In Italia siamo sempre stati abituati alla fruizione di contenuti audiovisivi al cinema in lingua italiana, grazie al lavoro immenso che viene fatto dagli studi di doppiaggio e da tutte le persone che ne fanno parte: doppiatori, direttori, fonici, adattatori, traduttori e tutti i facenti parte di quel meccanismo. Si può affermare che la tradizione del doppiaggio in Italia sia, probabilmente, la più longeva e antica del mondo (anche se vedremo che non è nata propriamente in Italia) e in questo articolo racconteremo la nascita del doppiaggio e le sue origini.
L'avvento del sonoro
Siamo alla fine degli anni '20 e da qualche anno (precisamente dal 1927) il cinema manodiale sta vivendo una rivoluzione incredibile: l'avvento del sonoro. Tuttavia c'è un grosso problema, poichè il maggior esportatore di pellicole cinematografiche nella nostra Europa sono gli Stati Uniti D'America e nella maggior parte dei paesi della stessa, soprattutto in Italia, non c'è una sufficiente comprensione della lingua anglofona, oltre all'ostracizzazione dei regimi totalitari per qualsiasi prodotto che non sia "made in terra d'origine".
Se quindi in molti paesi europei si adattavano sottotitoli, questi erano fuori discussione in terra italica, proprio perchè il fascismo considerava qualsiasi influenza linguistica straniera come il male assoluto e un "attentato all'italianità". E visto che il nostro paese era uno dei maggiori importatori di pellicole americane, i produttori dovettero ricorrere ai ripari con una serie di manovre atte a rendere fruibili i propri prodotti ad ogni nazione.
La comparsa delle didascalie e i film in più versioni
In un primo momento, non essendo tutte le sale possibilitate a proiettare pellicole sonore, si decise di mutare i film inserendovi in mezzo delle lunghissime didascalie che ne descrivevano le scene e ne sostituivano i dialoghi. Ma si presentarono due grosse problematiche: il ritmo della pellicola veniva irreparabilmente smorzato rovinandone la visione e, soprattutto, buona parte della popolazione mondiale era analfabeta. Fu quindi adottato un secondo stratagemma decisamente più assurdo e complesso: realizzare più versioni della stessa pellicola, a seconda della lingua a cui era indirizzato.
A volte rimanevano gli stessi protagonisti e cambiavano solo i personaggi secondari, altre, invece, cambiava l'intero cast con attori che sapessero parlare la lingua a cui il prodotto era rivolto. Un esempio fu quello di Dracula del 1931, dove di giorno si girava la versione inglese con Bela Lugosi e di notte quella spagnola con Carlos Villarìas.
Se gli attori rimanevano americani, l'unico modo per poterli far recitare nelle altre lingue era scrivere le battute “così come si leggevano” su dei cartelli, che venivano letti da fuori campo. Due dei più famosi attori che fecero uso di questa pratica furono Laurel e Hardy (conosciuti da noi come Stanlio e Ollio), che tra il 1930 e il 1931 realizzarono molte di queste versioni in diverse lingue, tra cui l'italiano (e il cui accento ispirerà in seguito il doppiaggio delle loro pellicole da attori nostrani).
Potete quindi benissimo rendervi conto che quasi sempre i risultati erano abbastanza mediocri tra parole sbagliate, accenti non propriamente corretti e un caos incredibile nei vari set. Infatti, oltre al cast, venivano cambiate anche le troupe. Si provò addirittura a doppiare direttamente gli attori da dietro la cinepresa, con risultati disastrosi.
L'inizio della pratica del doppiaggio
Il primo esperimento di doppiaggio vero e proprio, però, arrivò nel 1929 ad opera del montatore della Fox Louis Loeffer e dell'attore Italo-americano Augusto Galli, che decisero di doppiare una scena del film "Maritati a Hollywood". Il risultato fu davvero rozzo e a dir poco deludente, ma si capì che si poteva fare e fece da apripista alla soluzione definitiva per arrivare al mercato italiano. Fu così che le major decisero di assumere attori italo-americani o emigrati negli States per poter doppiare i film da mandare sui grandi schermi italiani, tra cui alcuni film di punta della Metro Golwin Mayer come "Carcere", "La Savigliana" e "Trader Horn".
Fu proprio la MGM ad intensificare per prima la pratica del doppiaggio italiano, assumendo attori di grosso calibro americani, ma di origine italiana, come Carlo e Rosina Galli, Argentina Ferraù, la cantante Milly e Francesca Braggiotti. Anche la Fox non restò a guardare e ingaggiò altri attori tra cui Alberto Valentino, fratello del più famoso Rodolfo, nel ruolo di dialoghista, l'attore comico Frank Puglia come direttore del doppiaggio e Franco Corsaro come primo doppiatore ufficiale, arrivando a doppiare con questa squadra il film "Tu Che Mi Accusi", nel 1931.
I primi studi di doppiaggio
Nonostante il sempre più crescente utilizzo del doppiaggio, non vi erano ancora dei veri e propri luoghi specializzati nella realizzazione della pratica stessa; così la Paramount, che fino ad allora era stata in attesa per decidere se valesse la pena investire così tanto nel doppiaggio, creò in Francia, più precisamente a Joinville-le-Pont, il primo vero e proprio stabilimento dedicato esclusivamente al doppiaggio delle proprie pellicole, dove gli attori di ogni paese europeo venivano mandati per registrare le varie edizioni dei diversi film: il primo di questi fu "Il Dottor Jekyll" di Rouben Mamoulian, con Fredric March doppiato dall'attore teatrale e speaker radiofonico Olinto Cristina.
Tuttavia, nel 1932 il regime fascista impose che la pratica del doppiaggio fosse eseguita nel paese a cui era rivolta la pellicola, escludendo di fatto ogni produzione che venisse doppiata al di fuori dell'Italia. Fu così che nacquero i primi studi di doppiaggio in Italia: Foto Vox, Italia Acustica e Fono Roma furono i primi tre stabilimenti dediti unicamente al doppiaggio delle pellicole estere, con quest'ultimo che divenne il principale studio poichè sostenuto dalle più grandi major americane (20th Century Fox, Paramount e Warner Bros.) che gli affidarono direttamente le edizioni italiane delle proprie pellicole.
Fu così che molti attori teatrali e cinematografici dell'epoca, come Ugo Cesari, Tina Lattanzi e Augusto Marcacci ad esempio, continuarono per molto tempo l'attività di doppiatori, tanto da porre le basi per una vera e propria scuola di doppiaggio italiana, invidiata in tutto il mondo e dalle doti attoriali sicuramente impeccabili.
Nonostante gli iniziali problemi legati alla poca esperienza con i mezzi tecnici (si lavorava al buio e senza guida sonora) e le numerose censure attuate dal regime fascista, il doppiaggio era oramai parte integrante della cultura cinematografica italiana. Fu proprio grazie ad alcuni attori in particolare che si iniziarono ad attribuire i meriti alle voci italiane: Sandro Ruffini, Andreina Pagani, Marcella Rovena, Miranda Garavaglia Bonansea, Augusto Marcacci, Emilio Cicoli e tantissimi altri che, negli anni '30, contribuirono alla diffusione del doppiaggio in Italia e diventarono delle voci familiari e riconoscibili per tutti gli spettatori italiani.
Tuttavia, a parte in un breve periodo nel quale vennero dedicati addirittura dei veri e propri speciali sul doppiaggio di alcuni film in due riviste cinematografiche, il mestiere del doppiatore fu lasciato quasi totalmente nell'ombra, venendo addirittura esclusi nei titoli di coda delle pellicole: questo perchè, soprattutto verso la fine degli anni '30, non si doppiavano solo i film stranieri, ma anche quelli italiani, sostituendo le voci degli attori con quelle dei doppiatori.
Il doppiaggio nel dopoguerra
Con la fine della guerra e il desiderio delle persone di riprendere una vita normale, anche le sale cinematografiche riaprirono e iniziarono ad accogliere tutte le pellicole (specialmente americane) che non erano state distribuite negli anni del conflitto. Si ebbe quindi un numero incredibilmente elevato di film, spesso anche fondi di magazzino, che necessitavano di essere doppiati e distribuiti, soprattutto perchè molti di questi avevano ancora la presenza delle didascalie, o erano stati doppiati “alla buona” da attori italo-americani negli Stati Uniti. Fu quindi un'occasione per i doppiatori di far valere il proprio peso artistico, creando la Cooperativa Doppiatori Cinematografici (CDC), che voleva raggruppare le storiche voci del periodo precedente al conflitto (magari associando anche visivamente un determinato doppiatore ad un attore) e pretendeva garanzie sulla continuità del lavoro.
Poco dopo, però, nacque un'altra associazione, in diretta concorrenza con la CDC: l' Organizzazione Doppiaggio Italiano (ODI). Questa voleva porsi come un'alternativa alla freddezza e alla ripetitività di voci della precedente, proponendo principalmente voci nuove e non necessariamente simili all'attore madrelingua. La ODI, quindi, voleva prendere quella parte di mercato che non voleva identificarsi con le stesse identiche voci, ma anzi pretendeva varietà e diversità fra le stesse. Tuttavia, le due associazioni erano in una sorta di “competizione amichevole”, nella quale le varie case di produzione decidevano di affidarsi all'una o all'altra in base alle esigenze.
L'epoca moderna
Dopo quarant'anni, le major decisero di non affidarsi più alle associazioni, ma si rivolsero all'ormai libero mercato delle voci, anche se alcune come la CDC (diventata Sefit CDC) continuarono a essere comunque di riferimento. Lo standard, però, è ormai diverso e ci si rivolge principalmente a professionisti in grado di essere efficaci e aderenti al personaggio e non più (solo) per la somiglianza del timbro con quella dell'attore. Si predilige uno stile più pulito e raffinato, a differenza di quello “sporco” dell'originale, curandone in maniera impeccabile la dizione e la pulizia.
Vengono anche sospesi praticamente del tutto i ri-doppiaggi di pellicole nostrane, nonostante molti attori divennero famosi proprio grazie alle voci dei doppiatori italiani: ne è un esempio lampante quello della coppia Bud Spencer e Terence Hill, che avevano rispettivamente le voci di Glauco Onorato e Pino Locchi.
A differenza di quanto avveniva in passato, il ruolo di doppiatore ora è ufficialmente riconosciuto, tanto che le voci italiane appaiono anche nei titoli di coda con i relativi crediti ed è riconosciuta come una vera e propria professione facente parte del mondo dello spettacolo.
Nonostante i vari problemi che si possono riscontrare in determinate produzioni, a partire da alcuni adattamenti non proprio felici, la qualità del doppiaggio italiano resta altissima e, probabilmente, la migliore al mondo, che ha permesso a buona parte della popolazione di godere di un media importante come il cinema in maniera chiara e comprensibile.