La donna alla finestra, recensione del thriller con Amy Adams

La donna alla finestra, il nuovo thriller psicologico diretto da Joe Wright, è disponibile su Netflix. Ecco la nostra recensione.

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a cura di Simone Soranna

Disponibile dal 14 maggio sul portale Netflix, La donna alla finestra è l’attesissimo thriller psicologico diretto da Joe Wright. Il regista di film molto amati dal grande pubblico come Orgoglio e pregiudizio, Espiazione, Anna Karerina e il più recente e premiato agli Oscar L’ora più buia, torna dietro la macchina da presa per adattare per il grande schermo il romanzo omonimo scritto da A. J. Finn. Supportato da un cast di tutto rispetto, La donna alla finestra è un viaggio negli angoli più reconditi della psiche umana: un film che permette allo spettatore di fare i conti con le sue paure più profonde in un viaggio allucinato e allucinante dove nulla è quel che sembra.

Spiare senza essere osservati

Amy Adams, che abbiamo recentemente apprezzato nella Snyder Cut di Justice League, interpreta Anna Fox, una donna che letteralmente non esce di casa da diversi anni. Nel suo passato infatti si cela una terribile lacuna affettiva: un’incidente d’auto di cui si sente responsabile ha travolto le vite di sua figlia e suo marito (interpretato, seppure per pochi minuti, dal nuovo Captain America, ovvero Anthony Mackie). Dopo queste terribile fatto, la donna non è più riuscita a riprendersi e ha sviluppato una fortissima agorafobia in grado di generarle una massiccia dose di ansia e stress ogni volta che si avvicina all’uscio di casa.

Quando avrà modo di iniziare a conoscere i Russell, i suoi vicini di casa, le cose poco alla volta degenereranno. Anna infatti è convinta di aver assistito, spiando dalla finestra, all’omicidio della signora Russell (interpretata da Julianne Moore) per mano del violento e irascibile capofamiglia (Gary Oldman). Tuttavia, una volta sporta denuncia alla polizia, l’uomo si presente dinanzi agli agenti con accanto un’altra donna (Jennifer Jason Leigh) dimostrando che sia lei sua moglie e screditando quindi la versione di Anna. Da questo momento in poi, La donna alla finestra si trasforma in un labirinto misterioso e intricato mirato a seguire le indagini personali della protagonista che, sotto gli effetti di pesanti antidepressivi, non riuscirà più a capire di chi fidarsi.

Un film dal sapore hitchcockiano

L’idea di “immobilizzare” un protagonista all’interno di un ambiente ben circoscritto facendogli sbirciare quel che accade all’esterno senza poter intervenire non è chiaramente una novità nella drammaturgia cinematografica. Gli esempi non si contano ma, ovviamente, il riferimento principale non può che essere Alfred Hitchcock. L’intuizione di spiare senza essere osservati era una delle ossessioni cardinali del Maestro del brivido. Secondo il suo pensiero infatti, l’atto stesso dello spettatore (e del regista prima di lui) è proprio quello di poter assistere all’evolvere di una storia da un punto di vista sicuramente privilegiato. La donna alla finestra vuole inserirsi in questo solco di idee, omaggiando esplicitamente due lavori di Hitchcock come La donna che visse due volte e La finestra sul cortile.

Nel primo infatti, l’investigatore interpretato da James Stewart finiva in una spirale disorientante in cui la verità continuava a sottrarsi al suo sguardo per via delle vertigini, di cui l’uomo soffriva, sempre pronte a ostacolare le sue indagini. Nel secondo invece, sempre Stewart interpreta un fotoreporter annoiato costretto a una convalescenza domestica per via di una frattura alla gamba. Per ingannare il tempo, spia i vicini di casa sino a diventare testimone di un omicidio. Proprio questo lungometraggio è il più omaggiato in La donna alla finestra, che spesso ricalca quasi in scala uno a uno il capolavoro di Hitchcock.

Un cast stellare

Tuttavia, seppur Joe Wright abbia già dimostrato nella sua carriera di sapersi destreggiare all’interno di spazi angusti, anzi, di prediligerli per provare a reinterpretare con audacia alcuni testo o fatti storici “claustrofobici” (si pensi alla rilettura drammaturgica di Anna Karenina o all’asfissiante L’ora più buia), in La donna alla finestra il regista sembra soffrire un po’ troppo il paragone con il suo Maestro. Volendo emulare Hitchcock, Wright perde la misura della regia e preferisce nascondere la sua mano invece di metterla in mostra.

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Per fortuna, a supportare questa lacuna corre in aiuto del film un cast stellare in ottima forma. Tutti gli interpreti, da Amy Adams a Gary Oldman passando anche per la sempre bravissima Jualianne Moore, regalano grandi emozioni. Sembra quasi di assistere a una sorta di sfida attoriale in cui, di volta in volta, i partecipanti dovranno convincere il pubblico e prima ancora il regista di essere migliori dei loro colleghi. A proposito, una piccola curiosità: oltre al già citato Anthony Mackie, nel cast è presente anche Wyatt Russell a sua volta reduce dalla serie Marvel The Falcon and the Winter Soldier.

Tanto rumore per nulla

Se l’intensità del cast resta la qualità primaria del film, La donna alla finestra non riesce a convincere del tutto, soprattutto per la sua rappresentazione della "discesa in abisso" vissuta dalla protagonista. Joe Wright spinge troppo sull’acceleratore e preferisce accumulare situazioni grottesche e dai tratti horror che alla lunga risultano un po’ stucchevoli e superate. Il film funziona meglio e riesce a spaventare il pubblico come vorrebbe quando rimane all’interno di una dimensione più intima, personale e per questo motivo comune ai più.

Tutti i colpi di scena finali risultano invece un po’ telefonati ed eccessivi, quasi come se smorzassero la tensione e finissero per dispiegare le pagine di un copione che risulta più efficace e avvincente quando preferisce sposare la sottrazione invece dell’accumulo. Si urla tanto in La donna alla finestra, anzi si urla troppo. Joe Wright prova a sfruttare questa componente cinematografica ma non si dimostra molto all’altezza del compito. Lascia il segno invece quando tocca corde emotive a lui più congeniali, come una chiacchierata tra amiche o un diverbio familiare. Peccato però che a questi momenti sia concesso meno spazio del previsto, ne avrebbe sicuramente giovato l’esito complessivo di un film affascinante ma anche imperfetto.

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