L'8 febbraio 1968 usciva nelle sale americane il cult Il Pianeta delle Scimmie. La fine degli anni ’60, dal punto di vista cinematografico, fu un periodo d’oro per la fantascienza. Dopo anni in cui il futuro e le suggestioni sci-fi erano state pesantemente influenzato dal pericolo atomico o dalla visione distorta del lato oscuro della scienza, si stavano cominciando a profilare opere che volevano affondare nell’animo autentico della letteratura d’anticipazione: analizzare il presente raccontando il futuro. È in questo decennio che arrivano sul piccolo schermo delle case americane Star Trek, mentre il cinema si preparava ad accogliere capolavori come 2001: Odissea dello spazio o Il Pianeta delle Scimmie.
Non solo Il Pianeta della Scimmie fu un cult del periodo, ma diede vita a una saga cinematografica e a una serie televisiva omonima. L’avventura dell’astronauta George Taylor e dei suoi sfortunati compagni di viaggio fu uno dei momenti epocali della fantascienza cinematografica del periodo, contribuendo a imprimere un nuovo slancio al modo di raccontare la sci-fi in sala. Una concezione narrativa moderna che era frutto, a sua volta, di una rinnovata vitalità della fantascienza letteraria, animata da nuovi autori che stavano riscrivendo la visione di mondi futuri in un’ottica meno figlia delle paure del periodo e più vicina a uno spirito critico e impegnato.
Il Pianeta delle Scimmie: dai romanzi al cinema
Il Pianeta delle Scimmie, prima di essere un cult cinematografico, è un romanzo datato 1963. Dalla seconda metà degli anni ’50, la narrativa fantascientifica si stava emancipando da quel suo aspetto pulp tipico degli anni precedenti, andando oltre a tematiche avventurose e stereotipate, affrontando argomenti più impegnativi. In questi anni assistiamo al consolidamento del corpus letterario di Asimov, nelle librerie americane compare il primo volume di Dune e grandi maestri della sci-fi letteraria fanno il loro esordio, come Philip Dick.
La sci-fi letteraria, quindi, diventa sempre più un genere con cui anche altri autori vogliono confrontarsi. Tra questi, anche lo scrittore francese Pierre Boulle. Boulle è un nome noto, grazie alla trasposizione cinematografica di un altro suo romanzo, Il ponte sul fiume Kwai, e nel 1963 diventa un autore di fantascienza grazie alla pubblicazione de Il Pianete delle Scimmie (La Planète des singes), tradotto in Italia per la prima volta nel 1965 con il titolo Viaggio a Soror, che solo nella seconda ristampa del romanzo, dopo il successo della pellicola che ne fu tratta, lasciò spazio al più noto Il Pianeta delle Scimmie.
Nell’originale cartaceo di Boulle, si ipotizza su come una coppia in viaggio di piacere a bordo di un’astronave, in rotta verso Soror, incappino in un oggetto che fluttua nello spazio. Portato a bordo, questo si rivela essere un contenitore in cui è conservato un messaggio scritto a mano da un uomo, Ulisse Mèrou, che narra di un’incredibile avventura.
Nell’anno 2500, Mèrou, in quanto giornalista, venne invitato da uno scienziato per partecipare come cronista al viaggio inaugurale del suo vascello spaziale, creato con lo scopo di cercare una nuova casa per l’umanità ormai morente sulla Terra. Dopo due anni di viaggio, l’astronave raggiunge un pianeta, ribattezzato Soror, in cui gli esploratori scoprono una civiltà umana regredita allo stato animale e dominata da una razza di scimmie incredibilmente evolute, che tratta gli esseri umani come schiavi. Dopo esser stati catturati, gli esploratori sono sottoposti a esperimenti e studi da parte dei primati scienziati, che scoprono come Mèrou e compagni siano alieni, rivelazione che sconvolge la comunità scientifica delle scimmie, che nasconde un terribile segreto: in alcuni siti archeologici segreti sono presenti tracce di un’antica civiltà umana estremamente progredita.
Dopo avere cercato di convincere le scimmie della possibilità di una nuova società che integri anche gli umani, Mèrou, visto il fallimento del suo tentativo, è costretto a fuggire dal pianeta, assieme a Nova, donna autoctona con cui ha iniziato una relazione e che porta in grembo suo figlio. Aiutato da due scimmie, Zira e Cornelius, Meròu riesce a tornare alla sua astronave e tornare sulla Terra, ma al suo arrivo scopre che sono passati 700 anni dalla sua partenza, e che il nostro mondo è ora governato dalle scimmie. Spaventato da questo incubo, riparte immediatamente e affida al vuoto del cosmo il resoconto delle proprie avventure, che viene raccolto da Phyllis e Jinn.
Il libro si chiude con i due turisti spaziali che ridono di questa fantasiosa storia, convinti che nessun uomo avrebbe mai potuto mostrare l’intelligenza di scrivere un racconto così profondo: Phyllis e Jinn, infine, si rivelano due scimmie.
L’idea de Il Pianeta delle Scimmie, per quanto avvincente, non pare essere originale. La storia di Boulle, infatti, nel suo concept ricorda Gorilla Sapiens (in originale Genus Homo), romanzo sci-fi del 1941 scritto da L. Sprague de Camp e P. Schuyler Miller, pubblicato originariamente dalla rivista Super Science Stories. In questo romanzo, si ipotizza che in seguito a un incidente, un gruppo di uomini rimanga in stato letargico per milioni di anni, al termine del quale si risvegliano in una Terra diversa, dominata da una razza di primati intelligenti.
In questa Terra futura, anche altri animali mostrano segni di intelligenza, ma sono i primati a dominare il pianeta, seppur divisi in fazioni. In Gorilla Sapiens, la narrazione, fedele ai dogmi della sci-fi del periodo, privilegia l’azione, raccontando di una guerra che contrappone i pacifici gorilla ai più ferini babbuini, che, grazie all’intervento umano, conduce alla vittoria della prima fazione.
Pur avendo una struttura narrativa meno complessa de Il Pianeta delle Scimmie, Gorilla Sapiens presenta molti dei tratti essenziali dell’opera di Boulle, ma soprattutto nel suo intreccio mostra alcuni delle caratteristiche più evidenti di quella che diventerà la vita cinematografica di questa peculiare ambientazione.
Il Pianeta delle Scimmie: l’inizio della saga
Quando Il Pianeta delle Scimmie arrivò nelle librerie, la sci-fi letteraria si stava lentamente imponendo come un genere narrativo moderno e ricco di suggestioni, capace di affrontare temi sociali importanti. Diverso era il concetto di fantascienza al cinema, dove si aveva ancora la percezione che si trattasse di una tipologia di storie adatte ai B-Movie, pellicole di seconda categoria realizzate con poco impegno e scarsi mezzi.
In questo periodo, emersero alcune personalità dello show biz intenzionate a imprimere un cambiamento a questa visione ingrata della fantascienza al cinema. Tra questi, il produttore Arthur Jacobs, che nel 1963 acquistò i diritti del romanzo di Boulle, convinto che fosse un’ottima storia per realizzare un grande film, nonostante il romanziere francese lo scoraggiasse in quanto considerava Il Pianeta delle Scimmie come il suo peggior lavoro.
Jacobs, convinto delle sue idee, dovette comunque scontrarsi con l’ambiente hollywoodiano, fortemente radicato nella sua idea che la fantascienza non meritasse troppa considerazione. Jacobs decise quindi di realizzare un breve corto di 5 minuti in cui veniva ritratto un dialogo tra alcuni personaggi umani e le scimmie, per convincere la Fox che vedere delle scimmie parlanti non sarebbe stato uno spettacolo ridicolo. Con un investimento di cinquemila dollari, Jacobs convinse Richard Zanuck, presidente della Fox, che decise di investire nel progetto con cinque milioni di dollari.
https://youtu.be/a9cufbVNjr8Per scrivere una prima sceneggiatura, venne ingaggiato Rod Serling, autore americano divenuto celebre in quel periodo per esser il creatore di una della più famose serie televisive sci-fi, Twilight Zone (Ai confini della realtà). Serling improntò la propria visione cercando di rimanere il più fedele possibile all’opera di Boulle, immaginando una società di scimmie tecnologicamente pari alla nostra, ma caratterizzata da un look più confacente alle caratteristiche dei primati. Peccato che queste idee non fossero conciliabili con il budget della produzione, che decise quindi di mostrare la società delle scimmie come una sorte di medioevo, cercando di riutilizzare set di altre produzioni.
La struttura narrativa di Serling perse quindi di carattere, e i vertici di Fox preferirono affidare ad altri la stesura di una nuova sceneggiatura. Il compito ricadde su Michael Wilson. Wilson aveva già familiarità con le opere di Boulle, avendo già lavorato all’adattamento de Il Ponte sul fiume Kwai, ma la sua carriera era stata inficiata dalle accuse di esser un comunista, condizione che lo aveva reso un bersaglio della persecuzione maccartista. Questo suo malessere trovò modo di emergere nella sua sceneggiatura de Il Pianeta delle Scimmie, dove l’humor introdotto per alcuni passaggi venne contrastato dalla visione oppressiva della società dei primati e dalla condizione di fuggiasco del protagonista.
Pur avendo eseguito un ottimo lavoro, i dialoghi dei personaggi non furono considerati all’altezza e vennero rielaborati, anche se non si seppe chi fu l’autore di questa revisione. Eppure, questo anonimo scrittore fu il creatore di battute divenute celebri nella storia del cinema, come quella dell’incredibile finale della pellicola.
Dello script originale di Serling, però, rimase la scena più iconica de Il Pianeta delle Scimmie. I produttori e il primo regista del film, Blake Edwards (poi sostituito da Franklin J. Schaeffer), non volevano presentare un finale che ricalcasse il plot twist con cui Boulle aveva chiuso il suo romanzo, ma cercavano un qualcosa di ancora più drammatico. Durante una pausa, a Jacobs venne l’intuizione di fare credere che tutto sempre avvenuto sulla Terra, e durante un pranzo con Edwards e Serling presentò la sua idea, proprio mentre erano in coda alla cassa. Il destino volle che dietro la cassiera fosse appeso un poster della Statua della Libertà, che ispirò il trio nel dare vita a una delle scene più note della storia del cinema, citata anche in chiave parodistica in film come Balle Spaziali.
Per realizzare questa scena, sempre per contenere i costi, si decise di mostrare solo una porzione di Miss Liberty. Venne quindi costruita una replica della parte superiore della statua, fatiscente e segnata dai secoli, ma di dimensioni contenute e utilizzata solo per alcune riprese.
Per l’ultima inquadratura, quella a campo lungo, Emil Kosa Jr. dipinse con la tecnica del matte painting una Statua della Libertà dalle giuste proporzioni sua una lastra di vetro, che venne poi sovrapposta alla pellicola. Tecnica incredibile che venne utilizzata anche in seguito per alcune riprese del primo capitolo di Star Wars.
Creare le scimmie
Era però necessario trovare un modo per rendere i primati credibili su schermo. In un’epoca in cui il trucco era ancora un’arte quasi artigianale, realizzare le protesi per dare credibilità a Zira, Cornelius e Zaius non era semplice, ma a Hollywood era attivo un make up artist che fece la storia del cinema: John Chambers.
Chambers, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, era divenuto famoso per aver realizzato protesi facciali per i veterani. Questa sua incredibile perizia lo portò a lavorare con il mondo del cinema, per cui creava prop e protesi, specialmente per le pellicole di fantascienza. Tra i tanti contributi di Chambers alla storia del cinema, basterebbe citare le orecchie a punta di Spock, il celebre personaggio di Star Trek, che il make up artist realizzò per dare al vulcaniano un tono oscuro e peculiare.
Per realizzare un trucco credibile per i primati de Il Pianeta delle Scimmie, Chambers fu quindi quasi una scelta obbligata, che venne abbondantemente ripagata, considerato come il look di Zira, Cornelius e delle altre scimmie ancora oggi è una delle caratteristiche più amate del film. Al punto che alla cerimonia degli Oscar del 1969 si decise di dare a Chambers un Oscar Onorario, visto che la categoria non era esistente. Per ritirare il premio, Chambers mandò l’amico Walter Matthau, che si presentò alla cerimonia accompagnato da un piccolo scimpanzè vestito con un elegante smoking.
https://youtu.be/7LCNNNGane4Pur con la perizia di Chambers, truccare gli attori per le riprese era uno sforzo titanico. Per il make up di ogni attore erano necessarie quasi sei ore, oltre a una troupe di truccatori e parrucchieri immane, che venne gestita in modo da egregio da Chambers, che dopo pochi giorni di tentativi riuscì a creare una vera e propria catena di montaggio del trucco, dimezzandone i tempi. Tuttavia, per avere in scena anche duecento scimmie per le scene più affollate, erano necessari decine di truccatori, uno sforzo che portò la produzione de Il Pianeta delle Scimmie a divenire una delle più odiate del periodo, in quanto aveva praticamente monopolizzato i make up artist, causando grandi ritardi per la realizzazione di altri film.
Curiosamente, il trucco ideato da Chambers era così perfetto che nascondeva completamente le fattezze degli attori, al punto che anche tra di loro non riuscivano a riconoscersi. Come conseguenza, sul set si vedevano gruppi di attori e figuranti che si aggregavano spontaneamente in base alla tipologia di primate, quasi che si stesse ricreando la divisione in caste alla base della società delle scimmie prevista nel film, sorprendendo i produttori in visita al set che chiedevano la spiegazione di questa stranezza a un altrettanto basito Charlton Heston, l’interprete del protagonista umano, George Taylor.
L’eredità de Il Pianeta delle Scimmie
Sembra incredibile, ma il 1968 fu un anno incredibile per la fantascienza. Nell’anno in cui Philip K. Dick dava alle stampe il suo Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, la base del futuro Blade Runner, il mondo del cinema aveva portato sul grande schermo due grandi storie di sci-fi letteraria, 2001: Odissea nello spazio, tratto dal romanzo di Arthur C. Clarke, e Il Pianeta delle Scimmie.
Il Pianeta delle Scimmie, in particolare, aveva una certa attinenza alla storia americana del periodo. L’entrata in scena di Wilson come sceneggiatore, infatti, aveva introdotto un elemento di forte caratterizzazione sociale, nata dall’esperienza personale dell’autore. Non dimentichiamo che non solo il maccartismo aveva ancora lasciato degli strascichi pesanti nel pensiero comune americano, ma gli States erano impegnati in Vietnam e la contrapposizione dei blocchi della Guerra Fredda si stava sempre più consolidando.
Inizialmente, Wilson aveva cercato di stemperare queste tensioni con un finale che fosse un atto di speranza per il futuro. In un primo momento si era pensato di fare uccidere Taylor da una scimmia al momento della scoperta della Statura della Libertà, lasciando che fosse Nova, incinta del figlio dell’astronauta, a rappresentare il futuro della razza umana. L’idea fu però scartata dai produttori, che non erano intenzionati a veder morire il protagonista, forse già preventivando la realizzazione del seguito, L’altra faccia del Pianeta delle Scimmie (Beneath the Planet of the Apes, 1970).
L’altra faccia del Pianeta delle Scimmie fu un seguito in cui il lato più oscuro della storia ebbe il sopravvento. Coinvolto direttamente Boulle, la prima sceneggiatura vedeva Taylor guidare una rivolta umana, ma Charlton Heston, poco interessato, accettò di comparire brevemente, a patto che il suo personaggio venisse eliminato definitivamente. Mort Abrahams e Paul Dehn diedero la forma finale alla storia, introducendo elementi come il pericolo dell’atomica e il concetto di scienza condotta oltre i limiti etici. Era previsto un messaggio di speranza, con una nuova razza ibrida tra umani e scimmie, di cui era stato realizzato un primo make up per introdurre il personaggio di un bambino frutto delle due specie, ma questo dettaglio venne omesso per evitare l’accusa di bestialità.
A questo film, fecero seguito Fuga dal Pianeta delle Scimmie (Escape From the Planet of the Apes,1971), 1999- Conquista della Terra (Conquest of The Planet of the Apes, 1972) e Anno 2670 – Ultimo Atto (Battle for The Planet of the Apes, 1973) il ruolo di spiegare come l’umanità perse il controllo del pianeta a favore delle scimmie. Nel finale de L’altra faccia del Pianeta delle Scimmie, Zira e Cornelius riuscirono a fuggire alla distruzione della Terra raggiungendo l’astronave di Taylor, ma l’esplosione atomica crea un’anomalia spaziale che li conduce alla Terra del 1973. Da qui prende vita una storia in cui le relazioni tra umani e scimmie si avviano verso un triste epilogo, complice un atteggiamento non esattamente nobile degli uomini verso i loro cugini primati.
Mentre si ampliava il contesto cinematografico della saga, comparve anche una serie TV di una sola stagione, liberamente ispirata alla pellicola del 1968, ma che non ebbe particolare successo. Dopo un remake fallimentare firmato da Tim Burton realizzato nel 2001, la saga è stata oggetto di un reboot a partire dal 2011, con L’alba del Pianeta delle Scimmie (Rise of The Planet of the Apes), che si è sviluppato in altre due pellicole, Apes Revolution – Il Pianeta delle Scimmie (Dawn of The Planet of The Apes, 2014) e The War – Il Pianeta delle Scimmie (War for The Planet of the Apes, 2017).
Il Pianeta delle Scimmie originale è stato parte integrante nella costruzione di un modo moderno di intendere la fantascienza cinematografica. Andando oltre i preconcetti del periodo, il film di Schaeffer riuscì cogliere elementi sociali importati e inserirli in una storia appassionante e coinvolgente, segnando profondamente l’immaginario collettivo e dando alla sci-fi cinematografica un nuovo prestigio, che negli anni seguenti avrebbe consentito a nuovi film di divenire dei cult.
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