Continuano le nostre interviste ai professionisti del doppiaggio, gli attori che ci consentono la fruizione di progetti oltreoceano in lingua italiana, grazie all'egregio lavoro che viene fatto per garantirne un'altissima qualità. Quest oggi, e' il turno di Jacopo Calatroni, classe 1987 e doppiatore da almeno una decade, che ci racconterà le sue prime esperienze e l'amore che prova per la sua professione e per alcuni dei personaggi che ha interpretato, tra i quali Peter Parker in Marvel's Spider-Man, Eijiro Kirishima in My Hero Academia e Akira Fudo in Devilman Crybaby.
Come mai hai deciso di fare il doppiatore?
Vorrei risponderti che è sempre stato il mio sogno e raccontarti una storia strappalacrime in stile romanzo di formazione, ma la verità è che è stato un insieme di contingenze casuali a portarmi davanti al leggio. Da ragazzino volevo fare il regista, e a sedici anni cominciai a studiare recitazione per avvicinarmi al palcoscenico. Scoprii che stare in scena mi piaceva, forse più di dirigere, e siccome secondo la mia insegnante ero piuttosto portato, passai al corso avanzato, quello degli universitari, insieme a ragazzi e ragazze più grandi di me di almeno un paio di anni, e mi unii a due compagnie di Pavia. In una di queste facevamo per lo più spettacoli per bambini, e scoprii che lavorare sulla voce per dare credibilità ai tanti personaggi diversi che mi trovavo a interpretare durante i frenetici spettacoli era una delle cose che mi venivano più naturali.Proprio in quel periodo, una mia amica mi propose di provare a doppiare assieme a lei una clip di Kingdom Hearts, videogioco che adoravo: il "fandub" come fenomeno era ancora molto lontano dal realizzarsi e diventare quello che è oggi, ma sporadici gruppi di adolescenti stavano iniziando a scoprire che Windows Movie Maker e i microfonini da 10 euro della Trust insieme potevano fare delle magie con un po' di inventiva. La scintilla scoccò poco dopo, quando conobbi alcune persone che il doppiaggio lo facevano per davvero, diedi al tutto una patina di realtà e professionalità contrapposta alla versione amatoriale in cui mi ero cimentato...e capii quello che davvero avrebbe dato una svolta alla mia vita: con la giusta preparazione, forse la recitazione applicata alla voce poteva davvero diventare il mio lavoro.
Raccontaci le tue prime esperienze: i primi provini, le occasioni mancate, le prime soddisfazioni...
Mi ricordo i primi anni come estremamente frenetici, tra mille insicurezze e frustrazioni. Facevo l'università, perché volevo finire la mia formazione, ma anche perché sotto sotto a questo sogno del doppiaggio non credevo del tutto. E non avevo torto a pensarla così: ho visto decine e decine di persone fallire in questi anni, e ho benedetto la mia lungimiranza dell'epoca per aver pensato anche a un piano B che potesse salvarmi le chiappe nel caso in cui il doppiaggio non fosse "la mia cosa".Ero diviso tra assistere ai turni, chiedere i provini, le lezioni in università, i lavoretti con cui mi barcamenavo per mantenermi e altre mille cose. I miei genitori mi pagavano già l'istruzione, volevo pesare il meno possibile su di loro, ma vi assicuro che passare la mattinata a scuola a gestire progetti educativi per adolescenti, o trascorrere il weekend a scaricare camion per allestire le fiere del fumetto, e poi essere freschi e scattanti al leggio quando era il momento di mettersi alla prova era tutt'altro che facile. Ricordo infiniti pomeriggi di tempi morti cercando un attimo per chiedere un provino, per poi sentirmi inevitabilmente non abbastanza bravo nel momento in cui l'opportunità mi veniva concessa. Ricordo corse a rotta di collo per arrivare in tempo ai turni pur essendo uscito in ritardo dal lavoro. Da appassionato di fumetti, avevo anche disegnato un mio alter-ego, lo Stupefacente Mendicaprovini, una sorta di sfigatissimo supereroe che faceva di tutto per impietosire i direttori!
Dopo qualche tempo vinsi, anche lì un po' per caso, il protagonista di un telefilm di Nickelodeon, e penso che quello sia stato uno dei punti di svolta della mia carriera. Imparai tantissimo sul campo, mettendocela tutta per apprendere in fretta, e con la competenza venne un po' più di fiducia in me stesso. L'altra svolta venne quando vinsi il protagonista di Yu-Gi-Oh! Arc-V, Yuya Sakaki, e mi ritrovai a doppiare una serie che sarebbe durata per quasi 150 puntate, spalmate su tre anni. La continuità di quel lavoro e la dedizione che richiedeva mi fecero capire che forse potevo cominciare a definirmi "doppiatore", dopo quattro anni dal primo turno e infiniti ruoli, piccoli e grandi. Feci un atto di fede: mollai gli altri lavori e cominciai a vivere solo di questo.
Sei un professionista che vive al 100% il proprio lavoro di attore. Che rapporti hai coi personaggi che interpreti?
Il doppiaggio è un mestiere recitativo particolare, perché si è costretti ad agire nel minor tempo possibile per trovare la chiave migliore per rendere un ruolo. Non abbiamo a disposizione mesi di preparazione come nel teatro o nel cinema, è questione di minuti: devi trovare le corde recitative giuste per il personaggio che vedi sullo schermo e devi riuscire ad essere profondo nella comprensione del ruolo, pur sfiorandolo solo in superficie. E' interessante proprio per l'immediatezza che ha: devi essere estremamente adattabile, e anche un po' "schizofrenico": in una giornata puoi interpretare per alcune battute anche una decina di ruoli molto diversi tra loro, passando da un secchiello parlante in un cartone prescolare, a un adolescente problematico in un telefilm, a un sicario di professione in un anime.Amo questo lato del lavoro. Un po' saltimbanchi, un po' bardi, dobbiamo trovare la chiave giusta per rendere subito credibili le storie a cui diamo vita. Inoltre, io mi definisco sempre "un fan passato dall'altra parte", perché sono prima di tutto un appassionato della maggior parte dei prodotti che doppio. Sono un videogiocatore, sono stato un grande fan dei prodotti di animazione, in generale sono piuttosto esaltato dalla roba con cui ho a che fare al lavoro. Non è sempre così per i doppiatori, anzi: tanti miei colleghi sono professionisti eccezionali che riescono a rendere un ruolo alla perfezione vivendolo comunque solo come un lavoro, senza sconfinare nella passione personale.
Devo dire pero' che molte recenti generazioni di doppiatori, soprattutto i miei coetanei, non sono in una situazione tanto diversa dalla mia, quindi mi sento meno "alieno"! Sicuramente però il fatto di essere così dentro alla cultura nerd e di essere un frequentatore assiduo degli eventi tematici, mi fa vivere intensamente il rapporto con molti dei miei personaggi. Il cosplay, ad esempio, è un hobby che mi porto dietro da quando ero ragazzo e che condivido con moltissimi amici sparsi per tutta l'Italia, ed è stato curioso creare un punto di contatto col mio lavoro trovandomi anche a "vestire i panni" di alcuni personaggi a cui ho dato voce. E' una cosa divertente, che ha lasciato sorpresi molti appassionati che mi hanno incontrato alle varie convention. Specialmente nel caso di Spider-Man l'illusione è anche più forte, visto che la maschera mi nasconde interamente! Lui poi è veramente un pezzo di cuore per me, sono cresciuto con le sue storie e trovarmi a doppiarlo in un prodotto bello come il videogioco Marvel's Spider-Man è stata un'emozione che fatico a descrivere.
Oramai sei nel settore da 10 anni, se ripensi al passato, come ti senti? Cosa diresti allo Jacopo del passato?
Il tempo è volato davvero! Sarà forse che la mia voce e il mio modo di fare sono più giovani della mia età anagrafica, quindi spesso ricopro ruoli da ragazzino (altra magia del doppiaggio!), ma solo di recente mi sono fermato a pensare al percorso che ho intrapreso finora. Credo che la cosa che più è cambiata è che quando si è giovanissimi si tende a pensare di avere tanto da dimostrare. Un po' a tutti, specialmente agli adulti: ai genitori, agli insegnanti, ai direttori, a chi crede in te e a chi, al contrario, non ci crede affatto. Ed è un bel modo per spronarsi! Però dopo una decina di anni che faccio questo lavoro, sento di aver dato prova di quello che so fare e non smanio più perché la cosa venga notata. Mi sento di dover dimostrare qualcosa soprattutto a me stesso.Migliorare come attore (e come persona), non smettere di imparare, essere fiero di qualche risultato. In questo senso mi sento più 'vecchio', ma non è una cosa negativa, tutt'altro! Al me stesso del passato non vorrei anticipare nulla e eviterei di darmi consigli. Non perché non abbia fatto errori, anzi, ma tutte le deviazioni dal percorso che ho finito per compiere, le energie sprecate in progetti inconcludenti, le batoste e le delusioni sono servite a formare la persona che sono adesso. Come recita uno dei miei tatuaggi (una citazione di Doctor Who, sempre perché sono uno stramaledetto nerd!):"Siamo tutti storie, alla fine. Fa' solo che la tua sia bella."
Attore teatrale e doppiatore. Hai anche altre passioni in ambito artistico? Ti piacerebbe cimentarti in qualcos'altro?
Il teatro purtroppo non lo bazzico da tempo, e ultimamente ho collaborato a qualche progetto in video (c'è un cortometraggio in uscita quest'anno, The Jäger Within, che è un progetto che mi ha particolarmente appassionato), ma continuo a rimandare due grosse imprese artistiche a cui prima o poi troverò il tempo di dedicarmi: imparare a cantare bene (non sono stonato, ma non ho mai studiato e a volte tornerebbe estremamente utile avere una formazione musicale per doppiare alcuni personaggi!) e riprendere a scrivere qualche sceneggiatura. Ai tempi dell'università lo facevo spesso, soprattutto per progetti video amatoriali, la maggior parte dei quali rimasti nel cassetto. Sarebbe bello creare qualcosa che porti la mia firma, magari proprio un fumetto, visto come questo medium ha condizionato e "pilotato" la mia vita. Sarebbe un modo per chiudere un cerchio!
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