Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare. Basta questa sempre facile per farci risuonare in testa la delicata musica di Nino Rota e rivedere un carismatico Marlon Brando che accoglie postulanti durante le nozze della figlia. Immagini che riportano all’interno di uno dei cult del cinema, Il Padrino, capolavoro di Francis Ford Coppola che nel 1972, ispirato dal romanzo omonimo di Mario Puzo, decise di portare sul grande schermo il ritratto di questa famiglia della malavita italo-americana.
Quando il 24 marzo del 1972 Il Padrino fece la sua comparsa nelle sale americane, difficilmente ci si sarebbe potuto aspettare che la storia della famiglia Corleone diventasse uno dei pilasti del cinema contemporaneo. Era anni di grande fermento a Hollywood, che stava assistendo a un cambio generazionale epocale, con quella che venne definito la New Hollywood, una rivoluzione estetica e narrativa che veniva animata da figure che avrebbero lasciato un segno nei decenni a venire. Coppola era parte di questo collettivo artistico ruggente, affiancato da nomi come Martin Scorse, Steven Spielberg e George Lucas, registi che proprio in quegli anni stavano realizzando opere come Lo Squalo, Star Wars o Apocalypse Now. Idealmente, Il Padrino rappresenta un trait d’union tra queste due diverse generazioni di intendere il cinema, appellandosi a un concept narrativo di taglio classico, come i gangster movie, ma declinandolo in una chiave più ricca e contemporanea.
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Dai ganster movie a Il Padrino
Una scelta coraggiosa, considerato che l’ambiente hollywoodiano, e la Paramount in particolare, si stavano ancora riprendendo dal fallimentare La Fratellanza (The Brotherhood), film del 1968 con Kirk Douglas in cui veniva racconto il mondo della mafia italo-americana. Una produzione impegnata, ma che venne viziata da una presenza di luoghi comuni e scene forzatamente drammatiche che non venne apprezzata dal pubblico. Tanto che in Paramount venne posto il veto a qualunque progetto dello stesso tenore, anche se non si puà negare come la trama de La Fratellanza, l’introduzione di elementi della malavita italo-americana e la sua abbozzata caratterizzazione stilistica siano stati fondanti per la successiva opera di Coppola.
Ci fu un’altra conseguenza sgradita de La Fratellanza: la ricezione da parte di alcuni ambienti della comunità italo-americana, specie quelli meno legalmente trasparenti. Sin dall’uscita nel 1969 del romanzo Il Padrino (The Godfather) di Mario Puzo, scrittore americano di origini italiane, si era cominciato a porre l’attenzione della società sul meccanismo della malavita italo-americana, tanto che fu grazie all’incredibile successo del romanzo che nella cultura statunitense fecero la loro apparizione termini italiani come consigliere, omertà e soprattutto Cosa Nostra. La verosimiglianza alle dinamiche mafiose raccontate da Puzo è frutto di un’ispirazione reale dello scrittore, che aveva utilizzato la figura del malavitoso newyorkese Crazy Joe Gallo per dare l’imprinting alla famiglia Corleone, tramutando alcune delle voci che giravano attorno al mafioso della Grande Mela per costruire una tradizione di famiglia, che si basava anche sulla comparsa di modi di dire legati a eventi della vita di Gallo. La pubblicazione de Il Padrino fu come un’uscita dall’ombra che non fu particolarmente gradito agli ambienti malavitosi, che quando scoprirono che la Paramount stava per avviare la lavorazione della trasposizione cinematografica del romanzo di Puzo decisero di impedirne la realizzazione.
A guidare questa opposizione fu il boss Joe Colombo, che tramite la sua associazione Lega per i diritti civili degli italo-americani, avviò una campagna pubblica di sensibilizzazione sulla cattiva immagine che questi film gettavano sugli italo-americani. In modo meno trasparente, Colombo arrivò anche a minacciare membri della Paramount, come il produttore Bob Evans, che dovettero anche affrontare una serie di sollecitazioni da parte di ambienti politici vicini alla comunità italo-americana, preoccupati di come Il Padrino potesse presentare questa consistente parte dell’elettorato.
La soluzione venne trovato, in privato, tra il boss Colombo e il produttore Al Ruddy, che promise al mafioso di evitare nel film termini come ‘mafia’ e ‘Cosa Nostra’, oltre a concedere il diritto di lettura della sceneggiatura e proporre eventuali cambiamenti. Soddisfatti dell’accordo, Colombo e sodali sospesero la loro campagna contro la Paramount, ma come questo accordo venne svelato dalla stampa, Ruddy venne licenziato da Charlie Bludhorn, proprietario di Paramount Pictures, che considerò questo patto un’offesa alla onorabilità dell’azienda. Fu solo con l’intervento di Evans che Ruddy venne riassunto. Ma a quel punto, Il Padrino era divenuto un progetto su cui tutti stavano puntando lo sguardo.
Dal romanzo al cult
Il romanzo di Puzo era destinato ad arrivare il cinema. Già durante la prima stesura de Il Padrino, la Paramount aveva ricevuto notizia nel 1968 di questo romanzo in lavorazione, all’epoca ancora intitolato Mafia, e aveva opzionato questo manoscritto di sessanta pagine, pagando in anticipo Puzo affinchè lo terminasse per poi realizzarne un film, comprendendo come non fosse una semplice storia di gangster ma avesse un piglio più realistico. Quando nel 1969 uscì il romanzo di Puzo, la Paramount, cavalcando l’incredibile successo editoriale de Il Padrino, non tardò ad annunciarne la trasposizione.
Nonostante oggi Il Padrino sia considerato uno di capolavori di Coppola, all’epoca il regista fu l’ultima scelta della Paramount. La major, dopo avere valutato diversi registi americani, pensarono che un tocco italiano avrebbe potuto valorizzare al meglio la trama del film, motivo che spinse Paramount a rivolgersi a Sergio Leone, che rifiutò per potere realizzare il suo C’era una volta in America. Un ostacolo che aprì la strada a Coppola, tanto che la major, che aveva apprezzato alcuni suoi precedenti lavori, decise di affidarsi proprio a lui per realizzare la trasposizione de Il Padrino, inizialmente pensato per esser un gangster movie tradizionale ambientato a Kansas City negli anni’70, scelta che snaturava l’opera originale di Puzo.
Decisione che Coppola decise subito di vanificare, ribadendo come la sua produzione sarebbe rimasta il più fedele possibile al romanzo originario, mostrando quindi la famiglia Corleone nel secondo dopoguerra, a New Yok. L’idea di Coppola era quella di andare oltre la classica definizione del film di ganster, dando alla violenza tipica del genere, cogliendo aspetti più ignoti e intimi del mondo malavitoso. Una scelta radicale, che portò alla definizione dei tratti essenziali de Il Padrino, rendendolo subito avulso dalla tradizione dei ganster movie.
La tradizione vedeva la violenza come l’elemento principale della narrazione, mentre a scarseggiare era la caratterizzazione dell’ambiente criminale. Affidandosi alla narrazione di Puzo, Coppola mirava a una descrizione più complessa, umana se vogliamo, in cui a esser posti al centro dell’attenzione dello spettatore erano le personalità che albergavano dietro quelli che in precedenza erano i criminali stereotipati dei gangster movie. Se paragonato ad opere precedenti, Il Padrino manca della reiterata violenza tipica del genere, condensando con ancora più pathos l’elemento di ferocia della malavita in alcune scene epocali, dalla celebre testa di cavallo nel letto all’assassino di Sonny Corleone al casello autostradale. Il merito principale di Coppola, che lavorò su una sceneggiatura scritta a quattro mani proprio con Mario Puzo,
Ancora oggi, a cinquant’anni dall’uscita, il tratto più evidente de Il Padrino rimane la volontà di raccontare quel miscuglio di segreti e liturgie che animano la vita segreta della malavita. Abituati ai feroci gangster, i Corleone sono una vera rivoluzione. Un merito raggiunto grazie alla profonda caratterizzazione dei personaggi, resi magnificamente da un cast che vantava Marlon Brando nel ruolo del boss Vito Corleone, affiancato da Al Pacino (Michael Corleone) e James Caan (Sonny Corleone), con un indimenticabile Robert Duvall nei panni del consigliere Tom Hagen. Ogni aspetto della vita di questa famiglia, pubblico o privato, era stato definito nei minimi dettagli, l’intenzione era spingersi oltre la macchietta e mostrare un lato diverso, feroce ma al contempo intimo, dove l’efferatezza delle sparatorie lasciava spazio ad attimi privati, di dolcezza quasi graffiante.
Coppola era consapevole di come fosse necessario avere attori di talento per questa storia, motivo per cui lottò a lungo con Paramount pur di avere Marlon Brando come Vito Corleone. La fama di attore irascibile e poco gestibile di Brando spingeva la major a opporsi alla sua assunzione, ma a ribaltare questo diktat fu l’incredibile provino svolto dall’attore, che dissipò ogni dubbio. Una scelta felice, considerato che anche sul set Brando sembrò lontano dalla sua nomea di intrattabile star, dando vita a uno spirito conviviale e rilassato che portò la troupe a divertirsi spesso in gare di scherzi, culminata con la trovata di Brando di indossare dei pesi per la scena cin cui veniva trasportato sulle scale. Una vena di goliardia che diede vita a momenti esilaranti, come l’intuizione di Caan e Duvall di improvvisare comparsate sul set a natiche scoperte, dando vita a una sorta di competizione che ben presto tutti gli attori.
Non solo scherzi ma anche grande talento, che consentì di valorizzare la forte impronta emotiva della vicenda raccontata da Coppola, che sfruttò al meglio ogni possibilità offerta dal suo cast. Che si trattasse della leggendaria bravura di Brando o della più fumantina grinta di Caan, perfetto per dare vita al focoso Sonny, creando delle contrapposizioni umorali che vedevano nel più composto Michael di Al Pacino o nel fragile e tormentato Fredo dello sfortunato John Cazale dei contrappunti emotivi che acuivano le tensioni della trama. L’occhio e la sensibilità di Coppola erano in grado di cogliere il meglio di questi attori, riuscendo persino a sfruttare al meglio la sincera emozione di Lenny Montana, wrestler prestato al cinema per la sua fisicità, che nell’interpretare l’imbarazzato Luca Brasi che si felicita con don Vito Corleone balbetta non per scelta autoriale, ma perché l’attore era profondamente emozionato nel trovarsi davanti a Marlon Brando. La storia del cinema è fatta anche di questi momenti, di spontaneità valorizzate e portate con sincerità allo spettatore.
Curiosamente in un film in cui il concetto di famiglia è centrale, Coppola ha utilizzato realmente la sua famiglia. Gran parte della famiglia Corleone è interpretata da parenti del regista, dalla sorella Talia Rose Coppola (nota come Talia Shire, la Adriana di Rocky) ai propri genitori, che interpretano i vecchi Corleone. Una soddisfazione per Coppola, che ebbe il sostegno della famiglia durante una delle sue produzioni più importanti, specie per il rapporto abbastanza conflittuale con la Paramount, che spinse Coppola spesso al limite.
Ad aver reso un cult Il Padrino sono stati anche due particolari aspetti della pellicola: fotografia e colonna sonora.
A Gordon Willis si deve l’intuizione di avere realizzato una fotografia che specie negli ambienti più domestici, capace di creare una sinergia tra visione ed emotività dei personaggi. Esempio classico è la scena dello sposalizio a inizio pellicola, dove don Vito Corleone riceve i suoi ospiti in un ufficio privato in penombra, con una luce dai toni caldi che si accompagna alla sua aura di potere, resa al meglio anche dalla postura e dalla mimica di Brando. La perizia di Willis era maniacale, accompagnato da un carattere arcigno che lo portava spesso in contrasto con gli attori e Coppola.
Non meno complessa fu la realizzazione della colonna sonora. Coppola affidò il compito al compositore italiano Nino Rota, che utilizzò alcuni movimenti di sue precedenti composizioni per trasmettere al film ulteriore spirito italiano, come richiesto da Coppola. I vertici Paramount inizialmente non apprezzarono il timbro della colonna sonora, ritenendolo troppo sofisticato, ma Coppola difese l’operato di Rota, sostenendo che era invece l’esatto accompagnamento musicale per la sua visione.
L’eredità de Il Padrino
Il Padrino cambiò in modo sostanziale il modo di raccontare la malavita al cinema. Da figure quasi caricaturali e legate a stereotipi, i malavitosi di Coppola si trasformano in figure più complesse, guidate da una dimensione personale e intima che viene ben realizzata, curando ogni aspetto di questi uomini, compreso il linguaggio. Dopo aver assistito per anni a una vulgata scurrile per acuire il senso di pericolosità di questi personaggi, con Il Padrino viene cambiato completamente registro, con lunghi dialoghi in cui raramente compaiono volgarità, le cui rade apparizioni sono legate principalmente alla loro origine italiana, con termini nostrani inseriti con intelligenza nei discorsi, oppure inserendo delle battute divenute storiche, come la celebre ‘A’ pistola lasciala….pigliamo i cannoli’ pronunciata da Clemenza (John Castellano).
Questa nuova figura del mafioso non cambiò solamente la percezione del pubblico, ma ebbe una diretta influenza anche sugli stessi boss italo-americani. A testimoniarlo fu uno degli esponenti della famiglia Gambino, Salvatore ‘Sammy the Bull’ Gravano, che durante un’intervista affermò:
“Sono stato stupito dal film, insomma, come sono uscito dal cinema mi sono sentito stupefatto. Probabilmente per molti tutto questo è finzione, ma per me si tratta della nostra vita. Ho sentito molti ragazzi, e tutti loro si sono sentiti allo stesso modo”
Con il suo film, Coppola non riscrisse solamente il modo di raccontare la criminalità mafiosa al cinema, ma ha segnato un percorso narrativo in cui si sono in seguito inserite altre celebri produzioni, anche nel mondo seriale come I Soprano. La commistione tra potere mafioso e la società americana raccontata in modo così aperto e colorito ha segnato il modo di fare cinema.