Durante la cosiddetta epoca sperimentale Disney, o epoca post-rinascita, cominciata con quella perla cinematografica passata alla storia con il nome de Le follie dell’imperatore, troviamo anche un progetto nato solo due anni dopo dalla mente di Ron Clemens e John Musker, gli autori di Aladdin e Moana. Parliamo de Il pianeta del tesoro, una delle pellicole presenti ancora oggi sulla piattaforma Disney Plus e di cui andiamo a raccontarvi la storia del suo sviluppo.
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Un inizio turbato da Star Trek
Alla base dell’idea che nel 2002 vede sbocciare la storia di Jim Hawkins e il suo inseguimento al tesoro del capitano Nathaniel Flint, venne prodotto un primo pitch da Clements nel 1985, presentato durante la stessa sessione di incontro con i produttori nella quale aveva mostrato anche una prima idea per La Sirenetta. Michael Eisner però bocciò l’idea di Clements, sapendo che Paramount Pictures era impegnata sullo sviluppo di un sequel di Star Trek, cercando di imitare L’isola del tesoro, il romanzo di Robert Louis Stevenson pubblicato nel 1883.
L’angolo pensato per Star Trek non sarebbe stato particolarmente innovativo, perché il romanzo dell’autore inglese nel 1987 subì una riproposizione italiana in chiave moderna e fantascientifica, con una miniserie in cinque puntate prodotta dalla Rai e diretta da Antonio Margheriti, con Itaco Nardulli nei panni di Gimmi Hawkins e Anthony Quinn a dar vita a Long John Silver. Eisner voleva dunque evitare di realizzare un cartone animato che non fosse in grado di raccontare qualcosa di nuovo.
Niente paura, i tentativi non si sono fermati qui: Clemens e Musker ci riprovarono nel 1989, dopo la release de La Sirenetta, ma gli studios anche in questo caso furono refrattari. L’idea però era davvero valida e piaceva: spinti anche dal successo di Aladdin, tornarono alla carica anche con Jeffrey Katzenberg. Il risultato non cambiò nemmeno stavolta: Il Pianeta del Tesoro non piaceva alle altri menti del settore. Dobbiamo attendere l'intervento di Roy Disney per portare il vento in poppa alla produzione dell'adattamento animato.
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Il sogno tecnologico
Roy Disney obbligò le linee produttive a prendere in considerazione la proposta di Musker e Clements una volta terminato Hercules, dopo il 1995, anno in cui però lo stesso Katzenberg lasciò questa grande industria. Quanto accadde negli anni a seguire fu responsabilità di Musker e Clements, i quali desideravano poter effettuare delle riprese all'avanguardia a livello tecnologico, un po' come avrebbe fatto James Cameron in Avatar nel 2009. Quindi si attese che la tecnologia permettesse una lavorazione più tecnica di quella offerta a metà degli anni Novanta, aprendo le danze nel 2000, quando vennero incaricate circa 350 persone per questa produzione.
Clements voleva realizzare un film divertente, dinamico, in grado di offrire delle sequenze di azione, ma senza annullare completamente il romanticismo che avrebbero voluto dare all'intera storia. Il prologo del film originariamente avrebbe dovuto mostrare Jim Hawkins adulto e intento a raccontare la storia del capitano Flint. L’intero team di produzione cercò di far cambiare idea a Musker e Clements, spiegando loro che sarebbe stata eccessivamente cupa come vicenda, se raccontata come un grande flashback.
Proposero dunque di inserire una sequenza che avrebbe dovuto mostrare Jim al lavoro sul suo surf solare, interagendo con un bambino alieno. Questi, oltre a dare maggior sensibilità al personaggio, sarebbe stato anche un riferimento a Il giovane Holden di J. D. Salinger, ma la scena venne poi tagliata, nonostante fosse stata prodotta, per iniziare il film così come lo conosciamo adesso.
Prove ed errori
La più grande sfida per Il Pianeta del Tesoro fu quella di dover adattare un romanzo ottocentesco a una realtà così futuristica, che non apparteneva nemmeno all'epoca delle produzioni di quel tempo. Il compito toccò a Rob Edwards, giunto alla sua prima sceneggiatura dopo aver lavorato come producer per WaSanGo, film diretto da Gae-gyun Kim.
Diversamente dal Jim raccontato da Stevenson, intelligente e molto intraprendente, Clements propose di creare un personaggio molto più vicino allo spettatore, permettendo così al pubblico di empatizzare con le necessità del ragazzo. Nacque così un Jim non senza problemi, tra cui anche una grande incertezza sulla sua natura e sul suo futuro. Diversamente dai mentori Cavalier John Trelawney e dal Dottor David Livesey, Musker decise di inserire Dr. Doppler, un personaggio che doveva a tutti gli effetti rappresentare la linea comica del film.
Infine si andò a enfatizzare tantissimo il rapporto tra Jim e John Silver, cercando di raccontare un atipica relazione padre-figlio. La scrittura venne affidata a Terry Rossio, che con Musker e Clements aveva lavorato ad Aladdin e che, dopo Il Pianeta del Tesoro si ritrovò a firmare lo script anche dei cinque film del franchise con protagonista il più famoso dei pirati dei Caraibi, Jack Sparrow.
Prove ed errori
A lavori conclusi e guardandosi alle spalle, la scelta di raccontare un Jim adolescente non fu indovinata. Il romanzo raccontava di un mozzo che deve confrontarsi con una ciurma di pirati senza scrupoli, rendendo tutte le scene molto più drammatiche e spingendo quel ragazzino a diventare un uomo a tutti gli effetti. Un aspetto che ne Il Pianeta del Tesoro è stato completamente aggirato. La realizzazione globale dei personaggi e dei lavori è stata affidata a Glen Keane, che ammise di non aver voluto rifarsi ad alcun riferimento culturale, per poter slegarsi da qualsiasi potenziale stereotipo.
John Ripa, che guidò invece i lavori dedicati a Jim, ammise invece di aver usato James Dean come riferimento principale, per la postura e l’attitudine. Tutti gli animatori ebbero infine l’occasione di lavorare con il Deep Canvas, una tecnologia inizialmente sviluppata per Tarzan e che permise a Clements e Musker di avere una visione a 360 gradi sulla scena, combinando sia il disegno tradizionale che l’utilizzo della CGI. Per poter testare i movimenti di John Silver, lo staff riprese delle animazioni di Capitan Uncino in Peter Pan e andò a sostituire il suo uncino con il braccio da cyborg di Silver.
Ron Clements decise inoltre di realizzare il film per il 70% in tecnica tradizionale e il 30% in sci-fi, grazie alla tecnica CGI. Sedici animatori si occuparono di Jim Hawkins e dodici si occuparono di John Silver. Questa legge venne applicata anche al sonoro. Dane Davis affermò di essere andato alla ricerca di oggetti di antiquariato in vecchi negozi per poter riprodurre il rumore di ferraglia e di oggetti vecchi, così da poter riprodurre l’effetto del movimento di John Silver.
A firmare l’intera colonna sonora fu James Newton Howard, che cercò di unire un mix di stile classico moderno allo spirito di Star Wars. Il brano I’m Still Here (interpretata in italiano da Max Pezzali quando ancora era unito agli 883) si discostava dallo stile principale delle composizioni. La canzone era l’unica proposta pop all'interno di una colonna sonora molto orchestrale, rendendola così ancora più memorabile, in quanto pezzo unico e separato dal leitmotiv generale.
https://www.youtube.com/watch?v=flIyTtoY7OwL'uscita sul grande schermo e il flop
Il Pianeta del Tesoro arrivò al cinema il 17 novembre 2002, anticipato dall'uscita sugli schermi francesi il 6 novembre. Il film fu il primo prodotto di una major a esser stato pubblicato contemporaneamente sia nelle sale tradizionali che in quelle IMAX. Al suo debutto, il film totalizzò 12 milioni di incasso, posizionandosi al quarto posto in classifica dopo Harry Potter e la camera dei segreti, La morte può attendere e Che fine ha fatto Santa Claus 2.
L’incasso finale a livello internazionale fu di 109 milioni di dollari, ben lontano dal budget di 140 milioni, motivo per cui nel 2014 il Los Angeles Time lo ha inserito in una speciale classifica dei più costosi insuccessi dell'intera storia del cinema. A condannare Il Pianeta del Tesoro fu la caratterizzazione dello scenario, la forte volontà di adattare la storia classica a un contesto sci-fi. Lo stesso script risultò dozzinale, approssimativo ma, nonostante queste critiche, a gravare sul flop finale fu l’altissimo costo produttivo del film, che andò di molto oltre i precedenti.
Lilo & Stitch era costato quasi la metà ed era riuscito a incassare quasi il triplo, così come Le follie dell’imperatore era costato 100 milioni e ne aveva incassati 170. A dispetto di queste problematiche, il film venne comunque candidato agli Oscar nella categoria di Miglior film d’animazione, ma perse il confronto con La città incantata di Hayao Miyazaki.
Lo scarso risultato al botteghino spinse infine l’allora presidente delle produzioni animate, Thomas Schumacher, a cancellare la produzione di un sequel che il team stava già valutando, così come venne cancellata una serie televisiva che avrebbe dovuto ampliarne l’universo. Un prodotto nato sotto una stella poco luminosa dunque, in quanto Musker e Clements, già provati dall’insuccesso di Hercules nel 1997, si ritirarono dalle scene per circa 7 anni, per poi tornare a lavorare su La principessa e il ranocchio, un film di buon successo, ma mai alla stregua di Frozen 2, Toy Story 3 e altri blockbuster Disney.
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