Proseguiamo il discorso della scorsa rubrica, prendendo a rasoiate (mi perdonino i collezionisti!) una serie di albi a fumetti dedicati ai nostri cari lupi mannari. L’articolo, per forza di cose, non potrà essere esaustivo né completo, dunque metto le mani avanti: rimarranno fuori molti fumetti, magari i vostri preferiti… non arrabbiatevi: lo spazio è tiranno e bisognava fare delle scelte!
Tradizionalmente il fumetto nasce negli Stati Uniti nel 1896 con la striscia Yellow Kid. E’ stato detto, e mi trovo d’accordo, che i fumetti in Usa divennero da subito insieme concorrenti e continuatori dei pulp e della tradizione dei penny dreadful: e infatti negli anni Trenta, quelli, gloriosi, di Weird Tales, venivano venduti degli albi chiamati More Fun, nei quali comparivano regolarmente le storie del Dr. Occult, un investigatore fantasma che combatteva diversi avversari sovrannaturali; ma è solo un esempio. Per citare casi più noti, anche Batman, nel quinto numero di Detective Comics (l’anno è il 1939), insegue fino in Ungheria un suo pericoloso avversario solo per scoprire che si tratta di un vampiro che presenta però anche tratti tipici del licantropo, tanto che viene abbattuto con pallottole d’argento.
La moda del fumetto horror, comunque, esplode soltanto nel dopoguerra con il trittico di pubblicazioni Crypt of Terror (nome cambiato in Tales from the Crypt dopo appena tre numeri), The Vault of Horror e The Haunt of Fear, tutte dello stesso editore, la spregiudicata Entertaining Comics di Bill Gaines, brillante imprenditore che aveva trasformato alla radice l’austera Educational Comics ereditata dal padre (l’acronimo rimane però uguale: EC). I fumetti pubblicati in queste riviste sono destinati a fare scuola: privi di personaggi fissi, si avvalgono di “presentatori” che introducono storie brevi spesso caratterizzate da un finale a sorpresa che disorienta il lettore; va da sé che, terminate le prime, brillanti idee si ricorrerà sempre più spesso a una ricerca esasperata dell’effettaccio, spesso truculento.
E’ il caso della storia The secret (Haunt, marzo 1954) nella quale un orfano, adottato da una coppia che nutre torbidi progetti su di lui, si rivela essere un lupo mannaro e finisce per mangiarsi i genitori. La EC utilizzò spesso la combinazione di personaggi licantropi/vampiri, spesso sovrapponendoli senza molto discernimento (è il caso di A little Stranger, pubblicata su Haunt of Fear del luglio 1952) oppure facendoli interagire nella medesima storia (Werewolf concerto, in Vault del dicembre 1950). Le prospettive sembravano ottime, ma nel 1954 irrompe nella scena americana, come un fulmine a ciel sereno, il saggio Seduction of the inocent di Fredric Wertham, psichiatra newyorchese di origini tedesche, che segnerà la fine di quella epoca d'espansione del fumetto supereroistico passata alla storia come Golden Age.
I licantropi sono banditi!
In un clima di caccia alle streghe, e infatti gli anni Cinquanta assistono attoniti al dilagare negli States del Maccartismo, i fumetti vengono trascinati alla sbarra, accusati di corrompere la gioventù americana. Sono storie come la citata The secret che vengono additate come colpevoli, per la loro intrinseca violenza e la rottura degli schemi tradizionali (in questo caso la violazione del taboo familiare). Lo stesso governo si interessa della questione, bandendo un’inchiesta pubblica sul tema “sesso, crimine e violenza nei comics” della quale si occupa direttamente la commissione senatoriale per la delinquenza giovanile.
Le case editrici di fumetti non attendono un provvedimento legislativo che potrebbe risultare fatale per loro e corrono preventivamente ai ripari; il mercato degli anni Cinquanta, infatti, era incredibilmente favorevole, circolavano quasi settanta milioni di copie ogni mese, dunque era impensabile mollare la presa. In quello stesso 1954 viene fondata la Comic Magazine Association of America che adotta immediatamente un codice di auto-censura che regolamenti le pubblicazioni dei propri iscritti. Si tratta del celebre Comics Code, che imponeva limiti e inibizioni, forti censure e inequivocabili e categorici divieti come il seguente: “Le scene e gli strumenti associati con i vampiri e il vampirismo sono proibiti”. Facile intuire come sceneggiatori e disegnatori si trovassero con le mani ben più che legate e come, dunque, licantropi e loro simili venissero buttati fuori dal mondo del fumetto senza troppi complimenti.
Ci furono eccezioni, certo, come quella della Dell Comics, che a proprio rischio non aveva aderito all’associazione e dunque aveva continuato a pubblicare liberamente storie horror. Fu però la Warren Publishing Company a rompere a tutti le uova nel paniere adottando un brillante stratagemma, quello di pubblicare fumetti vietati sfruttando tipi di riviste che ufficialmente non erano soggette al Comis Code. Mi spiego meglio: nel 1958 uscì Famous Monsters of Filmland, che poté pubblicare strisce del terrore in quanto si presentava come una rivista di cinema; nel 1964 venne stampato il celebre Creepy, seguito l’anno dopo da Eerie, che sfuggirono alle maglie del codice di censura grazie al loro formato di pubblicazione. La diga vacillava, e il crollo definitivo ci fu nel 1969 quando, sempre la ribelle Warren, lanciò Vampirella, notissima vampira sexy; due anni dopo, nel 1971, il Comics Code andò ufficialmente in pensione: i tempi erano maturi per una svolta.
Licantropus
L’associazione cambiò i parametri e riformulò le regole; nel nuovo codice, ad esempio, venne scritto che i “vampiri possono essere usati quando sono trattati secondo la tradizione classica come in Dracula e altre opere letterarie di qualità superiore”. Ciò che valeva per i vampiri, naturalmente, valeva anche per i licantropi. Tra la folla di nuove testate horror, mi limito a segnalare Werewolf by Night (tradotto in Italia, con un latinismo bizzarro ma efficace, Licantropus) della Marvel.
Il personaggio fu ideato da Roy Thomas, su uno spunto dell’onnipresente Stan Lee, e prese dichiaratamente come modello le tematiche del B-movie adolescenziale I Was a Teenage Werewolf. La leggenda vuole che il soggetto del primo episodio sia nato nella mente di Thomas durante una passeggiata domenicale in compagnia della moglie Jeanie, ma questo poco conta; quel che più importa è che le prime storie, affidate alla sceneggiatura del giovane Gerry Conway, uscite tra il febbraio e il giugno del 1972 su Marvel Spotlight, si conquistano da subito l’affetto dei lettori meritandosi una testata autonoma.
Il cardine attorno al quale ruota la vicenda è quello caro a Stan Lee, sviluppato macroscopicamente in Spider-man e Hulk, e cioè il potere come responsabilità, fardello e maledizione. Jack Russell, il protagonista di Werewolf by Night, eredita infatti la licantropia dal padre, nobile di un piccolo stato Baltico poi ucciso dai suoi compaesani, e scopre di esserne affetto il giorno del suo diciottesimo compleanno. La scoperta è resa più drammatica dalla tragica morte della madre, causata dall’avido patrigno interessato all’eredità, e dal fatto che il giovane Jack deve, dunque, affrontare da solo la sua nuova condizione. La serie dura fino alla fine del 1977, poi il pubblico si disaffeziona e la testata chiude; un primo tentativo di rilanciarla è rischiato vent’anni dopo, nel 1998, ma le cose vanno storte.
La Marvel ci riprova nel 2008, con maggiore fortuna anche perché la miniserie, Nel sangue è il titolo scelto, esce sotto l’ombrello “adulto” Max che ne seleziona a priori il pubblico. Il fumetto è per adulti, dicevo, dunque abbonda di situazioni visive molto forti, al limite dello splatter, e anche il contenuto è decisamente più duro della serie degli anni Settanta. Lo sceneggiatore Duane Swierczysnki riscrive le origini del personaggio, imbevendole di sangue, quello sparso, a fiumi, dai cittadini di Jordan (Wisconsin) quando vengono tutti sterminati da un ferocissimo licantropo; unico superstite un bimbo di appena tre mesi di nome Jack Russell. Da adulto scoprirà di essere affetto da una terribile maledizione e comincerà a vagare clandestinamente per gli USA, fino a trovare un parziale equilibrio nel matrimonio; il suo segreto viene custodito all’interno di una camera blindata nella quale Jack si chiude ogni mese. Impressionanti e bellissimi i disegni del filippino Mico Suayan, capace di realizzare un licantropo tra i migliori che abbia mai visto raffigurati su carta o tela.
Lupi mannari cimmeriani
Il fumetto breve che si occupa di licantropi, generalmente, segue uno schema stereotipato: l’eroe salva la vita all’avvenente ragazza di turno solo per poi scoprire che si trattava di una donna lupo e che, dunque, i suoi presunti aggressori stavano in realtà compiendo un atto di giustizia sommaria, eliminando un pericoloso mostro; l’alternativa è il salvare bambini, giovani ragazzi, ometti dall’aria pacifica, tutto ciò, in sostanza, che abbia un’aria sufficientemente innocua da catturare all’istante la simpatia del lettore e spingerlo nell’equivoco di solidarizzare con l’azione dell’eroe, salvo inorridire nel momento della scoperta del tragico errore.
Il primo esempio che ho a portata di tastiera è una storia di Conan il barbaro, La notte del lupo (contenuta nell’albo La rabbia di Conan, nr. 63 della serie Conan il barbaro, maggio 1994, edito dalla Marvel Italia), testo e disegni a firma di John Buscema, nella quale la giovane Kahlima, resa inoffensiva da una gabbia di legno, è ostaggio di due cavalieri; restituita all’affetto di suo padre, lo sceicco Maksud, cerca in seguito di dilaniare Conan e viene uccisa dallo stesso Maksud che ammette poi di averla generata con un demone femmina e di averla tenuta con sé sperando che la maledizione non si palesasse. E’ il padre ad ucciderla, dunque, ed è questo un altro stereotipo: il parente più prossimo che si accolla la responsabilità di spezzare la vita del “mostro”. E’ una sperimentata scappatoia per evitare che l’eroe si macchi di sangue in definitiva innocente, perché il licantropo è in queste versioni più vittima che carnefice.
E’ ciò che accade anche nella storia di Solomon Kane E fede immortale… (contenuta nell’albo La casa dei teschi, nr 64 della serie Conan il barbaro, giugno 1994, edito dalla Marvel Italia), testi di Ralph Macchio e disegni Bret Blevins, dove è un amico del protagonista a uccidere il suo stesso figlio prima che quest’ultimo abbatta il colossale puritano Kane.
Trovo interessante, in questo contesto di stereotipi, l’esame della storia Cimmeria (albo nr. 12 della collezione 100% Cult Comics, Panini Comics, 2010), sempre di Conan. Il barbaro salva due gemelli di una decina d’anni circa dalla misteriosa gente delle paludi (“così strana e solitaria che anche i Vanir la evitavano”), che, dopo aver annegato la loro madre, stavano per buttare anche i bambini nell’acqua putrida. La storia appare scontata: l’eroe strappa due innocenti dalle grinfie di nemici dipinti come malvagi e depravati, ma la “sorpresa”, scontata quanto il sorgere del sole, è dietro l’angolo, perché i due gemelli sono in realtà pericolosi licantropi. A ovvietà si aggiunge ovvietà quando si scopre che il fratello più simpatico e cordiale è quello malvagio, affamato di carne umana, mentre quello più schivo e solitario (dunque deputato ad essere subito sospettato delle stragi) è gentile d’animo. Si apre in tal modo la strada per l’attuazione di un ulteriore cliché: Conan non può macchiarsi le mani del sangue di un bambino, sebbene malvagio, e dunque toccherà al gemello buono sbarazzarsi di quello cattivo in una furiosa lotta corpo a corpo tra licantropi. Tutto già visto.
L’avventura a fumetti migliore del lotto è quella vissuta da Conan nel drammatico Inverno del lupo, assediato in un avamposto commerciale nelle pianure al confine con Aquilonia, gelide e ostili, ricoperte da neve e battute da un immenso branco di lupi affamati e furenti. I lupi sono guidati da una coppia di licantropi, maschio e femmina, più vicini perciò alla figura dei meneurs des loups francesi che a quella classica dei lupi mannari. A Conan, implacabile spadaccino, il compito di uccidere sia la femmina, da lontano, con un preciso tiro di freccia, che il maschio, davvero terrificante nella sua forma di lupo antropomorfo. Questa storia la trovate in Conan, la spada selvaggia nr. 68.
Miscellanee marveliane (ma non solo)
L’universo Marvel è punteggiato dalla saltuaria presenza di licantropi, nella quasi totalità dei casi personaggi di sfondo, usualmente affiancati a villain (cattivi) più noti. Felice eccezione il citato Licantropus. Ma vanno anche menzionati l’astronauta John Jameson (figlio di quel Jonah che ha in Spider-man il proprio peggior incubo) mutato in uomo lupo da una gemma aliena, e Capwolf. Con questo nome venne battezzata la versione licantropica di Capitan America, infettato da un villain con un siero mutageno. Brandendo il suo celebre scudo con le zampacce unghiute di un lupo, scorrazzò per le foreste del Massachusetts per sei numeri della serie a lui dedicata (dal 402 al 407) prima di venire guarito.
Rimanendo negli Stati Uniti, ma uscendo dal perimetro Marvel, va detto che anche il demone buono Hellboy si becca la sua sacrosanta dose di licantropi in The Wolfes of Saint August che Mike Mignola scrive e disegna tenendo ben presente la leggenda irlandese sulla maledizione scagliata da San Patrizio. Molto meno affascinante, soprattutto sul piano grafico, la serie The astoundishing Wolf-Man del 2007, puerile tentativo di fare di un uomo lupo un supereroe al servizio della giustizia.
La versione di lupi mannari a fumetti più stravagante appartiene però a uno degli universi paralleli Marvel, quello nel quale l’intera schiera di supereroi della Casa delle Idee viene infettata da un virus pan dimensionale di origine extraterrestre e trasformata in un’orda di famelici zombie che estinguono a morsi la razza umana; nel secondo volume di questa stralunata serie, Marvel Zombies vs Army of Darkness, Ashley Williams, personaggio della trilogia horror di Sam Raimi Evil Dead e trasformato in fumetto per l’occasione, si ritrova faccia a faccia con questi mostri e riesce a salvarsi per il rotto della cuffia, facendosi spedire in una dimensione parallela.
Con enorme raccapriccio, però, scopre che in questa nuova versione della Terra i supereroi non sono più zombies ma licantropi. Sorpresi a pasteggiare a base di carne umana, Spiderman & Co, in un’assurda versione pelosa, si lanciano al suo inseguimento ululando alla luna.
Per inciso, esiste anche una versione disneyana di lupo mannaro: Pipwolf, creato da Bruno Enna per la serie X-Mickey. Lupo mannaro a tutti gli effetti, somiglia moltissimo a Pippo, ma non confondetelo con lui: si tratta di due “canidi” diversi.
Licantropi con gli occhi a mandorla
I manga, la seconda metà del cielo del fumetto internazionale, ignorano quasi del tutto il fenomeno, e la cosa è assolutamente ovvia visto che non fa parte della loro cultura (straordinariamente ricca invece di una pletora di altre creature); quando se ne occupano lo fanno in scialba imitazione di storie europee e americane oppure inserendoli come bizzarri personaggi di contorno, come nel caso dell’aggressiva e litigiosa Sheera Lupescu, madre di Ranze Eto (meglio nota da noi come Ransie la strega) protagonista dello shojo Tokimeki Tonight pubblicato a partire dal 1982.
Come esempio del primo caso segnalo invece Spice and Wolf (in originale Okami to Koshinryo, tratto da una serie di romanzi della scrittrice Isuna Hasekura); ambientato nel tardo Medioevo europeo, racconta la delicata storia d’amore tra il giovane mercante Lawrence e Horo, una ragazza dotata di coda e orecchie che è in realtà l’incarnazione del dio-lupo invocato dal villaggio di Lawrence per garantirsi un buon raccolto. Quando Horo si trasforma diventa un terrificante e colossale lupo, sintomo evidente della sua parziale divinità, fatto che attira sulla coppia la maligna attenzione della Chiesa che vuole eliminare ogni traccia del passato paganesimo. La trama è, in effetti, colta e raffinata, attenta a molti particolari storici e religiosi per nulla scontati; inoltre si distingue per un originalissimo e documentato approfondimento della storia del commercio e dell’economia medioevale.
Piuttosto curiosa è invece l’impostazione della serie Wolf’s rain nella quale i lupi, quasi estinti da un’implacabile caccia, imparano a “farsi vedere” dagli uomini come loro simili, nel senso che ingannano le loro pupille senza però compiere, in realtà, nessuna vera mutazione. Diversi riferimenti si trovano poi in opere come Wolfbound, Soul Eater, Crescent Moon, Wolf Guy e, naturalmente, Kaibutsu-kun che detto così potrebbe non significare nulla ma è in realtà il titolo originale di Carletto principe dei mostri, divertentissimo manga di Fujiko Fujio (poi diventato anime – e cioè serie animata - come la maggior parte dei fumetti citati in questo paragrafo): nella serie uno dei tre assistenti di Carletto è Lupo (gli altri due per inciso sono Dracula e Frankenstein), un licantropo che si trasforma ogni notte e che fa il cuoco per il suo principe.
Licantropi bonelliani
E l’Italia?
Mi pare inevitabile partire dal nostro più celebre detective dell’occulto, e cioè Dylan Dog: la sua “prima volta” con i licantropi è stata addirittura nel numero tre della sua serie, nel 1986. Testi di Tiziano Sclavi, naturalmente. L’episodio in questione è Le notti della luna piena e, al riguardo, va anche aggiunto che Sclavi, anticonformista fino al midollo, racconta una storia di licantropi dove i licantropi non ci sono, nel senso che gli avversari di Dylan non saranno uomini che diventano lupi ma lupi che mutano in uomini a seguito di un esperimento magico condotto da una coppia di streghe.
Seguiranno moltissimi altri incontri/scontri: vorrei citare soltanto la storia breve C’era una volta pubblicata sull’Almanacco della paura del 1994 (testi di Michele Medda e disegni di Luigi Piccatto) davvero ottima per sintesi ed efficacia. La protagonista è la giovane Reba Wood, il cui nome viene da tutti storpiato in “Red Hood” (Cappuccetto Rosso), che vive con la madre ai margini di un bosco inglese. Dovendo portare il regalo di compleanno alla nonna, attraversa il suddetto di bosco e lo fa di notte, complice una foratura alla gomma della bicicletta. Per ora tutto scontato, anche il licantropo che si aggira furtivo fra le ombre e l’incontro con Dylan Dog che si era infrattato con l’amante di turno. La storia è ravvivata dal doppio colpo di scena conclusivo, per cui prima si scopre che il licantropo è nonna Wood e dopo che anche la mamma di Reba lo è, e che il regalo di compleanno era proprio la piccola. Nel primo caso la ragazzina viene salvata da Dylan, nel secondo no, quindi la storia si conclude con queste parole: “C’era una volta una ragazzina chiamata Cappuccetto Rosso. Adesso non c’è più.”
Zagor, lo spirito con la scure della foresta di Darkwood, affronta i lupi mannari in due circostanze della sua sua cinquantennale carriera di avventuriero. La prima volta nell’estate del 1969, la seconda nell’inverno del 2010, rispettivamente con la saga dell’uomo lupo di Stormy Pass e con i licantropi di Asher Mill. Interessante la grafica di queste creature, forzatamente influenzata dall’evoluzione delle sembianze nell’immaginario collettivo; il medesimo mostro viene rappresentato nelle storie in due modi completamente differenti, ma è naturale che sia così, visto il vasto arco temporale che separa i due episodi e il mutamento delle mode. Il dottor Stubb, alla fine degli anni Sessanta, risente dell’impostazione data dal trucco di Jack Pierce, e infatti la creatura è disegnata in modo identico all’uomo lupo impersonato da Lon Chaney Jr nel film L’uomo lupo; visto oggi fa più tenerezza che paura.
I licantropi della saga scritta da Moreno Burattini e pubblicata nel 2010 sono invece molto più minacciosi, graficamente vicini a quelli davvero inquietanti de L’ululato. Non ho sbagliato nello scrivere “licantropi”, perché, se nel 1969 Zagor si trovava a fronteggiarne soltanto uno, nel 2010 è attorniato da un vero e proprio branco composto dalle ignare vittime di un altro studioso privo di scrupoli, Terence Clemons, maestro di scuola di Asher Mill. Quest’ultimo viene stregato dal fascino dei lupi mannari e li studia fino a rinvenire la causa scatenante del fenomeno. Il passo successivo è distillare in un siero il sangue di lupo mescolato a essenze vegetali e secrezioni ormonali; una volta iniettato in inconsapevoli cavie precedentemente ipnotizzate, il liquido fa regredire gli uomini alla loro natura animale e “crea” uomini lupo pronti a tramutarsi con il sorgere della luna piena (previa ingestione di un ulteriore farmaco che fa agire il siero presente nel sangue). Burattini si allinea dunque alle versioni fumettistiche e cinematografiche più moderne, che cercano un po’ di novità nella “mutazione sierologica”, scientificamente più appetibile per le nuove generazioni. In passato ci si accontentava del semplice morso di un licantropo, come era accaduto a Stubb.
Il numero ventisette della serie bonelliana Dampyr si intitola Lupi mannari, ma in realtà non tratta di licantropi bensì di quelle milizie tedesche di autodifesa. Nel 2005, con il n. 68, lo sceneggiatore Stefano Piani porta invece Harlan Draka a fronteggiare un lobizon, il lupo mannaro sudamericano; curiosa l’origine di questo particolare licantropo: il settimo nato di una famiglia “eredita” questa maledizione. I disegni dell’albo, intitolato I cacciatori di licantropi sono di Fabio Bartolini. Nel 2014, il “ridestato” Lukas (guai a chiamarlo zombi!), è protagonista di un doppio ciclo di avventure a forti tinte horror: non potevano mancare i licantropi. Precisamente, compaiono nel n. 7 della prima stagione, intitolato Lupi (testi di Michele Medda e disegni di un “altro” Michele, Benevento) sotto forma di una tribù di bikers, costretta al nomadismo per convivere con gli esseri umani.
Nella serie Martin Mystère arriva invece la spiegazione italiana dell’origine della forza che anima gli “irriducibili galli” di Goscinny e Uderzo (Asterix e Obelix, naturalmente): secondo l’eclettico e vulcanico Alfredo Castelli, il piccolo villaggio in Armorica sarebbe riuscito a resistere agli invasori romani non in virtù della ben nota pozione del druido Panoramix ma grazie ai poteri ultraterreni di una misteriosa creatura annidata nel fondo di un antico pozzo che trasformerebbero i pacifici bretoni in furiosi licantropi. Questa “spiegazione”, disegnata da un magistrale Giampiero Casertano, la trovate ne La falce del druido, albo nr. 50 della collana Martin Mystére, di Sergio Bonelli Editore. Semplicemente geniale!
Tex, infine, ha affrontato il letale Diabero: ma di questo ho già parlato in un precedente articolo.
Che belle le lupe mannare!
Sulla scia di successo delle frotte di eroine sexy-horror degli anni Settanta e Ottanta, nel 1981 la Edifumetto di Milano pubblica Ulula; una licantropa sessualmente attiva non poteva certo mancare in un contesto che già contava bellezze disinibite del calibro di Zora, Sukia, Yra e Jacula. La serie dura per trentasei numeri, fino al 1984; la sua protagonista, le cui forme rotonde e invitanti quasi mai nascoste agli occhi del lettore hanno la firma di Giovanni Romanini, purtroppo recentemente scomparso, è una sensuale indossatrice di nome Ulla, “la più bella e più pagata del mondo” si legge nella tavola di apertura, che viene ospitata nel castello dello zio, isolato fra i boschi della Foresta Nera. A seguito di un terribile incidente d’auto la ragazza ha bisogno di urgenti cure mediche; se ne occupa lo zio che, in mancanza di meglio, le trasfonde sangue di lupo. Sarà questa la causa delle sue future trasformazioni, condite con abbondanti scene di nudo e di sesso esplicito.
E ricordate: L’unico modo per andare a fondo alle cose… è tagliarle! Arrivederci alla prossima rasoiata…