i due, tanto Loeb colpisce il lettore imbastendo uno scambio in cui trapela l’inattesa semplicità di Hulk quanto Sale emoziona ritraendo il colossale energumeno donandogli un’espressione di dolce incomprensione, come un bimbo che stia confrontandosi per la prima volta con un’altra persona, scoprendo un nuovo mondo di emozioni e confronti.
Sale riesce a coniugare il suo inconfondibile stile, fatto di espressività prorompenti e di tavole costruite con una particolare transizione dal dettaglio alla visione più ampia, alla mastodontica presenza di Hulk all’interno di spazi compressi, sia visivamente che strutturalmente. Il risultato è un impianto visivo in cui Hulk giganteggia senza essere ingombrante, ma lasciando emergere una presenza goffa e muscolare, quasi imbarazzata dalla sua mole e in cerca di un proprio equilibrio. Tornando al parallelo di titoli di questa trilogia alla concezione dell’emotività cromatica, il grigio di Hulk può esser interpretato come la ricerca di un bilanciamento tra le due identità di Banner, ma anche farsi interprete del senso di perdita, come ricorda la cornice di questa storia, che come per Daredevil: Giallo e Spider-Man: Blu è il nostro gancio nel presente in cui l’eroe avvia questo terapeutico percorso di guarigione cercando nel proprio passato l’elemento catartico.
Perché leggere Hulk: Grigio
L’eredità di Hulk: Grigio non è un testamento artistico di Sale, scomparso recentemente, ma è probabilmente l’essere uno dei ritratti più autentici di una figura mai pienamente compresa del pantheon marveliano. Hulk non è solamente un erede spirituale di Jeckyll e Hyde, non è una semplice rivisitazione del concetto di monstrum, è un ritratto della dualità dell’anima umana, capace di esser autentica nella sua semplicità e al contempo esser vittima della propria fragilità, delle proprie paure.
La summa di questa visione, il climax emotivo dell’intera storia, è contenuto nel senso di colpa di Banner per non aver mai compreso pienamente la forza della donna amata:
Lei ora non c’è più. Sono successe tante altre cose dopo…Ma..adesso saranno sempre offuscate dalla consapevolezza che lei mi amava per le ragioni sbagliate..
Difficilmente si possono trovare nella lunga vita editoriale di Hulk situazioni e frasi più indicative della personalità affascinante di questo personaggio