Tutto quello che non sapete su Il Signore degli Anelli

Uno speciale su Il Signore degli Anelli, alla scoperta delle curiosità più o meno note su questa leggendaria epopea fantasy. In questa prima parte, la trilogia di Peter Jackson.

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a cura di Adriano Di Medio

È il fantasy per eccellenza, e la sua influenza su tale letteratura (al netto di tutto) è così grande da non essere misurabile. Il Signore degli Anelli, il romanzo epico di J.R.R. Tolkien, ha incantato milioni di persone e stregate miliardi grazie all’indimenticabile trilogia cinematografica di Peter Jackson. A 65 anni dalla pubblicazione del libro, vogliamo raccontarvi un po’ di curiosità, retroscena e aneddoti di questa fondamentale epopea. In questa prima puntata cominceremo proprio con ciò che l’ha fatta conoscere al grande pubblico: la trilogia di pellicole.

Il Signore degli Anelli: un Anello per riunirli tutti

Se la trama di fondo de Il Signore degli Anelli è ormai nota a tutti proprio grazie alle tre pellicole La Compagnia dell’Anello, Le Due Torri e Il Ritorno del Re, è anche vero che questo è uno dei pochi casi in cui anche genesi e dietro le quinte sono molto conosciute. Insolito, ma in questo caso quasi fisiologico: la produzione de Il Signore degli Anelli è infatti durata per così tanto tempo e ha coinvolto talmente tante persone (tecnici, cast, artisti, artigiani, scenografi, effetti speciali ed effetti visivi) che era impossibile tenerla confinata dietro le quinte. Tantissimi sono i filmati di lavorazione, interviste e backstage, immancabilmente inclusi come contenuti speciali in ogni edizione home-video della trilogia.

Le invenzioni sono state tante e sfaccettate, e molte di queste vengono dalla visione della Terra di Mezzo immaginata dall’illustratore Alan Lee, poi create nella realtà spesso con incredibile lungimiranza, perlomeno considerando le tempistiche cinematografiche. La città di Hobbiville venne infatti costruita un anno prima di iniziare a girare, apposta per dare l’impressione che fosse abitata da secoli.

Allo stesso modo le costruzioni più imponenti come il Fosso di Helm e Minas Tirith erano miniature appositamente costruite, sulle quali furono poi compositate le scene girate in greenscreen dagli attori. La miniatura di Minas Tirith è in scala 1:72, eppure anche così era davvero enorme. Tutte queste costruzioni vennero edificate in luoghi fuori mano e successivamente smantellate; altri set di dimensioni più “proporzionate” sono invece tuttora presenti e sono diventate attrazioni turistiche.

Le miniature più giganti che si siano mai viste

Miniature che vennero anche realmente distrutte quando la trama lo imponeva, dall’esplosione del Fosso di Helm all’inaspettata resistenza del cancello di Minas Tirith. Tutti sforzi produttivi che gravarono enormemente: è rimasta nota la leggenda che Il Signore degli Anelli rischiò seriamente di arenarsi in quanto Jackson aveva speso per il primo film tutto il budget in origine pensato per l’intera trilogia, tanto da rischiare che gli altri due film non riuscissero a essere distribuiti nelle sale cinematografiche.

E chiaramente, il respiro di ambientazioni e scene divenne via via sempre più enorme. Cast, comparse e troupe si sottoposero a mesi di riprese in notturna per la realizzazione delle scene della battaglia del Fosso di Helm, tanto che molti si procurarono delle magliette con su scritto I Survived Helm’s Deep (“Sono sopravvissuto al Fosso di Helm”), come se avessero partecipato a una battaglia vera.

Proprio per le scene di battaglia, uno dei trucchi più ingegnosi che vennero in mente ai responsabili degli oggetti di scena fu quella di inserire all'interno delle spade un'anima di gomma simile a quella degli skateboard, in modo che le armi in questione potessero assorbire gli urti senza spezzarsi. L'alternativa - raccontano nei dietro le quinte - sarebbe stata quella di dotarsi di 5 spade per attore per ogni scena.

Eppure, nonostante tutti questi sforzi, alla fine di tutto vi fu anche una paradossale nostalgia. Un aneddoto per tutti: quando arrivò il momento di girare l’ultima scena con Elijah Wood, interprete di Frodo, il regista Peter Jackson gliela fece ripetere molte volte anche se tecnicamente avevano già più di un ciak buono. Si trattava, piuttosto simbolicamente, della scena in cui Frodo conclude la stesura del Libro Rosso. In quel momento nessuno riusciva (o voleva) realizzare che un viaggio così importante fosse davvero finito.

La strana storia di Sauron angelico

Al di là del fitto calendario delle riprese, del non girare in sequenza e delle ovvie bizzarrie che questo generava, una delle curiosità più interessanti riguarda la battaglia finale de Il Ritorno del Re. Ancora una volta si tratta di un aneddoto ormai noto, ma a livello popolare lo è solo in parte.

Nella versione definitiva della pellicola si vede infatti Aragorn combattere contro un troll in armatura completa; il dettaglio insolito in questo senso è che una creatura notoriamente rozza come un troll maneggi una spada. Questo perché originariamente al suo posto ci sarebbe dovuto essere nientemeno che Sauron, che avrebbe sfidato Aragorn a singolar tenzone esattamente come capitato a Isildur nel prologo de La Compagnia dell’Anello, cui voleva essere chiaro richiamo.

Questa è la parte nota; la parte meno nota sta nel fatto che avessero in origine pensato a un Sauron se vogliamo inaspettato. La sequenza, girata e montata ma non perfezionata, vedeva Aragorn, Legolas, Pipino e Gimli accecati da una luce abbagliante proprio davanti al Cancello Nero, a seguito della quale si sarebbe manifestato Sauron nella veste di Annatar, le sembianze angeliche con cui aveva ingannato gli Elfi ai tempi della forgiatura proprio dell’Unico Anello. Sempre riportando le parole di Montersen, doveva essere il più classico esempio di “diavolo camuffato” (devil in disguise).

Comunque l’idea fu abbandonata, visto che a posteriori sia Jackson che i suoi collaboratori la trovarono incoerente con la figura di Aragorn. Ma dato che Viggo Montersen aveva comunque girato la scena, decisero di sostituire Sauron con il troll. Aragorn così ebbe il suo combattimento eroico, e lasciarono inalterato il suo senso di pericolo e disperazione di fronte al rischio di una morte orribile. Parte del girato in cui i personaggi venivano abbagliati venne “salvato” perché il regista, sotto consiglio dello stesso Viggo, lo riutilizzò per la scena in montaggio alternato in cui Sauron comunica con Aragorn e lo chiama per nome.

Il Signore degli Anelli, la più grande delle storie fantasy

L’altra grande curiosità in fatto di girato è, paradossalmente, di nuovo alla luce del sole. Avevano infatti girato materiale che raccontava il destino dei componenti della Compagnia dell’Anello, tra Gimli tornato a casa e Legolas nelle familiari foreste del Reame Boscoso. La più interessante però sta nel fatto che vennero effettivamente girate scene che mostravano gli eserciti del male invadere la Contea, trasformandola in una nera fabbrica e mettendone gli abitanti in catene.

Ciò altro non era che del materiale per l’ultima parte del libro, dove nel capitolo Percorrendo la Contea i quattro Hobbit liberavano la loro terra dopo averla trovata schiavizzata e agli ordini di un misterioso Sharkey. Tutto ciò non fu incluso nel film, ma le scene vennero comunque impiegate quando Frodo, in La Compagnia dell’Anello, scruta nello Specchio di Galadriel.

La riflessione su questi “capitoli mancanti” tra libro e film la vedremo nella seconda parte di questo speciale. Ma la loro presenza non fa che confermare come il tema principale di tutto Il Signore degli Anelli è proprio la morte. La morte alleggia lugubre in ogni fotogramma e pagina, ne diventa presenza innominabile che, pure quando perde, lascia segni terribili. Tanto il romanzo quanto il film si concludono con un trionfo epico e non con la rovina, ma per tale vittoria, per sua stessa grandezza, andrà pagato un prezzo carissimo. Un onere che sarà espletato proprio dai più piccoli, da quelli che non volevano la guerra ma che, una volta finiti in mezzo, la devono vincere perché è l’unico modo per sopravvivere.

È come nelle grandi storie, padron Frodo. Quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericoli, e a volte non volevi sapere il finale, perché come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare com’era dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, è solo una cosa passeggera. Quest’ombra… anche l’oscurità deve passare. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà sarà ancor più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro… anche se eri troppo piccolo per capire il perché.

Il discorso di Sam, tuttora ricordato e quotidianamente riascoltato e condiviso da milioni di persone dentro e fuori da internet, è sia la summa di tutta la trilogia che un intelligente sfondamento della quarta parete. In una contaminazione tra dialogo e monologo, Sam parla sia a Frodo che a noi, riflettendo su come mai certe storie sono universali, mettendo in metafora quello che doveva essere il pensiero umano di fronte a grandi catastrofi e difficoltà (non dimentichiamo che Tolkien scrisse il suo romanzo in piena seconda guerra mondiale). E allo stesso tempo realizza il messaggio di flebile speranza e del fatto che valga la pena essere buoni e difendere il bene, principi che solo perché sono insegnati nell’infanzia sono tutt’altro che infantili.

Il cast delle meraviglie

Ma se i dettagli sul dietro le quinte sono segno dell’enorme sforzo produttivo (umano ancor prima che economico), è anche vero che non bisogna mai dimenticare il lavoro di chi invece sta davanti la telecamera. Il cast della trilogia de Il Signore degli Anelli non solo è vastissimo, ma annovera nomi che, seppur ai tempi non fossero tutti così famosi a livello mondiale, è stato in grado di mettere l’anima nel portare in scena la visione di Jackson.

Impossibile non partire proprio da Viggo Montersen: l’interprete di Aragorn è infatti al centro di così tanti aneddoti, stranezze e colpi di genio che il suo lavoro sul set dei tre film è praticamente leggendario. Dalle occasioni più piccole, come quando si scheggiò un dente ma pur di continuare si fece riattaccare il pezzo con della colla per continuare a lavorare il giorno stesso, fino ai suoi gesti improvvisati, come l’urlo di dolore nella scena in cui, in Le Due Torri, è convinto che Merry e Pipino siano morti e in preda alla frustrazione calcia un elmo di Uruk-Hai. L’urlo che si sente è autentico, in quanto Viggo in quella scena si fece seriamente male all’alluce.

Rimanendo sul tema degli “incidenti fortunati”, anche Ian McKellen/Gandalf si fece male per davvero quando, in La Compagnia dell’Anello, batté la testa sul soffitto troppo basso di Casa Baggins; nonostante il dolore non si fermò e la gag inattesa piacque così tanto che la vediamo nel film. Chiaramente, visti gli anni e la grande quantità di persone, scenografie e cose in movimento durante le riprese, gli incidenti non mancarono: da Sean Astin (Sam Gamgee) cui cadde addosso una trave e calpestò una scheggia di vetro, fino ad Orlando Bloom (Legolas) che si ruppe alcune costole cadendo da cavallo.

Altri segni di quanto Montersen fosse dedito al suo lavoro per Il Signore degli Anelli stanno nel fatto che non solo familiarizzò (e poi adottò) il suo cavallo, ma riuscì anche a imparare la lingua elfica appositamente per il film (Montersen è già di suo poliglotta, in parte conosce anche l’italiano). Anche Liv Tyler (Arwen) si interessò molto alle lingue artistiche di Tolkien e imparò a sua volta un po’ di elfico: in più di un contenuto speciale, quando intervistata, accenna qualche frase in elfico per poi tradurla.

In questo senso c’è un retroscena interessante che riguarda la versione italiana. Francesco Vairano, prima di essere voce di Gollum, è il direttore di doppiaggio della trilogia: lui stesso, avendo ammesso di non essere un grande lettore di Tolkien, ha dichiarato nel 2011 che mandava i dialoghi in revisione a una società tolkeniana prima di farli registrare, in modo da esser certo che fossero accurati.

Nove, il più magico dei numeri

Chiaramente, oltre alle abilità e dedizione individuale degli attori, alla base della trilogia del Signore degli Anelli c’è prima di tutto il fatto che fossero un gruppo. Con alle volte anche qualche scherzo finito un po’ male: Billy Boyd e Dominic Monaghan, interpreti di Merry e Pipino, anche nella vita reale sono piuttosto burloni e sul set non rinnegarono mai questa loro attitudine.

Tanto che ai tempi giocarono un tiro mancino un po’ crudele a Sean Bean, interprete di Boromir. Uno dei luoghi delle riprese andava raggiunto in elicottero, cosa che Bean mal sopportava in quanto non gradiva volare su tali veicoli. Venuti a sapere della cosa, Billy e Dominic si accordarono col pilota perché durante uno di quei viaggi eseguisse qualche manovra sopra le righe; Bean si risentì talmente tanto dell’episodio che da quel momento rifiutò di prendere l’elicottero e, dopo essersi alzato ogni giorno all’alba, equipaggiato e truccato di tutto punto, cominciò a raggiungere per conto suo (a piedi) i vari luoghi fuori mano.

L’aneddoto che però maggiormente li riguarda tutti sta in un episodio verificatosi alla fine dei lavori, e che vogliamo usare per chiudere questa carrellata. Ancora una volta fu merito di Viggo Montersen: l’eclettico inteprete di Aragorn si accordò con un tatuatore locale perché lui e gli altri otto attori che avevano interpretato i membri della Compagnia dell’Anello si facessero incidere sulla pelle “nove” in elfico.

Il Signore degli Anelli, una questione di umanità

Pure se alla fine John Rhys-Davies (interprete di Gimli) si tirò indietro e a tatuarsi fu invece la sua controfigura, questo gesto è in realtà fortemente simbolico. Queste nove persone sono state talmente tanto insieme e per così tanti anni che alla fine la Compagnia dell’Anello è nata sul serio.

Un evento che spesso si tende a sottovalutare, ma che dimostra ancora una volta quanto, ancor prima che di un grande sforzo produttivo, se la trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli è venuta così bene è per via dell’umanità che vi è stata riversata da tutti coloro che vi hanno partecipato. Un’umanità fatta di professionalità e duro lavoro ma anche di scherzi, improvvisazione, espressività e goliardia, oltre che di uno spontaneo spirito di gruppo. Ed è anche la ragione per cui non invecchierà mai, non importa quanti decenni o secoli saranno passati dalla sua realizzazione.

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