Intervista a Arianna Bochicchio: dagli studi di Lingue a Netflix

La passione è il fuoco che ci alimenta e che ci rende inarrestabili, come accade ad Arianna Bochicchio, regista e attrice giovanissima che ci racconta il suo percorso ricco di sorprese nella nostra intervista.

Avatar di Francesca Sirtori

a cura di Francesca Sirtori

Avete presente quelle personalità vulcaniche, animate da passione vera e propria e decisamente inarrestabili? La dimostrazione che in una generazione di cosiddetti "fannulloni", dove spesso basta varcare la soglia dei vent'anni e si viene additati come parassiti, senza rivolgere alcun pensiero al proprio futuro, non conta sicuramente tutte quelle giovani anime che non solo provano forti interessi, ma riescono anche a realizzarli e concretizzarli. Arianna Bochicchio, classe 1995, è una di queste, attualmente impegnata come assistente alla regia sul set di film e serie tv italiane e internazionali. Come si diventa "Arianna"? Lo racconta direttamente nella nostra intervista, raccontando come si passa dagli studi al set, fino a sbarcare su Netflix.

Da dove arriva questa passione? E' nata strada facendo, ti sei ispirata a qualche persona significativa per te o dono innato?

La passione per l’arte dello spettacolo è sempre stata mia! A 10 anni
organizzavo insieme a mio fratello e ai miei due migliori amici degli “spettacolini”, che sarebbero poi andati in scena nel residence in Liguria dove passavamo tutte le estati. Ci eravamo innamorati dei musical: Grease, Jesus Christ Superstar, fino a scriverne uno tutto nostro. È uno dei ricordi infantili più belli che ho.

Quando hai iniziato la tua carriera di attrice? Hai cominciato nell'ambito del teatro, cinema o tv? Quali sono stati i tuoi primi spettacoli?

Ho iniziato ad avvicinarmi al Teatro in maniera più seria al liceo, dove il regista Fausto Ghirardini teneva un corso extracurricolare. Ben presto iniziai a passare più tempo con i miei compagni di teatro che con i miei compagni di classe, e Fausto fu un vero maestro. Per la prima volta infatti mi trovavo immersa in un gruppo di persone mosse dalla mia stessa passione.

Ciò che ho sempre apprezzato molto di Fausto e di quel corso è che lui curava in particolare l’emozione e l’interpretazione, dando più risalto al senso del fare teatro, piuttosto che ad una perfezione tecnica. Così, una volta diplomata, dissi ai miei genitori che avrei voluto frequentare la scuola Paolo Grassi a Milano (Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi - Fondazione Milano, ndr), ma senza riuscire a convincerli. Optai allora per l’Università di Lingue Occidentali a Venezia e contemporaneamente (in gran segreto, o quasi) iniziai a frequentare la scuola di teatro di Farmacia Zoo:È.

Si tratta di una celebre compagnia mestrina di teatro sperimentale, con la quale mi sono diplomata formalmente 3 anni dopo e ho messo in scena spettacoli molto particolari. Il primo anno lavorammo con il regista Enrico Tavella e abbiamo fatto un breve tour portando Dance Me To The End Of Love, spettacolo dolce e carico di emozioni, come è la regia di Enrico.

Ricordo poi un particolarissimo spettacolo tratto da Rumori Fuori Scena per la regia di Carola Minincleri, e un progetto curato invece da Gianmarco Busetto, una serie teatrale che nella sua prima edizione s’intitolava Kurt Sadie, ma che, come tutti i migliori progetti, si è evoluta ed è ancora in fase di creazione.

Le persone incontrate a teatro in questi anni hanno decisamente formato la mia coscienza artistica. Sarò loro per sempre grata, anche perchè Farmacia Zoo:È è questo: oltre che formare l’Attore, aiuta a formare l’Essere Umano, e questo è un merito che si può attribuire a pochissime realtà.

Il primo e unico progetto invece che mi ha vista come attrice sullo schermo è un cortometraggio della giovane regista Giulia Gandini, una mia grande amica dai tempi del liceo. Quando era agli inizi della sua brillante carriera, mi chiese di partecipare a Crash, un breve thriller-horror che racconta di una ragazza alla guida che vede in continuazione una figura nera in mezzo alla strada, di cui non riesce a liberarsi.

Ci divertimmo tantissimo a girare e le servì per essere ammessa alla MET School a Londra. Ora Giulia con i suoi corti vince premi e gira il mondo, e io non potrei essere più fiera di lei!

Che emozione hai provato, dando vita ai tuoi primi personaggi, e come è cambiato nel tempo il tuo approccio ai ruoli?

Il primo personaggio con cui ricordo di essermi connessa in maniera particolare fu Eleonora Duse. Era il 2013 e quell’anno con Fausto Ghirardini mettevamo in scena al Vittoriale Volo D’Annunzio, uno spettacolo-biografia su Gabriele D’Annunzio.

A me fu affidata la parte della grande attrice nonché amante del poeta; ricordo che prima di andare in scena, rimasi quasi un’ora a guardare tutte le gigantografie della Divina che riempivano le pareti del Teatro interno del Vittoriale.

Un anno decisi quindi (su consiglio e spinta di Giulia) di recarmi a Londra per frequentare il corso estivo di Introduction to Screen Acting presso la LAMDA School, una delle scuole di recitazione più quotate della città. Fu una delle scelte migliori della mia vita: un azzardo sicuramente, non sapevo bene a cosa andavo incontro ma ero assolutamente sicura di volerci almeno provare.

Imparai una quantità infinita di nozioni, sia riguardo all’approccio al personaggio, sia sul metodo di lavoro inglese, completamente diverso dal nostro. Si tratta di un’esperienza che consiglio assolutamente a tutti i giovani che vogliono misurarsi in maniera più seria con la recitazione.

Sono cambiate le tipologie di ruolo nel tempo? In quali panni hai recitato finora?

Quando mi trasferii a Venezia e iniziai a frequentare Farmacia Zoo:È, ero cresciuta e cambiai quasi totalmente approccio al personaggio. I ruoli che interpretai all'epoca, avevano la particolarità di essere quasi confezionati su misura per me, ed ebbi così l’occasione di conoscere meglio anche me stessa.

Arrivata al terzo anno però, ci fu una grande sfida: in Kurt Sadie mi fu affidato il ruolo della Seduttrice, che portò con sé dei mesi di lavoro durissimi, affiancati da una bravissima counselor che supportò e incentivò tutti noi a esplorare la nostra interiorità in relazione al nostro personaggio.

Se c’è una cosa che poi imparai piuttosto in fretta, è che una volta che ti sei guardato dentro, poi non puoi più tornare indietro. Non riesci più a tornare all’inconsapevolezza di prima. Quando lavorai con Giulia Gandini a “Crash” utilizzai tutto quello che avevo imparato negli anni con Farmacia Zoo:È, solo che lì mi ritrovavo da sola, senza insegnanti o acting coach a guidarmi, una troupe ridottissima e solo la mia testa a farmi entrare nel personaggio.

Le due scene che più mi misero alla prova furono un’aggressione fisica subita dalla ragazza e uno scoppio emotivo molto violento che la protagonista doveva esperire. Le riprese durarono un paio di giorni in tutto, e ciò che mi ricordo è il peso che mi portavo nel letto in quei giorni, "sentivo addosso" il ruolo della ragazza e la sua situazione.

Quando cerchi di interpretare qualcuno, c’è un momento in cui ti entra nelle ossa e si avvinghia al tuo cervello, e può capitare che tu non sappia come liberartene per giorni!

Come è stata la prima esperienza di stagista in regia? L'esperienza di “1994” non è sicuramente di tutti i giorni.

Più che altro direi non è stato un inizio “soft”. Quando poi finii a Venezia, non contenta degli studi da attrice mi trasferii a Milano e mi iscrissi al Master dell’Università Cattolica “Ideazione e Produzione audiovisiva, cinematografica e per i media digitali”. Mi stavo piano piano innamorando dell’intero processo creativo, non solamente dell’aspetto interpretativo, a quel punto ormai sapevo che c’era molto altro e volevo sapere come funzionasse.

Sentivo anche la voglia di mettere in gioco la mia creatività e vedere se potevo realizzare del contenuto, non solo interpretare quello scritto da altri. Nel frattempo mi ero procurata per conto mio due agenzie e mi mettevo alla prova con provini su provini. L’anno di studio al Master è stato assolutamente d’ispirazione e decisamente fertile: l’Università richiedeva anche un periodo di stage obbligatorio presso una casa di produzione a scelta, e io sapevo che poteva rivelarsi l'occasione decisiva per accedere a qualcosa di importante.

L’ingresso sul set di 1994 fu, come per quasi tutte le cose della vita, per metà frutto di fortuna. Mi trovavo a Roma alla serata di premiazione dei Nastri D’Argento, e mi venne presentata l’aiuto regista Serena FIlippone. Quella sera stessa mi propose lo stage su 1994, io ovviamente non aspettai un attimo a proporlo alla mia Università, che accettò di buon grado, considerando anche la notorietà della casa di produzione Wildside.

Due mesi dopo ero a Roma e iniziavo il mio primo set nel reparto regia. È stato un lungo e intenso periodo di riprese, per me era tutto nuovo, tutti i giorni. Questa esperienza ha richiesto grande forza e tanta volontà, tra momenti duri, ma anche bellissimi e totalmente appaganti. Ho avuto subito a che fare con importanti attori italiani, tra cui Stefano Accorsi, Guido Caprino, Paolo Pierobon e Miriam Leone.

Sul set nessuno ha tempo di fermarsi e spiegarti come funziona, devi essere rapido per assorbire tutto quello che puoi e replicarlo quando viene chiesto di farlo. Non dimenticherò mai nemmeno la mia prima regia con Giuseppe Gagliardi, persona che artisticamente ho stimato fin da subito. Fortunatamente, mi sono fatta valere e da lì le occasioni come assistente alla regia hanno iniziato a fiorire.

Dallo stage al lavoro, com'è stato il passaggio? Qual è l'ordine cronologico dei tuoi lavori e quando usciranno? Come sei arrivata a Sky e Netflix? Com'è il rapporto con l’estero?

Il passaggio è stato praticamente inesistente, dal momento che come stagista mi venivano affidati i compiti e le gestioni di un normale assistente alla regia. Sarò per sempre grata a Serena per aver avuto fiducia in me ed avermi assegnato ruoli all’apparenza troppo grandi, ma che ho saputo gestire.

Dopo i mesi di lavoro su 1994 per Sky, è arrivato Luna Nera, progetto fantasy Netflix al quale mi aggrappai con le unghie e con i denti per essere presa. In questo lavoro. quando finisci un progetto, almeno all’inizio devi cercarti in autonomia il set successivo, a meno che si abbia la fortuna di entrare in una “squadra” assunta per intero su un altro progetto e che ti porta con sé.

Adoro i fantasy e fosse per me girerei solo quelli, così appena sentii serpeggiare la notizia che a Cinecittà stavano costruendo le scenografie per questo grande progetto, riuscii a contattare l’aiuto regista Andrea Rebuzzi, con il quale dopo mesi ottenni finalmente un colloquio, e dopo altrettanti mesi di attesa e tensione finalmente fui ammessa in squadra come secondo assistente!

Il set fu lungo e faticoso, ma enormemente interessante. Subito dopo ci fu per me un set molto importante come primo assistente su The Big Other, un film tedesco che girava a Roma. Set più piccolo e facile di Luna Nera, ma che mi venne affidato in totale co-gestione insieme all’aiuto regista, Enrico Mastracchi Manes, una delle persone più care che ho a Roma.

Fu un macigno di responsabilità che al mio terzo film non ero sicurissima di potermi assumere, ma di nuovo ci fu qualcuno che puntò su di me, e alla fine tutto andò per il verso giusto. Dopo The Big Other sono stata nuovamente primo assistente su La Belva, un bellissimo thriller d’azione di Ludovico Di Martino, seguito dall’occasione che attendevo da un po’. Un aiuto regista mi ha chiamata in squadra come Cast PA (gestione attori) su The Great, grosso progetto britannico appena uscito su Hulu. Il set arrivava in Italia per concludersi con le riprese alla Reggia di Caserta: fu solo una settimana di lavoro per la troupe italiana, ma ancora oggi li ricordo come una delle esperienze migliori.

Finalmente vedevo a che ritmo e in che modo lavorava una produzione straniera così grande e importante, come il regista si interfacciava con attori come Elle Fanning e Nicholas Hoult, come venivano organizzati i movimenti di figurazioni. In quei giorni capii che da lì in poi sarebbe stato essenziale per me fare più set stranieri possibile.

Quali sono le differenze tra la regia di un film e di una serie tv, se ce ne sono? Quale tipologia di prodotti preferisci?

A livello registico, le differenze dipendono dal gusto personale del regista. Negli ultimi anni, il modello della serie TV sta spopolando in tutto il mondo, prima pensare di girare una serie tv con una qualità che spesso supera quella dei film era impensabile.

Servizi streaming come Netflix e Amazon Prime Video sono alla portata di un click; è diventato essenziale saper girare bene una serie tv e i registi si stanno adattando a questa “nuova” formula narrativa. Non penso però di avere una preferenza tra il lavorare su una serie o un film, sarebbero molteplici gli aspetti da considerare: tanti episodi richiedono solitamente un periodo di riprese più lungo di quello di un film.

Hai nostalgia del ruolo di attrice? Come vedi il tuo futuro?

Ogni tanto devo ammettere che la voglia di recitare ritorna. Il fatto è che però il processo di creazione di una storia, nella sua interezza, è una macchina talmente meravigliosa che se te ne innamori finisci per amare ogni sua parte.

Adorerei rimettermi in gioco con un ruolo, ma spesso parlando anche con i giovani registi e sceneggiatori che in questi anni ho conosciuto sui vari progetti mi accorgo di quanto mi piacerebbe raccontare una storia mia. Ho un soggetto per un lungometraggio nel cassetto, ho girato un paio di brevi documentari e appena posso mi diverto a scrivere piccoli videoclip musicali.

A tutti i nostri lettori che vorrebbero intraprendere un percorso simile al tuo, cosa consigli?

Consiglio una testa durissima, davvero. Accortezza, intelligenza e testa dura. Di prepararsi al sacrificio e a momenti di sconforto.

Consiglio di essere folli abbastanza da credere in sé stessi e nei propri sogni nella maniera più furba possibile, invece di gettarsi alla cieca inseguendo qualcosa che non esiste. Consiglio di essere umili, di guardare e assorbire tutto ciò che piace e soprattutto capire cosa (e chi) non si vuole diventare, anche questo è molto importante.

Ho un sacco di amici che mi ripetono come io sia stata fortunata ad avere chiaro ciò che volessi fare: vero e non vero, dico sempre io, l’unica cosa che davo per scontato era che amavo il mondo dell’arte del cinema e del teatro. Ogni passo e ogni scelta successiva è stata dettata parimenti da coscienza e incoscienza.

Lo so che è difficile capire quale decisione prendere nella vita tante volte, quando si è giovani, però nei momenti di grande solitudine e confusione ho sempre cercato di dire a me stessa: “Ok, dove vuoi arrivare? Là? Perfetto. Ora, qual è la maniera più intelligente per arrivarci?”. Ecco, penso che questa sia la mia domanda chiave. È senza dubbio la domanda che mi ha portata dove sono ora.

Leggi altri articoli