Se tra moglie e marito non si deve mettere il dito, potete solo immaginare quando di mezzo ci si mette uno psicopatico misterioso che si infila in casa di una coppia ormai lacerata e straziata dai segreti e dalle bugie enormi e buie. Proprio come l'abitazione dove si svolge il nuovo film di Stefano Lodovichi, La Stanza, sbarcato su Amazon Prime Video il 4 gennaio e che sta suscitando parecchia attenzione per tutte le tematiche implicate nella trama: non solo il "non detto" che diventa terribile e orribile nel ménage di una coppia, ma anche per i riflessi di una tradizione del cinema horror e del thriller psicologico che tornano a brillare sugli schermi, riprendendo la luce di un lungo percorso dal solco tracciato da titoli di fama mondiale come Psycho, Shining o Get Out. Qui l'orrore è dentro la casa, ancora una volta; è dentro i protagonisti. Ma chi è l'uomo che diventa deus ex machina di tutta l'azione, rapitore e narratore onnisciente al tempo stesso? Chi è colui che ha messo in moto la macchina di una storia che ci ha colpito sin dalle primissime inquadrature? Vi raccontiamo le nostre impressioni, senza troppe anticipazioni, nella nostra recensione.
La Stanza, nel buio dei segreti intimi e atroci
Stella (Camilla Filippi) è sola in casa, un'abitazione enorme, cupa, vecchia e disastrata, come la padrona di casa. Si apre la porta per far entrare uno sconosciuto, Giulio (Guido Caprino), abbastanza invadente e che sembra conoscere non solo l'identità della donna, ma anche la sua storia. Per non parlare di quella del marito, Sandro (Edoardo Pesce), con la quale ha un figlio, chiuso in una stanza, il suo "luogo segreto".
Sandro dava spesso in affitto una stanza della casa, proprio come quella che sta prendendo il viaggiatore sconosciuto. Ma a Stella non piace l'idea e accoglie ob torto collo lo straniero. Tutto è strano fin dall'inizio, però: Stella indossa il suo abito da sposa, mal ridotto, e con il trucco sfatto dal dolore e dalle lacrime, mentre nella stanza affittata dall'uomo c'è un foro nel muro che rivela più di quanto avrebbe dovuto.
Lo straniero è invadente, dimentica che Stella non vuole che le si dia del "tu", non cerca la confidenza che l'uomo sembra voler imporre nel loro rapporto, appropriandosi di spazi domestici e accorciando le distanze in modo sempre più violento. Fino a quando arriva Sandro alla porta, e una volta che questa si chiude alle sue spalle, niente è più come prima.
Avevi ragione, è pieno di mostri qui fuori.
Prima la cucina, poi la camera da letto. I luoghi più intimi, domestici, abitudinari che la quotidianità della famiglia abita, diventano invece teatro di un orrore drammatico e viscerale, non tanto dettato dai momenti di lacrime e sangue che si alternano sullo schermo, ma per la violenza potente delle bugie che ci si nasconde tra moglie e marito, in un silenzio assordante dovuto alla mancanza di una colonna sonora che farà capolino solo dopo, magistralmente e nei momenti dove il climax ascendente è al suo picco massimo.
Giulio sa tutto, ma noi non sappiamo come faccia: sa della relazione extraconiugale di Sandro, del figlio che ha avuto con Linda, la sua amante ormai non più segreta, sa che tiene nel portafoglio la foto di loro tre, ma non quella di Stella e di suo figlio. Sa tutto questo, ma non è un vecchio amico di quest'uomo, non è suo fratello. Come può essere davvero onnisciente? E come si è procurato tutte quelle cicatrici ben marcate sulle braccia? Sono il segno di un passato dettato da demoni interiori che sono affiorati fin sulla pelle, lasciando un tratto spesso e marchiato a vita, proprio come le esperienze tragiche di abbandono che ha vissuto e che non dimentica. Come il profumo di sua madre.
La famiglia, punto di partenza, di arrivo e di ritorno
L'orrore che si alterna sullo schermo, guardando La Stanza, è proprio dettato dall'alternanza di indizi snocciolati qua e là con parsimonia, ma in modo impeccabile e ben scandito, grazie alla scrittura di una sceneggiatura che prima ci carica di tensione, di dubbi, di domande, e poi ci scioglie nelle lacrime che arrivano da quel luogo nascosto e profondo dell'animo di chi ha sofferto e patito, ma che ha tentato di dimenticare. L'orrore vero non è dunque dovuto alle strategie messe in atto dal rapitore, non è quello "scenografico" che sa colpirci in superficie, ma da quello che ci segna nell'animo, quella parte di noi che risveglia le più potenti emozioni che ci pervadono in modo totale e paralizzante.
Giulio è il personaggio che sa tenere le redini dell'azione, dall'inizio alla fine degli ottanta minuti circa di film, unendo presente, passato e futuro tra dimensioni possibili, alternative e reali, dimostrando come a volte
il tempo non va solo avanti, può anche andare indietro.
La Stanza è un film che colpisce e lascia senza parole, atto a far portare a galla non solo le problematiche di coppia, ma anche quelle di minori abbandonati a se stessi e al proprio disagio, alla calda accoglienza di una stanza dove si rinchiudono e dalle braccia della quale non sanno più uscire, ormai stretti in una morsa terribile e suicida. Parla di temi sociali delicati, ma solo per vie traverse, mostrando il "prodotto" di quanto succede a un disagio trascurato, a un uomo che non ha saputo essere felice, a un bimbo che pensava di poter trovare riparo nel suo mondo, e questo mondo, con le sue ovvie storture, ha portato via l'ossigeno necessario crescendo. Come se avesse tolto l'aria a una persona, soffocandola.
Il film insegna che, a volte, "purtroppo si odia chi troppo amore ci dà", per citare Libero di Fabrizio Moro, perché gli eccessi rovinano, portano a estremi irrazionali, a risultati sbagliati, come le bugie tossiche di vite parallele che si nascondono. La Stanza rivela tutto quello che non avreste voluto sentirvi dire, come genitori, come figli e come partner, ma che si squaderna con una brutalità eccezionale, una voce che si alza per squarciare il sottile velo fragile delle menzogne dette, forse, a buon fine, ma che non hanno di certo condotto a una buona fine chi le ha raccontate e chi le ha subite. Un film da vedere e rivedere, e che deve necessariamente lasciare il segno nell'animo per non lasciarne di peggiori sulla pelle in futuro.
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