Ci sono film, nella carriera di Walt Disney, che hanno segnato il suo percorso creativo, diventando delle vere e proprie perle dell’animazione: basti pensare alla tecnica utilizzata per Pinocchio, alla fine degli anni Trenta, o anche a Fantasia, che nel 1940 segnò un incredibile passo in avanti in quella che era l’identità artistica di Walter. Ma ci sono anche film che dal punto di vista tecnico non riuscirono mai a spiccare il volo verso l’olimpo delle produzioni di Disney, nonostante le innegabili qualità di scrittura e di regia. Tra questi ultimi c’è sicuramente l’ultimo film a uscire prima della morte di Walt Disney, nonché l’ultimo esser stato prodotto interamente sotto la sua supervisione. Oggi parliamo de La spada nella roccia.
Il tortuoso viaggio dei diritti
Era il 1939 quando Walt Disney acquistò i diritti de La spada nella roccia, romanzo scritto dall’inglese Terence Hanbury White, pubblicato appena un anno prima in Inghilterra. Inizialmente previsto come uno stand-alone e pubblicato dalla casa editrice Collins, White decise di rendere La spada nella roccia un ciclo narrativo, creando una serie di romanzi che venne poi raccolta sotto il nome di Re in eterno, una tetralogia che venne pubblicata nella sua interezza soltanto venti anni più tardi, nel 1958, sei anni prima della morte dell’autore.
Il successo della prima pubblicazione le permise di arrivare subito alle orecchie di Walt Disney, sebbene la versione americana del romanzo fosse stata leggermente modificata rispetto all’originale, come d’altronde era capitato anche con Pinocchio pochi anni prima. L’acquisto avvenne nel mese di febbraio, nel prologo di quella che sarebbe stata la Seconda Guerra Mondiale e l’improvvisa necessità, da parte del governo americano, di impiegare le forze di Walt Disney in una nuova forma di propaganda animata. Per questo motivo, gli studios non poterono in nessun modo attivarsi subito nella produzione.
Nel giugno del 1944, subito dopo il successo ottenuto con Biancaneve, Pinocchio, Dumbo, Bambi e Fantasia, Disney potè finalmente annunciare di essere al lavoro su La spada nella roccia, insieme a Cenerentola e Alice nel Paese delle Meraviglie. Il progetto, però, non sembrava volesse decollare e durante le interviste veniva dichiarato come attivo e in corso, fino all’inizio del 1950, quando se ne persero le tracce in favore di tantissimi altri Classici. D’altronde l’epoca d’argento, inaugurata nel 1950 con Cenerentola, segnò il periodo di maggior successo per la Disney sotto l’egida di Walter, che dopo Alice, Peter Pan, Lilli e il vagabondo e la totale riscrittura della favola di Basile sulla Bella addormentata nel bosco, si lanciò anche su La carica dei 101, dimenticandosi quasi completamente di quei diritti acquistati nel 1939 sulla storia di Re Artù.
In quegli stessi anni Walt aveva deciso di rallentare le release al cinema dei suoi film: il ritmo di un Classico all’anno non era più sostenibile, né c’era l’intenzione di farlo, nonostante Roy Disney spingesse per mantenere il ritmo avuto nell’Epoca di guerra, dal 1940 in avanti. Tra Peter Pan e Lilli e il Vagabondo passarono due anni, tra Lilli e la storia di Aurora ne passarono quattro, poi due per Pongo e infine altri due prima di poter vedere Semola estrarre la spada dalla roccia.
Una stella di Broadway sul cammino di Artù
A cambiare le sorti de La spada nella roccia fu una produzione di Broadway alla quale Disney andò ad assistere nel 1960: si intitolava Camelot e si basava sul medesimo romanzo del quale Walt aveva acquistato i diritti. In quel musical, tra l’altro, Disney vide per la prima volta Julie Andrews nei panni della regina Ginevra: quattro anni più tardi, sarebbe stata la protagonista di quell’immenso capolavoro a tecnica mista firmato da Robert Stevenson, Mary Poppins.
Mentre quindi Wolfgang Reitherman era stato messo al lavoro su Chanticleer, un film animato con protagonista un gallo, che qualche anno più tardi sarebbe diventato il Cantagallo di Robin Hood, Disney decise che era arrivato il momento di concentrarsi su La spada nella roccia. Il progetto su Cantagallo venne completamente cancellato, provocando anche non pochi fastidi allo staff di Disney, che aveva lavorato duramente al nuovo film.
Bill Peet, che lavorava alle sceneggiature di Walt sin da Biancaneve e i sette nani e che andò avanti fino al 1967 con Il libro della giungla, iniziò a lavorare direttamente alla sceneggiatura, senza uno storyboard: egli stesso, nella sua biografia, dichiarò che il ciclo di Re Artù fosse talmente ingarbugliato da dover essere prima sbrogliato partendo dalla fine, quindi dallo script. La prima versione venne bocciata da Walt, che richiese maggior sostanza, quindi nel secondo tentativo Peet ampliò l’intera storia e aggiunse degli aspetti molto più drammatici e cupi nella lavorazione: Walt approvò le scelte con una famosa telefonata avuta direttamente da Palm Springs, dove si trovava in quel periodo per limitare lo stress e la fatica che stava iniziando ad accompagnarlo alla malattia che sei anni dopo gli sarebbe stata fatale.
Tra nuove tecniche e doppiatori ostici
Per la realizzazione de La spada nella roccia venne creata anche una nuova tecnica di animazione, chiamata “touch-up”: il processo di animazione precedentemente richiedeva l’utilizzo della tecnica del clean-up, con il quale gli assistenti animatori trasferivano gli schizzi degli animatori di regia a mano su un nuovo foglio di carta, successivamente da copiare sulla cella animata. Piuttosto che ragionare sui clean-up, quindi sulle pulizie, si decise di andare a lavorare su dei ritocchi, così che assistenti potessero disegnare direttamente sugli schizzi degli animatori prima di stampare sulla cella di animazione. Un metodo per velocizzare i lavori e contenere i tempi di produzione. A dirigere il film venne messo, ovviamente, Wolfgang Reitherman, che fu meticoloso nella scelta del doppiatore di Merlino: vennero rovinati 70 attori, ma nessuno aveva l’eccentricità che Disney stava cercando. Alla fine la scelta ricadde su Karl Swenson, che era stato rovinato per la parte di Anacleto (in originale Archimedes) e spostato su Merlino.
Per il giovane Artù, invece, la parte iniziale andò a Rickie Sorensen, ma nel corso del film il giovanissimo attore, che entrò nella pubertà durante le riprese, venne sostituito dai figli di Reitherman, Richard e Robert: una scelta che costò numerose critiche a Reitherman, che si ritrovò a dover gestire tre voci diverse a volte anche nelle stesse scene, e se la voce dei figli poteva sembrare simile, quella di Sorensen differiva di tantissimo. Tra l’altro l’accento americano dei figli del regista, oltre a quello di Sorensen, strideva tantissimo con il resto del cast, al quale venne chiesto di essere molto british.
La Spada nella Roccia arrivò al cinema con la colonna sonora firmata dai fratelli Sherman, con il supporto di George Bruns, al suo terzo Classico dopo La bella addormentata nel bosco e La carica dei 101. Per i fratelli Sherman, invece, fu un debutto storico, perché Robert e Richard sarebbero stati poi per anni i più fedeli consulenti di Disney, instaurando un rapporto che, soprattutto con Richard, il fratello attualmente ancora in vita, fu quasi fraterno. Il film arrivò a cinema nel Natale del 1963 e nonostante delle critiche molto altalenanti, fu un successo al botteghino. Costò 3 milioni di dollari e ne incassò, solo in America, 22, calcolando anche la seconda uscita che avvenne nel 1983, con la quale riuscì a incassare altri 12 milioni. Le critiche nei confronti di quella che era una storia troppo flebile non mancarono, però, perché il mito di Re Artù era stato, per molti, alleggerito in maniera eccessiva. Non mancarono però i complimenti per l’animazione, per l’aver creato dei personaggi unici, oltre alla scelta, premiata anche in questo caso, di aver ridotto il cast a pochi personaggi, così da poterli caratterizzare meglio ed evitare un cast troppo ridondante.
Con uno script frastagliato, inconcludente, ma comunque in grado di divertire e di essere, a oggi, tra i film comici meglio riusciti negli Studios di Walt, una leggenda metropolitana vuole che Disney avesse visto in Merlino molto di se stesso, rinnovando quella sua passione per gli stregoni, come già avvenuto per Yen Sia in Fantasia. Inoltre, dal cast de La spada nella roccia, la Maga Magò divenne quasi uno standard character delle produzioni a fumetti: l’originale Madam Mim, infatti, divenne una spalla di Magica De Spell, la nostra Amelia, e saltuariamente anche complice dei Bassotti.
Tra il 1963 e il 1970, la Maga Magò riuscì a conquistarsi uno spazio di tutto rispetto all’interno delle produzioni Disney, più di quanto accaduto a qualsiasi altro personaggio fino a quel momento derivante dai Classici. La Spada nella Roccia, in conclusione, solo negli anni è stato leggermente riabilitato, grazie anche agli studi di Neil Sinyard, professore emerito di film Studies all’università di Hull, nel Regno Unito, che arrivò a definire l’ultimo Classico di Walter Elias Disney quello più filosofico e più complesso mai prodotto dal cineasta di Chicago.
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