In un panorama televisivo e cinematografico internazionale dominato da prodotti statunitensi, inglesi e solo saltuariamente da sparute produzioni europee, vedere comparire sul catalogo di Netflix una serie ad alto budget realizzata dai (sud) coreani è alquanto spiazzante. Cosa ancora più curiosa è scoprire la particolare natura di Kingdom: uno strano miscuglio fra dramma in costume ambientato nel medioevo coreano -più precisamente nel bel mezzo dell'epoca Joseon (1392-1897) - e il film di genere horror con gli zombie, anche se è più giusto chiamarli infetti nel gergo degli appassionati, visto la loro medaglia d'oro nell'atletica leggera.
La premessa dello show è tanto solenne quanto all'apparenza assurda e trash: il Re della nazione soccombe a una misteriosa malattia che getta nel panico le sfere alte del governo, spingendo addirittura una componente dell'élite ad avanzare un golpe per far insediare il Principe ereditario, nato da una relazione illegittima. Nella ricerca della verità sulle condizioni del padre, il Principe parte per un viaggio in incognito insieme alla sua guardia più fidata nella regione più a Sud per scoprire le origini della malattia, trovandosi però nel bel mezzo di una epidemia che risveglia di notte i morti e li rende delle fameliche creature assetate di sangue.
Raccontata così la storia sembra uno di quei prodotti mediocri a tema zombie che hanno invaso il mercato qualche anno fa (qualcuno se lo ricorda Orgoglio e Pregiudizio Zombie?) che volevano famelicamente una fetta del clamoroso successo di The Walking Dead, ma fortunatamente Kingdom è la dimostrazione della bravura e dell'indipendenza stilistica dei cineasti coreani. Tralasciando un titolo poco originale e stra abusato - esistono già due serial occidentali con il medesimo nome - la storia del Principe e del suo gruppo di sopravvissuti è un racconto di ribellione e indipendenza mascherato da teste mozzate e tanto splatter. Lo stesso protagonista nel corso di queste prime sei puntate mostra una forte evoluzione della sua figura, da studioso solitario che rivendica egoisticamente la sua eredità a leader scelto dal popolo per il suo carisma e bontà d'animo.
La sceneggiatura lancia un attacco diretto all'aristocrazia di corte, abbarbicata nei suoi sfarzosi palazzi e incapace di gestire la crisi della malattia, preferendo darsi alla fuga per salvare i propri beni materiali, mentre il popolino, quello vestito di stracci e in piena carestia, si rimbocca le maniche e resiste con il sangue all'avanzata dei morti viventi. Anche se ambientato in un periodo storico a noi occidentali quanto mai distante e differente, possiamo scorgere nel testo di Kingdom lo stesso spirito socialista che animava i grandi film di genere del compianto Romero e di tutto il filone dell'horror sociale degli anni '70. A differenza di un blando Walking Dead che ormai si regge sulle stampelle, il messaggio di Kingdom è potente ed attuale anche nei nei suoi momenti più banali.
Anche le creature, per come sono state tratteggiate, rappresentano il ritorno dall'oltretomba di quella parte di società allo sbando e dimenticata dalle sfere alte. Non è un caso che siano gli appestati le prime vittime dal morbo, che si risvegliano da una morte apparente durante le ore notturne per andare a caccia di carne fresca da divorare e infettare. Il primo grosso contagio, un po' per caso un po' simbolicamente, inizia quando i corpi dei rianimati si risvegliano davanti a una platea di nobili, che diventano le prime vittime del massacro.
Kingdom è il risultato di un grossa produzione per la scena coreana, ma anche per quella internazionale: interi set storici costruiti da zero, costumi storici accurati e un lavoro di trucco eccellente regalano un colpo d'occhio verosimile e credibile, coadiuvato da una ottima e particolare regia, che tratteggia efficacemente sia gli eccessi visivi della corte reale sia le sporche e insanguinate capanne assaltate dagli infetti. Le sequenze di inseguimento, con enormi orde di infetti alle calcagna dei protagonisti, sono i momenti più impressionanti e complessi dello show, se non addirittura del panorama recente in televisione.
L'unico peccato per lo show è la sua durata ridotta: con un ritmo incalzante e situazioni avvincenti, le sei puntate filano via troppo velocemente, lasciando lo spettatore sul più bello dopo una serie di importanti e traumatiche rivelazioni e la situazione di precarietà in cui sono rimasti bloccati tutti i personaggi. La conferma della seconda stagione ci rincuora, ma sicuramente non la vedremo in tempi brevi visto l'immenso lavoro della produzione. Assolutamente da non perdere se amate il genere, per tutti gli altri un'occasione per "assaggiare" questo tipo di storie.
Un altro fantastico film di genere ad opera dei coreani è Train to Busan insieme al suo prequel animato Seoul Station, entrambi raccolti in questa fantastica edizione home video.