Miriam Maisel si è imposta come uno dei personaggi più riusciti del recente panorama seriale. Quando nel 2017 Prime Video ci invitava nel mondo di questa scoppiettante giovane newyorkese, difficilmente avremmo sospettato che Midge, come abbiamo imparato a chiamarla affettuosamente, ci avrebbe conquistati con il suo impagabile mix di ironia e fragilità. Cinque stagioni che, tra alti (molti) e bassi (pochi, anzi pochissimi), hanno contribuito a creare una serie cult, che proprio con la sua quinta stagione, arrivata oggi su Prime Video, conclude la sua frenetica corsa. Abbiamo avuto occasione di vedere in anteprima le prime otto puntate di La Fantastica Signora Maisel 5, rimanendo nuovamente rapiti della stupenda vivacità di questa stand up comedian ante litteram.
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Un finale che si attendeva con la dolceamara curiosità di scoprire come si sarebbe conclusa la caotica vita del clan Maisel e il dispiacere di separarsi da un personaggio così magnetico. Pur tributando tutti i meriti del caso a Rachel Brosnahan, perfetta interprete del personaggio, non si può non riconoscere a Amy Sherman-Palladino di aver intessuto un racconto che unisce dei tratti particolarmente propizi alla definizione di una figura affascinante. Che sia l’ambientazione della New York per eccellenza, quella dell’american dream resa celebre anche da Mad Men, o il basarsi su una comicità che ha puntato su una radice culturale specifica come quella ebraica, questa commistione di intuizioni ha consentito alla Palladino di dare vita a una storia fondata su un personaggio complesso e sfacettatto, una scheggia impazzita che si muove con leggiadra ironia all’intento di un mondo che fatica a comprendere ed accettare la sua unicità.
La Fantastica Signora Maisel 5: il grande finale della storia della stand up median più irriverente
Per sua natura, Miriam Maisel è un simbolo di libertà, spesso ostinatamente ferma sulle sue decisioni al punto di commettere errori imperdonabili per le rigide regole di una società ancora in evoluzione, ma incapace di accogliere nella propria mentalità una personalità vulcanica come quella di Migde. Un meccanismo di difesa, se vogliamo, che rende ancor più difficile per la donna cercare un proprio equilibrio, che le consenta di realizzarsi come individuo, tramite la sua attività da stand up comedian, e il suo ruolo socialmente imposto di madre e moglie. Una faticosa ricerca di stabilità che viene inseguita con determinazione e ironia, scontrandosi con limiti sociali e con opposizioni in seno alla stessa famiglia, che sminuisce la sua vocazione. Difficile non riconoscere in questi tratti universali di Midge un’eco con la nostra intimità, con le nostre sfide quotidiane, un transfer emotivo perfetto che ci ha consentito di rimanere fedeli a Midge anche nella quarta stagione, la più debole sinora.
Le aspettative per la quinta, conclusiva stagione della serie si concentravano sulla speranza di vedere Midge riprendere la propria rotta, dopo che gli eventi del precedente arco narrativo avevano lasciato emergere delle crepe non solamente nella sua determinazione, ma anche nella scrittura della serie stessa. Dopo averci appassionato per tre stagioni con un equilibrio narrativo di rara perfezione, era lecito attendersi un finale che non si limitasse a fare da chiusura a una delle serie più appassionanti degli ultimi anni, ma che desse una degna consacrazione a Miriam Maisel come donna, in tutta la sua profondità. La sensazione, invece, è che la writing room de La Fantastica Signora Maisel abbia sofferto troppo l’idea del distacco dalla loro creatura, mancando di trovare un giusto focus con cui riprendere le premesse del finale della precedente stagione, tradendo uno dei tratti principali dello stile narrativo della serie, eco della volontà stessa di Midge: prendersi il proprio spazio, i propri tempi.
Chiusura perfetta o occasione mancata?
Uno dei tratti più apprezzabili de La Fantastica Signora Maisel, molto più della sua aria da fiaba moderna, è l’invidiabile gestione della dilatazione dei tempi, quella lentezza che viene spesso criticata dagli spettatori impazienti, ma che in questa serie si era trasformata in meccanismo perfetto per consentire a Midge e ai suoi compagni di vita di vivere un’esistenza favolosamente sfalsata, con il mondo lentamente sullo sfondo a proseguire la sua corsa folle mentre Miriam, Suzie e Joel si ritagliavano spazi e tempi propri per ritrovare se stessi, per evolvere. Due tempi narrativi che rispettano il reciproco tempismo, inseguendosi e cercandosi l’uno l’altro, come in una perfetta sequenza comica, in cui si possono riproporre cavalli di battaglia (personaggi tradizionali) o presentare nuove battute (volti nuovi). Per tre stagioni La Fantastica Signora Maisel ha fatto di questa meccanica la sua essenza, riuscendo a preservarla anche nel più fragile arco narrativo.
Questo è il vero motivo per cui la quinta stagione della serie appare fuori contesto, con una brusca accelerata del ritmo. L’idea di muoversi su due piani temporali impone una radicale rivoluzione nei tempi, scelta che sembra maggiormente dettata dalla fretta di chiudere quanti più sospesi possibili anziché dalla sincera volontà di mostrare un’evoluzione familiare concrea e vivida, cercando un focus su come le scelte di una madre ricadano sui figli. Il risultato è una gradevole sequela di eventi che mantiene il suo designa coreografico, specialmente nel presente di Miriam, salvo poi far trapelare la sensazione di una chiusura rapida e sin troppo incisiva, che sacrifica alcuni personaggi che avrebbero meritato maggior considerazione, penalizzato soprattutto dalla scelta di introdurre elementi narrativi come i flashforward che mal si conciliano con la tradizione narrativa della serie. Concessione a una narrativa simbolo di altre produzioni o tentativo di comprimere la cronologia della serie per arrivare a una conclusione soddisfacente? Dubbio che rimane alla fine degli episodi, in attesa che la nona puntata possa almeno consentire di accomiatarsi dal suo pubblico con un’ultima, sagace battura, da vera regina dello stand up comedy.