Era il 15 aprile 1995 quando Johnny Mnemonic venne proiettato per la prima volta in Giappone, nazione scelta non a caso per ospitare la premiere di quello che voleva imporsi come la pietra di paragone per ogni futura produzione cinematografica intenzionata a confrontarsi con il cyberpunk. L’influenza della cultura giapponese, infatti, era una componente essenziale di questa visione cinica canonizzata da William Gibson con il suo Neuromante, motivo per cui si identificò il paese del Sol levante come l’ideale punto di partenza della marcia trionfale di Johnny Mnemonic. Il fatto che poi il film non ottenne il successo sperato, ovviamente, rese questa romantica scelta quasi una beffa, considerato come questa prima discesa di Keanu Reeves nel cyberpunk si rivelò una delle maggiori delusioni cinematografiche del periodo. Oggi possiamo guardare a Johnny Mnemonic come un esperimento coraggioso e, tutto sommato, abbastanza folle, spinto in parte dalla voglia di Gibson di vedere sul grande schermo una manifestazione tangibile del proprio immaginario, ma soprattutto animato dalla volontà di Sony di cavalcare l’onda del successo che il cyberpunk stava avendo in quegli anni.
Il cyberpunk al cinema
Prima dell’arrivo di Johnny Mnemonic, il cyberpunk aveva solo scalfito l’immaginario cinematografico. Gli spettatori avevano ancora gli occhi folgorati dalla Los Angeles cupa e scalfita dai violenti neon di Blade Runner, ma a godersi lo spirito autentico del cyberpunk erano principalmente i lettori, che cercavano nuove avventure di street samurai e commistioni uomo-macchina in romanzi, fumetti e manga. Se in America William Gibson guidava una generazione di autori cyberpunk, in Giappone i manga, in modo autonomo, stavano contribuendo alla definizione estetica del genere con titoli come Akira di Otomo o Ghost in the Shell di Shirow. Nessuna competizione, ai due estremi dell’oceano Pacifico diversi autori stavano concorrendo a creare una visione del futuro che si completava, dando vita all’estetica cyberpunk.
E questa cura amorevole si tradusse in un successo incredibile per il genere, che non rimase legato a un contesto underground ma si ritagliò un ruolo di tutto rispetto all’interno della cultura del periodo, arrivando anche a bussare alle porte della fantasia di Robert Longo, un virtuoso delle arti, che partendo dai suoi studi in sculture e disegno, si era approcciato al mondo dei videoclip, realizzando nei primi anni ’80 dei video per alcuni gruppo americani, tra cui i R.E.M. Ma l’idea di realizzare un qualcosa di più impegnativo, come un film, lo tentava, doveva solo trovare l’ispirazione giusta.
Mentre Longo elabora questo percorso creativo, il cyberpunk comincia ad avvicinarsi sempre più alla realtà. Il cyberspazio ipotizzato nei romanzi sembra prendere forma nella diffusione delle reti internet, il crescente influsso della tecnologica nella quotidianità rende alcuni scenari del cyberpunk sempre più concreti. In questa evoluzione del rapporto tra immaginario cyberpunk e quotidianità si inserisce anche un crescente interesse dell’industria cinematografica per un contesto narrativo simile, una curiosità che sarebbe divenuta la fortuna (o forse la sfortuna) di Longo.
Nello stesso periodo, William Gibson era tentato dal portare la propria narrativa fuori dalle librerie e al cinema. L’incontro con Longo fu il catalizzatore di questa volontà, che prese inizialmente la forma di un art film, ossia una produzione a basso costo, rivolto a un pubblico di nicchia, il cui distacco dalle logiche di mercato della grande distribuzione consentiva registi e sceneggiatori di sperimentare, narrativamente e tecnicamente. Longo e Gibson decisero che un art film sarebbe stata la scelta ideale per realizzare una pellicola cyberpunk, una convinzione che li portò a concepire un progetto basato su uno dei primi racconti di Gibson, Johnny Mnemonico.
Scritto da Gibson nel 1980, Johnny Mnemonico è uno dei primi lavori dello scrittore canadese, che dopo una prima pubblicazione all’interno di una rivista di sci-fi, fu selezionato per comparire nell’antologia La notte che bruciammo Chrome (1986). Pur trattandosi di un racconto di una ventina di pagine, Johnny Mnemonic era la base da cui in seguito si sarebbe sviluppato il concept della Trilogia dello Sprawl, il trittico letterario di Gibson composto da Neuromante, Giù nel cyberspazio e Monna Lisa Cyberpunk. In Johnny Mnemonic si intravede già quello che sarebbe divenuto uno dei tratti distintivi del mondo cyberpunk di Gibson:
“Siamo un'economia fondata sull'informazione. Lo insegnano anche a scuola. Quello che non dicono è che è impossibile muoversi, vivere, operare a qualunque livello senza lasciare tracce, segni, frammenti di informazione apparentemente privi di significato. Frammenti che possono essere recuperati e amplificati”
Quando Longo e Gibson instaurano la loro collaborazione, Johnny Mnemonic diventa il punto di partenza del loro art film. Consci di come per realizzare questa produzione non servissero grandi fondi, i due bussano alle porte di diverse major, che non nascondono il loro scetticismo soprattutto per un aspetto: la richiesta del budget. Longo e Gibson, infatti, non puntano a realizzare un blockbuster, ma pensando di rivolgersi a un pubblico di nicchia reputano sufficienti cinquecentomila dollari. Una richiesta così esigua spinge i grandi nomi di Hollywood ad avere scarso interesse per il progetto, una situazione che Longo ricorda venne superata quando si aumentò drasticamente la richiesta di fondi:
“Il nostro progetto era nato come un art film da mezzo milione di dollari, ma si trasformò in una produzione da 30 milioni perché non riuscivamo a ottenere mezzo milione!”
A farsi carico della produzione di Johnny Mnemonic fu la Sony Pictures, ramo cinematografico della multinazionale.
Marketing in Rete
Sony, infatti, aveva intravisto in questo curioso progetto la possibilità di cogliere il crescente interesse per il cyberpunk trasformando Johnny Mnemonic in una produzione multimediale, tramite una sinergia tra le diverse divisioni entertainment della società: Sony Pictures per il film, Columbia Records per la commercializzazione della colonna sonora e Sony ImageWorks per la realizzazione di un videogioco.
Per Johnny Mnemonic, Sony decise di realizzare una campagna marketing che utilizzasse tutte le potenzialità offerte da internet. Venne creata una nuova divisione marketing solo per la promozione di questo film, per cui venne realizzata una caccia al tesoro online con ricchi premi, oltre a un sito su cui era possibile partecipare a concorsi con in palio ricompense esclusive legate al film. Gibson, solitamente restio a partecipare alla promozione dei propri lavori, decise di accettare l’invito di Sony di prestarsi a rispondere in esclusiva ai propri fan sul sito di Johnny Mnemonic, esperienza che lo scrittore commentò così:
“Non mi sono mai sentito a mio agio con il marketing dei miei lavori, ma la natura della mercificazione ha richiesto la mia presenza a volte. In questo caso, pensai che la cosa più elegante da fare fosse di accontentarli e seguire il piano. Con l’idea della caccia al tesoro, mi parve che Sony stesse tentando di esplorare un nuovo orizzonte. Non erano gli utenti a esplorare il cyberspazio, era Sony che si stava chiedendo ‘questo è ciò che possiamo fare?’. E pensai che fosse interessante”
L’intenzione, quindi, era di arrivare al cinema con un film che diventasse un cult, ma Johnny Mnemonic aveva le caratteristiche per ambire a questo ruolo? Stando ai risultati al botteghino, assolutamente no.
A fronte dei 30 milioni di dollari investiti da Sony, grazie a un risultato tutto sommato positivo nel mercato internazionale Johnny Mnemonic incassò poco meno di 52 milioni. Sembra incredibile che la genialità di Gibson possa portare a un flop simile, ma il mondo immaginato dallo scrittore canadese non arrivò nella sua forma autentica in sala, costretto a piegarsi ad alcune delle idee della major in termini di spettacolarità. Il mistero di questo fallimento si può trovare in una dichiarazione di Gibson, del 2003 rilasciata a SuicideGirls:
“Longo ha lavorato su una sceneggiatura scritta da me, e di cui ero soddisfatto. Il dramma di Johnny Mnemonic è che era nostra intenzione provare a girare un action movie ironico, in parte legato ai classici della fantascienza. Noi non pensavamo certo a realizzare un film mainstream con protagonista Keanu Reeves”
Johnny Mnemonic: portare il cyberpunk al cinema
Per Hollywood, nel 1995 il cyberpunk era un terreno ancora da esplorare e la nuova dimensione virtuale non era quella immaginata da Gibson, ma piuttosto un universo spigoloso e psichedelico da realizzare in computer grafica, come avvenuto con Il Tagliaerbe, che in quegli anni divenne il metro di paragone nell’immaginare il ‘virtuale’.
Il materiale originario di Gibson, invece, si muoveva su una direzione differente, in cui la visione dello scrittore dei pericoli della tecnologia futura erano trasmessi con situazioni emotivamente coinvolgenti. Tenendo presente il racconto che ha ispirato questo film, ci sono notevoli differenze, delle assenze che rendono fragili, all’interno del film, dei dettagli che sarebbero stati invece utili per dare maggior coerenza alle imprese del corriere mnemonico.
https://youtu.be/Uwl5MBzTCRQAlcune di queste mancanze furono causate dai tagli imposti dalla produzione, che dopo una prima versione per il mercato nipponico, sottopose la pellicola a pesanti modifiche, che peggiorarono ulteriormente una storia che anziché appellarsi allo spirito autentico del cyberpunk sembrò virare verso un racconto fantascientifico a tratti comico, seppure involontariamente. Gibson, conscio della qualità discutibile di Johnny Mnemonic, non ha mai nascosto la sua opinione:
“Sostanzialmente, quello che è avvenuto è che il film venne preso, tagliato e rimontato dal distributore americano l’ultimo mese prima della sua uscita, e dall’essere una pellicola davvero alternativa e divertente divenne qualcosa che era stato fatto a pezzi senza ragione e montato per avere un’aria più mainstream”
Comprensibile che Gibson difenda il suo operato, ma non si può negare che Johnny Mnemonic si dovette confrontare anche con alcune scelte poco felici sul piano narrativo. Se all’epoca del racconto originale alcune idee avevano un certo fascino, la trasposizione cinematografica mostrò una certa fragilità concettuale, come il far credere che fosse più sicuro il cervello di un corriere mnemonico rispetta a un disco memoria, in un periodo in cui la tecnologia ipotizzata iniziava a essere una presenza sempre più diffusa nelle case. Non era tanto il concetto in sé, quanto la resa narrativa a sembrare poco credibile.
A questo va aggiunto il fatto che l’immaginario fantascientifico del periodo era ancora condizionato dalla Los Angeles di Blade Runner, che a distanza di anni ancora mostrava una qualità superiore allo Sprawl di Johnny Mnemonic. La dialettica e l’estetica del cyberpunk non era ancora divenuti un patrimonio diffuso, erano ancora un privilegio di pochi appassionati che si erano avventurati in megalopoli affascinanti grazie all’animazione giapponese, che, ispirandosi ai manga simbolo del genere, aveva partorito dei capolavori cyberpunk come Akira e Ghost in the Shell. Chi amava il cyberpunk aveva a disposizione pietre di paragone scomode per Johnny Mnemonic, mentre gli spettatori in cerca di un’avventura fantascientifica si trovarono di fronte a predicatori folli, corrieri mnemonici e un delfino mutante eroinomane.
Quello che avrebbe potuto essere il primo capitolo di una lunga relazione tra la narrativa cyberpunk di Gibson e il mondo del cinema non prese mai il via, visto gli scarsi risultati di Johnny Mnemonic. Un peccato, considerato che in Neuromante tornava in azione Molly, la guarda del corpo interpretata da Dina Meyer, occasione in cui si scopriva la sorte toccata a Johnny. Il mosaico dello Sprawl creato da Gibson non si concretizzò mai pienamente al cinema, ma il suo spirito riuscì in qualche modo ad arrivare nell’immaginario cinematografico.
Nonostante tutte queste debolezze, infatti, Johnny Mnemonic fu comunque parte della diffusione del cyberpunk presso il grande pubblico. I tratti essenziali del genere erano ben marcati, per quanti mitigati in favore della presunta spettacolarità voluta dalla major, tanto da trasformare questa pellicola in un trampolino di lancio per il cyberpunk cinematografico, che negli anni successivi avrebbe trovato delle incarnazioni di maggior spessore come Strange Days e Matrix. E perché no, anche il nostrano Nirvana.