Se nella propria vita si riesce a trovare l’Arca dell’Alleanza, il Sacro Graal e persino conoscere gli alieni, diventare protagonista di una delle più celebri saghe della storia del cinema è il minimo che si possa ottenere. Un riconoscimento che viene tributato a Henry Walton Jones Junior, archeologo e avventuriero, meglio noto al grande pubblico come Indiana Jones, protagonista di una saga cinematografica ben lungi dall’essere conclusa e che ha consacrato l’interprete del personaggio, Harrison Ford, nell’olimpo di Hollywood, dopo le sue già iconiche prove attoriali in Star Wars e Blade Runner.
L’incredibile successo di Indiana Jones è solo l’ennesima medaglia al merito per l’inventiva di uno dei grandi nomi del cinema americano che, a cavallo degli anni ’70 e ’80, diede vita alla New Hollywood, un rinnovamento stilistico narrativo che coinvolse il cinema americano del periodo. Ovviamente, stiamo parlando di George Lucas, che non contento di avere dato nuova linfa alla fantascienza cinematografica con la sua saga ambientata in una galassia lontana lontana pensò che fosse venuto il momento di riportare in sala il grande cinema di avventura.
Indiana Jones: riportare la grande avventura al cinema
Come per Star Wars, Lucas era nuovamente vittima della nostalgia. Se per dare vita alla sua space opera era partito dal suo amore per i comics anni ’30 di Flash Gordon, le letture adolescenziali di grandi classici dei fumetti d’avventura erano ora la scintilla vitale da cui sarebbe nato Indiana Jones. In particolare, ad avere suggestionato la fantasia di Lucas erano le storiche imprese di Zio Paperone, personaggio che Carl Banks creò proprio per introdurre un elemento avventuroso nel mondo dei paperi disneyani. Storie memorabili come Zio Paperone e le sette città di Cibola o Zio Paperone e l’oro di Pizzarro ebbero un forte impatto sulla concezione dell’avventura per il giovane Lucas.
Volendo trovare un personaggio dei comics di cui Indiana Jones potrebbe essere il discendente dovremmo rivolgerci alle riviste pulp degli ’30 e ’40, dove compariva il personaggio di Doc Savage, considerato l’antesignano di tutti i supereroi nati nella Golden Age. Creato nel 1933 da Lester Dent, Clark Savage Jr. era un esploratore, scienziato e medico protagonista di una serie di imprese che lo vedevano avvalersi di fedeli compagni, decorato soldato della Prima Guerra Mondiale, che nelle sue imprese aveva spesso a che fare con misteri archeologici. Doc Savage anticipò Indy nel mondo del grande schermo, arrivando al cinema nel 1975 con una sceneggiatura basata sulla riscrittura del personaggio dea parte dello scrittore Philip Josè Farmer.
Oltre a Doc Savage e alla avventure dei paperi disneyani, Lucas era anche un accanito lettore di fumetti supereroici, di cui adorava il concept della doppia vita. Uno spunto narrativo interessante che fece proprio, vedendolo come lo strumento ideale per valorizzare il suo personaggio: avventuriero spericolato e docente universitario compassato. Partendo da queste idee, Lucas iniziò a creare un primo abbozzo di storia, provvisoriamente intitolata The Adventure of Indiana Smith. Siamo nel 1973, Lucas è un giovane regista ed è pieno di idee, tanto che alcune prenderanno il sopravvento e Indiana Smith finisce nel dimenticatoio per parecchi anni, mentre Lucas si concentra su quello che sarà il suo primo successo, Star Wars.
Proprio grazie a Star Wars, Lucas entra in contatto con un altro volto nuovo di Hollywood, che con il suo Lo Squalo era diventato uno dei grandi nomi del futuro del cinema: Steven Spielberg. I due divengono amici, e per lenire le fatiche dei recenti successi ci concedono una vacanza assieme, in cui parlano di progetti futuri e passioni comuni, visto che erano stati plasmati dalle stesse suggestioni. Un background comune che fu la chiave di una sintonia professionale e privata che portò alla nascita di grandi produzioni e piccole cortesie professionali.
A giovarne maggiormente, comunque, fu proprio Indiana Jones, che scaturì da questa sinergia. Leggenda vuole che l’idea di questo avventuriero ronzasse da parecchio tempo in testa a Lucas, che ne parlò all’amico durante una vacanza, in quella che ben presto passò dall’essere una chiacchierata spensierata alla genesi di uno dei personaggi più amati del grande schermo. Soprattutto, quando Spielberg confessò la sua incredibile passione per James Bond, di cui avrebbe voluto dirigere un film, scoprendo che anche Lucas aveva lo stesso inconfessabile desiderio. Da questa comune speranza, si passò a concepire un personaggio completamente nuovo, erede dell’Indiana Smith di Lucas e che lentamente stava prendendo forma, generato dalla fantasia dei due cineasti e dalla visione di un altro grande nome del mondo dei comics, Jim Steranko.
Lo spirito di Indiana Jones veniva forgiato in questo periodo. Traendo ispirazioni da personaggi reali, come l’archeologo italiano Giovanni Battista Bolzoni, e altri inventati, tra cui l’Allan Quatermain di Henry R. Haggard, la figura di Indy prese rapidamente forma. Dai suoi tratti essenziali, come il borsalino e la frusta, sino alle sue peculiarità caratteriali, che lo rendevano un uomo del suo tempo, ossia gli anni ’30 e ’40, sia un uomo fuori dal tempo, mosso da principi moderni e capace di un’ironia spesso involontaria che lo rese subito un beniamino del pubblico.
Durante la ricerca di un interprete capace dei veicolare questo complesso personaggio, la prima scelta di Lucas fu per un volto che all’epoca era riconosciuto come un simbolo dell’avventura: Tom Selleck, interprete dell’investigatore Thomas Magnum in Magnum P.I.. Nonostante venissero provinati altri attori, come Nick Nolte e Jack Nicholson, per Lucas era Selleck l’Indiana Jones ideale, tanto che gli fece sostenere diversi provini, che erano sempre svolti utilizzando l’attrice inizialmente scelta per il ruolo femminile, Sean Young. Selleck dovette però rinunciare per concentrarsi sull’ultima stagione di Magnum P.I, costringendo Lucas ad accettare l’attore caldamente sostenuto da Spielberg: Harrison Ford.
Ford non sostenne nemmeno il provino per la parte, ma venne subito identificato come il perfetto volto per l’intraprendente archeologo. Lucas aveva solamente il timore che questa nuova collaborazione con Ford, dopo la sua interpretazione come Han Solo in Star Wars, li rendesse una coppia professionale troppo rigida, come accadeva in quel periodo a De Niro e Scorsese. Vinta questa perplessità, alla fine Lucas si convinse e accolse Ford, che non sostenne quindi i provini con la controparte femminile inizialmente identificata per il ruolo di interesse amoroso di Indy, Sean Young. L’attrice venne poi sostituita da Karen Allen, ma la Young ritrovò Ford poco tempo dopo in un altro cult del periodo, Blade Runner.
Nazisti, tug e comunisti: nessuno ferma Indiana Jones
Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta, primo capitolo delle imprese dell’archeologo avventuriero, fu un vero successo. Complice la presenza di alcune scene divenute immediatamente parte della storia del cinema, dalla pietra rotolante a inizio film alla celebre pistolettata con cui Indy si libera facilmente di un avversario armato di spada. Molte delle scene più divertenti di Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta, ironicamente, furono improvvisate al momento per ovviare ad alcuni piccoli problemi dovuti alle complicate condizioni in cui venne girato il film.
Il successo di Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta non passò inosservato, tanto che da questo primo capitolo prese il via una delle saghe cinematografiche più amate e longeve della storia. Le avventure di Indiana Jones, infatti, non tardarono a tornare al cinema con Indiana Jones e il Tempio Maledetto (1984) e Indiana Jones e l’Ultima Crociata (1989), che resero Indy l’avventuriero per antonomasia del decennio.
I due capitoli seguenti della saga dell’archeologo con la frusta furono, ovviamente, nuovamente dei blockbuster, che riconfermarono l’incredibile popolarità del personaggio. Una fama che divenne anche un’arma a doppio taglio nel caso di Indiana Jones e il Tempio Maledetto, quando il governo indiano non gradì il modo in cui veniva presentata dalla produzione americana la propria cultura, arrivando al punto di chiudere il proprio paese alla troupe, che fu costretta a girare in Sri Lanka. Un rimedio che consentì di portare al termine le riprese, ma in India il film non fu proiettato come protesta a quello che, per le autorità locali, era un modo oltraggioso di presentare la religione induista e la cultura locale.
Fortunatamente, le fatiche per realizzare la seconda impresa di Indy, ambientata cronologicamente prima di Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta, vennero ampiamente ricompensate quando Spielberg e Lucas ebbero modo di potere, almeno in parte, realizzare il loro sogno di dirigere James Bond. Non un film, ovviamente, ma lo storico interprete della spia britannica, Sean Connery, che in Indiana Jones e l’Ultima Crociata ebbe il ruolo del padre del protagonista, Henry Walton Jones Senior. Una coppia, quella interpretata da Sean Connery e Harrison Ford, semplicemente perfetta.
Una dinamica padre e figlio che non abbiamo potuto gustare nuovamente in Indiana Jones e il regno del tempio di cristallo (2008), complice la decisione di Connery di abbandonare le scene, privandoci della chance di vederlo nuovamente nei panni di Henry Jones Sr. Sarebbe stato incredibile vedere su schermo tre generazioni di Jones, considerata la presenza dell’Henry Jones III di Shia LaBeouf, ma questo capitolo consentì di dare una nuova visione del mito di Indy. Superato il periodo bellico in cui si muoveva nei primi capitoli, l’archeologo si trova ad affrontare una nuova minaccia, ovvero il nemico comunista, e sfide ancora più estreme, avendo a che fare nientemeno che con gli alieni. Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo, però, è anzitutto un passaggio emotivo intenso per il personaggio, costretto ad affrontare la perdita di due figure importanti come il padre e il caro amico Marcus Brody, ma anche la scoperta di una paternità improvvisa che rivoluziona il suo modo di percepire e vivere il mondo.
È questa cifra emotiva a rappresentare l’elemento di maggior fascino del quarto film di Indiana Jones, che ha raccolto anche parecchie critiche, specialmente da parte dei fan più puristi, che hanno visto nella presenza aliena una pecca più che un valore aggiunto alla tradizione del personaggio.
Interessante notare come gli avversari di Indy rispecchino sempre il nemico degli States, a prescindere dal periodo storico in cui siano ambientati i film. L’unica eccezione fu Indiana Jones e il tempio maledetto, tentativo di Lucas di emanciparsi dalla visione monolitica dell’avversario nazista, scelta che venne rivalutata dal regista per il terzo capitolo della serie. In quest’ottica, non sorprende quindi che il professor Jones negli anni ’50 si ritrovi a fronteggiare una villain sovietica, incarnazione del pericolo rosso che animava la società americane del periodo, con il maccartismo.
Indiana Jones e il piccolo schermo
Tra Indiana Jones e l’Ultima Crociata e Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo, Indy ha goduto anche di una vita sul piccolo schermo con Le avventure del giovane Indiana Jones, serie in cui Lucas ci ha raccontato il suo passato, tra infanzia e adolescenza, facendo conoscere al giovane Jones anche personaggi storici, come Pancho Villa, Hemingway o Mata Hari.
La realizzazione de Le avventure del giovane Indiana Jones non fu solamente una parte fondamentale del mito di Indy, ma divenne anche un laboratorio per l’evoluzione della serialità televisiva. Lucas, infatti, imbastì la produzione come una serie di piccoli film, legati tra loro dal filo conduttore del passato del popolare archeologo, ma godibili come racconti stand alone. Una concezione che si tradusse in un impegno economico non indifferente, che consentì anche a Lucas di sperimentare nuove tecniche che sarebbero poi divenute essenziali per i nuovi capitoli della sua celebre saga, Star Wars, cominciando da La Minaccia Fantasma.
Gli eredi di Indy
L’incredibile successo di Indiana Jones è testimoniato da una rinascita del film d’avventura, che dopo il primo capitolo delle avventure dell’intraprendente archeologo parve tornare a una nuova vita. La visione di questo nuovo modello di avventuriero fu il viatico per la nascita di quello che si può considerare un nuovo filone cinematografico, in cui la dimensione culturale, ossia la fascinazione per antichità e misteri perduti, diviene l’elemento scatenante per la nascita di una nutrita schiera di emuli del professor Jones.
Dal Jack Colton interpretato da Michael Douglas nei due film All’inseguimento della pietra verde e Il gioiello del Nilo, sino al più recente Benjamin Gates di Nicholas Cage protagonista del ciclo di National Treasure, senza dimenticare il divertente Rick O’Connell di Brenda Fraser in La Mummia. A unire questi citati personaggi è il contesto narrativo avventuroso e condito con ironia, marchio di fabbrica delle imprese di Indiana Jones, al punto che è difficile non ravvisare in questi suoi emuli molto più di semplici omaggi, ma dei veri e propri "figli d’arte". Se nei primi casi, come il citato Jack Colton, è difficile non ravvisare un palese intento imitativo per cavalcare l’onda del successo di Indy, per le produzioni più recenti si può invece parlare di una legacy, un’eredità spirituale raccolta da nuovi eroi che portano quanto rappresentato negli anni ’80 da Harrison Ford nel mondo moderni.
Non solo cinema ha tratto ispirazione dalle peculiarità di Indiana Jones, che ha evidentemente suggestionato i creatori della serie Relic Hunter, che hanno reso l’affascinante Tia Carrere un’emula del dottor Jones. Persino il mondo Disney non è rimasto indifferente al fascino del dottor Jones, che ha ispirato Indiana Pipps, avventuroso cugino di Pippo creato dagli italiani Bruno Sarda e Maria Luisa Uggetti nel 1988 in Topolino & Pippo: I predatori del tempio Perduto, e il look dello scoiattolo Cip nella serie animata Cip & Ciop: Agenti speciali.
Volendo, si potrebbe estendere questa influenza anche al mondo in pixel dei videogiochi, dove l’eredità di Indiana Jones è stata raccolta da avventurieri del calibro di Lara Croft (Tomb Raider) e Nathan Drake (Uncharted) e omaggiata persino in un best seller come World of Warcraft, che ha creato l’archeologo Harrison Jones, utilizzabile anche come carta per il proprio mazzo di Heartsone. Omaggi che si uniscono a una tutt’altro che ridotta presenza del dottor Jones all’interno della dimensione videoludica, che è stata impreziosita da una serie impressionante di videogiochi di Indiana Jones, capaci di spaziare dai platform alle avventure grafiche.
Indiana Jones e il regno dell’entertainment
Non solo cinema e serie TV per l’intrepido professor Jones. Sin dalla sua prima apparizione, infatti, Indy si è prestato a diventare un simbolo della pop culture, ruolo che lo ha portato a entrare anche in altre dimensioni del mondo dell’entertainment. Come accaduto pochi anni prima con Star Wars, fu nuovamente Marvel Comics la prima a intuire le potenzialità del personaggio, al punto di realizzare nel 1981 la versione a fumetti di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta.
La Casa delle Idee non si fermò a questa operazione, ma diede vita nel 1983 a una serie dedicata a Indy, in cui comparivano nuovamente Marcus Bordy e Marion Ravenwood: The Further Adventures of Indiana Jones. Durata sino al 1986, questa serie univa aspetti visti nei primi due capitoli della saga, richiamando spesso in azione figura note come Sallah e il giovane Shortround, ampliando il mondo di Indiana Jones, tentando di dare vita a una continuity, che si estese sino all’uscita di Indiana Jones e l’ultima crociata.
Ad inizio degli anni ’90, Marvel cedette quasi tutti i diritti del suo parco fumetti cinematografici, una decisione che favorì la Dark Horse Comics. Già al lavoro su altre celebri versioni a fumetti di grandi cult del cinema, come Alien e Terminator, la casa editrice non perse tempo a mettersi all’opera su serie dedicate a Star Wars e Indiana Jones.
La nuova vita a fumetti di Indiana Jones cominciò con una ristampa delle precedenti pubblicazioni Marvel, a cui presto si unì una nuova collana, nata come spin off dell’amato videogioco Indiana Jones and the Fate of Atlantis, che diede nuova linfa alla dimensione fumettistica del personaggio, che non riuscì mai a imporsi sul mercato con la stessa forza delle altre produzioni ispirate al cinema di Dark Horse Comics, complice un comparto artistico non certo entusiasmante.
Non dimentichiamo, comunque, che il sorriso sornione di Harrison Ford era stato portato anche nel mondo dei pixel, dove a partire dai primi anni ’80 si erano palesate avventure grafiche e platform dedicate all’indomito archeologo, che anche in questo settore ha aperto la strada a futuri eroi, come i citati Lara Croft e Nathan Drake. Dal canto suo, il professor Jones può vantare una lunga saga videoludica, che ha toccato pressoché ogni genere e attraversato più di una generazione di console, offrendo dei veri capolavori come Indiana Jones and the Fate of Atlantis o Indiana Jones and the Infernal Machine.
Diverso è il discorso quando parliamo di libri, considerato che Bantham Books, già editrice di diversi romanzi di Star Wars e Star Trek, pubblicò una serie di avventure di Indiana Jones, scritte da Rob MacGregor. Dopo le tre novelization dei film, Lucas diede il suo benestare per questa collana, a patto che si raccontasse il passato di Indy, ambientandoli negli anni ’20 e consentendo solo la presenza di Marcus Brody come personaggio conosciuto. All’interno di questi volumi, abbiamo modo di conoscere un Indy diverso tanto che in Indiana Jones e i Sette Veli (2008) scopriamo essere stato sposato con l’inglese Deirdre Crampbell, morta in un tragico incidente aereo.
Dopo McGregor toccò a Martin Caidin e Max McCoy porta avanti la saga letteraria di Indiana Jones, con quest’ultimo che scrisse il volume finale, in cui Indiana Jones, sulle tracce di un teschio di cristallo, incontra per la prima volta Sallah e Renè Belloq, pochi anni prima degli eventi di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta. In Italia sono stati pubblicati solo alcuni di questi romanzi, che non sono comunque mai stati inseriti nella continuity "ufficiale" del personaggio.