La legge di Lidia Poët, recensione: concettualmente interessante ma strutturalmente semplice

La legge di Lidia Poët, il nuovo legal drama Netflix con Matilda De Angelis, delinea un percorso tra storia, riflessioni di genere e mistero.

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a cura di Nicholas Massa

In uscita il 15 febbraio su Netflix, La legge di Lidia Poët è una di quelle serie tv che si serve del suo genere per costruire una narrazione concettualmente ampia, sfruttando anche le vicende che hanno coinvolto la sua protagonista realmente esistita. Così ci troviamo per le mani un legal drama caratterizzato da casi abbastanza semplici nell’insieme, e da momenti gialli non troppo complessi, accompagnato da una protagonista estremamente forte e perfettamente caratterizzata.

La legge di Lidia Poët non è una serie tv troppo originale in termini di struttura narrativa, anche perché Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo hanno confezionato un prodotto strutturalmente classico, sviluppando le vicende personali e storiche della loro protagonista attraverso una serie di casi cui la vedremo partecipare, e attraverso cui impareremo a conoscerla.

La legge di Lidia Poët e di un mondo che fortunatamente è cambiato

Siamo alla fine del 1800, nel nord Italia, e Lidia Poët (Matilda e Angelis) è la prima donna sul territorio ad essersi laureata in legge con tutte le intenzioni di esercitare la sua professione. La realtà dei fatti però è ben diversa da quella che conosciamo oggi, e trattandosi di una società totalmente patriarcale in cui le donne sono escluse da praticamente ogni cosa, la sua iscrizione all’albo le viene ritirata dalla Corte d’Appello di Torino poiché considerata non legittima. Questo evento innesca una storia in cui vedremo la giovane combattere con una società bigotta e ostracizzante nei confronti del suo sesso, che non tiene minimamente conto delle singole abilità dell’individuo.

Ne La legge di Lidia Poët, quindi, abbiamo il racconto di una donna forte e brillante che tenta in tutti i modi di esercitare alcuni diritti che all’epoca non esistevano affatto. Il tutto con una narrazione scandita dai vari casi (omicidi e altro) cui è intenzionata a partecipare con l’obiettivo di aiutare il prossimo. In un contesto del genere però, non potendo in alcun modo far rispettare le proprie possibilità, subentreranno alcuni escamotage con cui procedere per la propria strada. Il sostegno del fratello Enrico Poët (Pier Luigi Pasino) si rivelerà fondamentale sia per la sfera lavorativa che per la sua sopravvivenza. Pur se di carattere burbero lo vedremo più volte sostenere la sorella, andando contro le titubanze del caso.

Non fatevi ingannare dalle apparenze però, La legge di Lidia Poët, pur sviluppandosi da presupposti storico-realistici, è una serie tv molto leggera che gioca continuamente con i suoi spettatori. Costruisce una narrazione molto classica e una protagonista che sa come stregare, senza scadere mai nel didascalico o nel saccente.

Una storia vera

Come anticipato anche sopra, Lidia Poët è realmente esistita. Si tratta della prima donna in Italia ad aver ottenuto la licenza di avvocato, dopo essersi laureata nel 1881 con una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne. Nel 1883 le revocarono la licenza e così Lidia ne fece un caso nazionale e internazionale ancora oggi fondamentale dal punto di vista della nostra storico-sociale.

La serie tv su Netflix si appropria delle ragioni della storia per poi rielaborarle in una narrazione non troppo incisiva nel suo insieme. Le tematiche principali sono palesi, anche se ibridate a una trama che vuole intrattenere inserendo momenti gialli e rosa molto classici. Uno dei pochi elementi a brillare veramente ne La legge di Lidia Poët è l’interpretazione di Matilda De Angelis. Il modo in cui caratterizza la protagonista, gli sguardi in camera, e una certa verve scenica riescono a rendere credibile un contesto che si percepisce a tratti artefatto, anche dal punto di vista formale. La sua Lidia è una donna forte ma non stereotipata, è indipendente e ribelle ma anche umana, ha momenti di esitazione e grandi rivincite, mettendo sempre in discussione tutto quello che la circonda e mantenendo alto l’interesse generale.

Un'Italia che sembra troppo perfetta

Un’altra caratteristica interessante ne La legge di Lidia Poët è la caratterizzazione formale ed estetica generale. Trattandosi di una serie in costume l’attenzione all’ambientazione e ai costumi risulta fondamentale. Da questo punto di vista non c’è moltissimo da dire, anche perché il contesto offerto di episodio in episodio funziona abbastanza bene, anche se alle volte la troppa cura di alcune scenografie rivela la realtà del set e la mano degli artisti che ci hanno lavorato. Ad equilibrare la situazione ci pensa la regia di Matteo Rovere (regista de Il Primo Re che, se intenzionati a recuperarlo trovate su Amazon) e Letizia Lamartire, sempre pronti a dare la giusta attenzione non solamente ai personaggi che sfilano in scena, ma anche ad alcuni dettagli fondamentali che aiutano ad alimentare l’immersione generale nel contesto cui tutti loro appartengono.

Nell’insieme La legge di Lidia Poët è una serie interessante e molto leggera, anche se sa graffiare quando serve. Dietro a una struttura di maniera e alle volte prevedibile, si nasconde un chiaro intento concettuale e femminista pronto a valorizzare ognuno dei suoi sviluppi più semplici. Ci troviamo difronte a una protagonista che è bene ricordare anche al di fuori della dimensione televisiva, e in questo la serie riesce perfettamente risultando anche pedagogica, in un certo senso. Purtroppo, alle volte, il valore di certe scelte intellettuali viene facilmente dimenticato da una storia che non osa mai fino in fondo, tamponando la crudeltà di un mondo che pur comparendo in scena non viene totalmente spogliata, anche se continuamente affrontata.

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