Finito il lockdown, dopo odiosi e lunghissimi periodi trascorsi a fissare sempre le stesse quattro pareti, è tempo di cambiare casa; e un genovese come me non poteva che pensare, come nuova dimora, all’abitazione-salvadanaio più famosa (e colossale) di sempre: il deposito di zio Paperone. A dirla tutta, la banca che ho consultato per il mutuo mi ha fatto un’ottima offerta di tasso, ma lo ziastro si rifiuta di vendere il deposito con contenuto di monete d’oro annesso, dunque non mi resta che usare il rasoio di questo mese per… no, non per minacciarlo e costringerlo a vendermelo… bensì per squarciare il velo che copre questo poderoso edificio e dare una sbirciatina al suo interno, senza usare la planimetria preparata da Don Rosa.
Già, pochi sanno che il fumettista statunitense, appassionato di paperi ed esperto ingegnere civile, ha realizzato nel 2001 (in occasione del cinquantennale dell’edificio) una planimetria del deposito, non soltanto accuratissima - potevate aspettarvi qualcosa di meno da lui? Quando l’ho conosciuto, prima di realizzare uno sketch per me, ha pesato il foglio di carta e valutato l’impatto del pennarello sulla celluloide con un algoritmo - ma anche utilissima per tutti coloro che vogliono, per esempio, sapere che l’edificio consta di undici piani; più il pianterreno.
Come nasce il deposito di Zio Paperone?
O che il deposito è stato progettato nel 1902 da un certo F.I. Drake. “Quindi esiste sul serio?”, mi chiederete voi, ma la risposta, rasoio alla mano, è che no, non esiste. E’, naturalmente, un mero parto della fantasia di Carl Barks, “l’Uomo dei Paperi, che lo ideò e disegno per la prima volta nel 1951, nella storia Paperino e la ghiacciata dei dollari” (titolo originale: The Big Bin on Killmotor Hill).
Però avrebbe potuto esistere, se soltanto fosse stata accolta, nel 2015, la proposta del fumettista toscano Daniele Caluri di trasformare un edificio incompleto sulle colline livornesi, noto come il Mausoleo di Ciano, proprio nel celebre deposito di Paperone. In effetti, la struttura in muratura si avvicina abbastanza all’idea che noi tutti abbiamo di quell’iconico edificio, e, dopotutto, sarebbe stato sufficiente ridipingerlo in azzurro e giallo e vergare quella celeberrima S che non soltanto è il simbolo del dollaro (facile!) ma che è anche l’iniziale di Paperone. Ma… Paperone inizia con la P! Prima di darmi dell’analfabeta, sappiate però che il nome originale di Paperone è Scrooge.
Accennavo all’idea che noi tutti abbiamo del deposito: ebbene, qual è esattamente? Non una soltanto, perché molto diversa è la prima versione del 1951 (un semplice parallelepipedo in acciaio) da quella, per esempio, di Giorgio Cavazzano, disegnatore italiano che, grazie alla straordinaria morbidezza della propria china, ha molto accentuato le forme tondeggianti dell’edificio. Senza contare l’aggiunta della cupola semisferica che troneggia sulla sua cima: nella versione originale barksiana non esisteva, e questo perché è un’invenzione tutta italiana. Fu nella storia made in Italy Paperino e l’aurite acuta (1965, Rodolfo Cimino ai testi e Romano Scarpa ai disegni) che apparve la prima volta,per non andarsene mai più!
Il deposito di Zio Paperone: distrutto e assaltato!
Ma, nella sua lunga carriera, il deposito ha subito ben più di una metamorfosi, passando da dirigibile ancorato a terra (ma anche in volo!) a veicolo dotato di sei ruote e doppie braccia meccaniche, da suggestivo acquario a “torrone gigante”, sfera oppure smisurato porcellino salvadanaio (concepito da Paperoga). Senza contare le volte che è stato distrutto: da degli alieni, per esempio, (nella storia Zio Paperone e i predoni dello spazio) oppure schiacciato dal colossale monumento dedicato a Cornelius Coot (Paperinik e la rivincita di Cornelius Coot) o, ancora, distrutto dalla stessa artiglieria pesante che dovrebbe difenderlo (in Zio Paperone all’attaaaaacco!) per una banale incomprensione sul messaggio bellicoso di una colonia di formiche.
Come? Non vi sembra possibile che gli strumenti difensivi del deposito sia così potenti da schiantarlo? Provate a chiederlo ai Bassotti, che da decenni provano (inutilmente) a depredarlo, assaggiando le numerose trappole disseminate attorno e dentro di esso. Paradossalmente, uno dei loro tentativi meglio riusciti è quello avvenuto nel primo episodio dove esso compare, nel quale i Bassotti finiscono per distruggerlo (sommate questo caso ai precedenti elencati!). La storia, come detto, è quella del 1951, firmata da Carl Barks e intitolata in originale The Big Bin on Killmotor Hill.
Ma cos’è questa “collina Ammazzamotori” che si cita? E’ la collina che domina Paperopoli, sulla quale sorge il deposito. Anticamente si chiamava “Ammazzamuli”, alludendo alla difficoltà con la quale gli animali da soma ne avrebbero affrontato l’erto pendio per giungere a Forte Paperopoli, che sorgeva sul cocuzzolo dell’asperità montuosa. Fu Paperone a farle cambiare nome perché la sua auto si bloccò a metà strada e, priva di freni (troppo costosi: perché installarli?), rovinò a valle. Il contadino Dabney Duck, vedendo l’auto precipitare nei suoi campi di mais, ribattezzò la collina “Killmotor”. Tutto questo viene narrato ne L’invasore di Forte Paperopoli (1994, Don Rosa).
E se ancora vi chiedete perché, nel cambiare casa, voglia trasferirmi proprio in cima a questa dannata collina, non dimenticate che il deposito, nella sua prima apparizione, era esattamente una cassaforte…. Una cassaforte piena zeppa di monete d’oro!