Se i giocattoli sono cibo per la mente, e siamo quello che mangiamo, allora dobbiamo scegliere bene! A Lucca Comics and Games, Hasbro ha presentato tutte le novità del suo paniere di action figures, giocattoli come Transformers o figures dei mondi Marvel e Star Wars. Nell’eccellente panel che ha incontrato l’affezionatissimo pubblico c’era anche Emiliano Santalucia, toy designer freelance classe 1975 che per Hasbro lavora ai brand Transformers e Guerre Stellari, ma che ha iniziato la sua carriera lavorando a serie come “Masters of the Universe” e “G.I. Joe”.
Lo abbiamo incontrato in questa occasione e gli abbiamo chiesto un po’ a bruciapelo:
“Ma toy designer, che lavoro è?”
È un lavoro stranissimo. Non so a cosa paragonarlo e siamo davvero pochi a farlo. Significa stare a casa a disegnare come un disegnatore di fumetti, ma con il lavoro che cambia di giorno in giorno.
C’è qualcosa da cui trai ispirazione per il tuo lavoro?
La creatività è incanalata. Significa che non posso ispirarmi liberamente alle cose: quello che cerco di fare è capire a fondo i personaggi con cui lavoro e tentare di restituirne un aspetto o degli aspetti che siano coerenti con loro stessi.
I giocattoli che tu disegni abbracciano ogni tipo di pubblico?
Sì, a seconda del tipo di giocattolo. Posso lavorare a dei prodotti più per collezionisti o per bambini, o per entrambi. Ognuna di queste tipologie può avere differenze sia in come viene pensata, sia realizzata.
È da tempo in atto, in generale nei prodotti culturali, una spinta verso il vintage: in pratica, ora che possiamo, ci ricompriamo i giocattoli che la mamma ci ha buttato via. Ma come si fa ad andare incontro alle nuove generazioni?
Non saprei risponderti con certezza perché al momento siamo molto focalizzati sul guardare indietro. Con cose nuove, si va a scontrarsi con il vecchio pubblico perché c’è un muro abbastanza forte. Con i prodotti Hasbro guardiamo a entrambi i pubblici, ma ciascuna azienda decide se e come fare questo tipo di scommessa. Guardare al passato è certamente una sicurezza.
Che tipo di muro è, questo di cui mi parli?
Si tratta di un muro tra nuove e vecchie generazioni. Il fatto che i più giovani siano nativi digitali è una delle caratteristiche: i bambini giocano molto meno e per molto meno tempo con il giocattolo. Noi giocavamo fino agli 11-12 anni, ora sopra i 7 è già difficile, ed è difficile catturarne l’attenzione e costruire una fedeltà a un brand come potevamo averli noi da piccoli che poi seguivamo il marchio per anni. Ora, o lo si abbandona subito, o è difficile che un marchio viva a lungo prima di innovarsi: i Trasformers per esempio, per bambini, propongono una serie nuova ogni 3 anni.
Ma ho l’impressione che ci sia un altro problema..
Ci sono dei prodotti, anche di intrattenimento, che sono molto più attuali ma che trovano un muro culturale e ideologico nelle persone. Certe cose che per chi cresce adesso sono molto più accettate, ma per i consumatori più grandi non accade. Ne sono un esempio le questioni sui protagonisti femminili o le etnie diverse nei film di Star Wars. Io lì vedo un muro, supportato dai social media che danno molto spazio a ‘proteste’ di questo tipo che nascondono, o meglio non nascondono, misoginia e razzismi di vario tipo.
Quindi le eroine i bambini le accettano, gli adulti no.
È così: fino a una certa età non ci sono problemi, mentre gli adulti la vedono come un attacco a una identità, anche se non lo è.
-Momento di riflessioni silenziose, imbarazzanti ma condivise, sull’umanità-
Senti… come si diventa toy designer?
Non lo so –
risponde scherzando ma non troppo -. Il percorso naturale di chi va a lavorare in queste aziende è il product design, design industriale, che da una formazione rispetto a progettazione e produzione. Non vengo da quel mondo: ero un disegnatore di fumetti ma appassionato di giocattoli. E quando mi sono proposto alle aziende specializzate, hanno accettato i miei lavori. È stata la mia voglia di guardarli, giocarci, capire come vengono ideati e realizzati, a fare la differenza. In undici anni di lavoro ho imparato così tutto quello che non conoscevo. Disegnando, pensavo già tridimensionalmente”.
Ma ,in una società liquida come quella in cui viviamo, come cambia il ruolo del giocattolo?
Sto cercando di capirlo anche io. Da una parte ovviamente tutte le grandi aziende come Hasbro tentano di ibridare le cose, mettendo insieme nuove tecnologie e nuovi modi di giocare, in modo che ci siano fisicità e virtuale, ma che comunichino tra loro. Si tratta di un processo in divenire e difficile da prevedere. Quello che è certo, si è ristretta la finestra di utilizzo del giocattolo ed è un peccato. Non solo perché sono belli, ma perché secondo me si perde lo spazio interpretativo che un giocattolo ti dà.
Spiegami meglio…
Al di là della misura in cui puoi comandare un personaggio in una storia già scritta, con la possibilità di seguire delle tappe create prima, c’è una differenza grande tra avere una cosa fisica in mano e immaginare quello che c’è intorno ad essa per calarla in un set e simulare una situazione narrativa. Avere una action figure in mano è lo stimolo per creare, indovinare, immaginare, cercare e trovare play set usando tutto, dai pezzi di legno alle scatole dei prodotti.. il concetto di immaginare, costruire il mondo e le storie con la propria mente, è importante a livello di crescita e formazione. Se tutto è già stabilito e preordinato.. lotti male. Preferirei fosse il bambino a costruirsi le sue storie
Siete dei collezionisti o semplici amanti del brand Transformes? A portata di un click potete trovare sia oggetti unici sia giocattoli per "grandi e piccini" legati al mondo dei "robot trasformabili".