Il fumetto di oggi è roba da nerd?

Una riflessione sull'evoluzione del fumetto negli anni offerta da una delle voci di Avamposto 31: Andrea Artusi, disegnatore e sceneggiatore Bonelli

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a cura di Avamposto 31

È passato esattamente un anno da quando da una semplice chiacchierata al bar del campus con il direttore di Cube Radio, la web radio dello IUSVE l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia, prendeva vita l’idea di una rubrica radiofonica sul fumetto e sulla cultura pop. Quello che all’inizio sembrava poco più di un ‘divertissement’ è diventato un contenuto che è cresciuto settimana dopo settimana, dandomi l’occasione di incontrare, anche se virtualmente nella stragrande maggioranza dei casi, decine di autori, professionisti, studiosi oltre a raccogliere intorno a questo progetto un piccolo ma agguerritissimo manipolo di amici redattori con i quali la trasmissione viene creata puntata dopo puntata.

Un osservatorio prezioso sopratutto per la varietà degli ospiti che abbiamo intervistato e che mi spinge a una riflessione su come e quanto il mestiere di fare fumetto sia cambiato nell’arco di un tempo tutto sommato breve. Sono state tante e tali infatti le trasformazioni che hanno interessato non tanto il media in sé, quanto il mondo in cui si è evoluto nell’arco dei due ventenni che hanno preceduto e seguito l’avvento del nuovo millennio, che ad ascoltare l’esperienza di persone che fanno parte dello stesso ambito professionale ma sono provenienti da periodi diversi sembra di parlare di argomenti che non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro. Come si è trasformato quindi il lavoro del fumettista, o meglio del ‘fumettaro’ come amava definirlo Hugo Pratt?

Come è cambiata la percezione del fumetto negli ultimi anni?

Parlare di strisce disegnate come ascensore sociale può sembrare strano, ma la verità è che almeno fino a tutti gli anni ‘80 e ‘90 dello scorso secolo un’arte ‘povera’ come il fumetto, nel senso che non imponeva l’uso di strumenti costosi per essere realizzata, permetteva anche a chi veniva da categorie sociali non particolarmente agiate di misurarsi e trovare spazio nel mondo dell’editoria ‘che contava’. Contava in senso economico, perché i fumetti in edicola si vendevano in centinaia di migliaia di copie, ma contava anche in senso culturale perché anche se bistrattata dalla cultura ufficiale, quando non addirittura avversata o osteggiata apertamente, la letteratura disegnata e in particolare quella seriale era davvero popolare.

Fare fumetti era, in definitiva, un mestiere. Un mestiere vero, profondamente artigianale nel suo svolgersi e misterioso nella sua tendenza a conservare gelosamente i segreti legati a una tecnica piuttosto che a un’altra. Gli autori si confrontavano e chiedevano consiglio su carte, matite, pennelli, colori quasi fossero elementi alchemici in grado di dare vita a quelle magie che erano il vero dietro alle quinte di uno spettacolo disegnato che una volta stampato nascondeva abilmente i suoi segreti. Andare alle mostre era sopratutto l’occasione per vedere gli originali, scrutarli da vicino fino quasi a sezionarli, per ‘rubare’ ai grandi quei trucchi che sembravano essere in grado di trasformare un autore in una star.

La materia contava, sia nel senso materico di disegnare qualcosa su un foglio di carta che andava fisicamente consegnato a una Casa editrice la quale lo prendeva in consegna, spesso nemmeno lo restituiva, lo modificava, lo lavorava e lo utilizzava per stampare altra materia in forma di migliaia di albi dei più svariati formati che passavano di mano in mano, di lettore in lettore. L’abilità dell’autore era la discriminante attraverso la quale il professionista, volente o nolente, doveva passare sia che si trattasse di contenuti editoriali seriali che uscite singole. Si spendevano parole per descrivere di un disegnatore le sue capacità di campitura, quasi a dare una misura della sua prestazione neanche fosse un atleta.

E poi? Cos’è cambiato? È successo quello che è accaduto in molti altri settori. Il fumetto si è progressivamente smaterializzato, si è dissolto in un’altra forma che non ha quasi più, appunto, sostanza concreta. Nonostante le tecnologie digitali abbiano faticato molto a venire accettate in questo settore esse hanno progressivamente prima pervaso gli aspetti realizzativi della nona arte e poi, mano a mano, ne hanno eroso la sostanza amplificandone enormemente la capacità di diffusione ma al contempo uccidendo quella filiera produttiva che permetteva al meccanismo di sostenersi e sostenere chi ne faceva parte. Per dirla con le parole, spesso odiose, del marketing a un ‘modello di business’ non se n’è sostituito un altro di altrettanto efficace.

Il prologo di questa trasformazione sono stati gli anni ‘80 e a rivederli oggi vien da chiedersi perché allora non si sia stati in grado di cogliere quei segnali. L’avvento della televisione commerciale, che in quel periodo si stava affacciando aggressivamente sul mercato offendo gratuitamente contenuti a cartoni animati di notevole qualità per l’epoca, dà una prima violenta spallata al settore spazzando via tutta una tradizione sopratutto di riviste per ragazzi che erano state una delle spine dorsali dell’editoria italiana a fumetti. La parola ‘crisi’ si affaccia nei dibattiti delle tavole rotonde, molti autori sono costretti a cercare lavoro all’estero mentre anche i grandi editori vacillano quando non crollano fragorosamente.

Quando le cassandre del settore già decretano la fine del genere ecco, almeno per quanto riguarda l’Italia, il miracolo nella forma di un anomalo investigatore vestito con dei jeans, una camicia rossa e una giacca nera, che con accanto un improbabile aiutante che prende in prestito il volto di un comico del cinema americano in bianco e nero spiazza tutto e tutti e diventa, di nuovo, un protagonista della cultura popolare soprattutto giovanile. Una favola inebriante, resa ancora più magica dalla misteriosa figura che si staglia dietro la sua creazione e che quanto più si sottrae alla curiosità del pubblico tanto più alimenta il mito del personaggio a cui ha dato vita. Un sogno che tutti, all’epoca, facemmo nostro pensando fosse ‘il’ nostro.

Fare fumetto oggi

Non era realmente così. Quell’enorme spinta di certo fu quella che determinò l’evoluzione di un mondo che prima non aveva coscienza di sè, perché era talmente trasversale da essere impossibile da identificare, in una nuova categoria sociale. Stavano nascendo i cosiddetti NERD che di lì a poco sarebbero diventati il pubblico di riferimento di un genere, il fumetto, che stava scivolando da una cosa per tutti a una cosa per pochi. Per eletti, per conoscitori, per amatori. Facendolo nostro, forse con il senno di poi possiamo dirlo, lo stavamo soffocando. O forse invece l’abbiamo salvato. Chi lo sa? Tutto ciò non accadeva centinaia di anni fa, ma solo decine. E i tanti ospiti di Avamposto 31 ci hanno ricordato quanto in fretta è accaduto tutto ciò.

Oggi, a differenza di quel periodo, chi fa fumetto non deve mettere semplicemente in campo la propria abilità, evolverla e farla maturare per raggiungere uno standard che lo renda, lui stesso come si veniva apostrofati, ‘pubblicabile’. Oggi chi fa fumetto deve prima di tutto esprimere la propria personalità, essere il personaggio e sperare di avere il tempo perché questo venga notato, apprezzato, amato e quindi abbia ottenuto una riconoscibilità tale da rendere, anche in termini economici, la sua vita possibile. Quella di chi l’ha creato e di lui stesso come riflesso del suo creatore. Per questo, a mio modesto parere, il fumetto parcellizzato in milioni di byte prima ancora di poter diventare un volume sullo scaffale di una libreria è diventato... roba da ricchi.

ANDREA ARTUSI è disegnatore e sceneggiatore per la Sergio Bonelli Editore, dopo aver debuttato giovanissimo sulle pagine dell’editoria per ragazzi cattolica. È stato direttore creativo del dipartimento Comics & Illustration di Fabrica, il Centro Ricerche sulla Comunicazione del Benetton Group, Illustratore e insegnante. Conduce tutte le settimane per IUSVE Cube Radio la rubrica radiofonica Avamposto 31 sul fumetto le cultura pop.

Avamposto 31 è la rubrica quotidiana sul fumetto e la cultura pop di IUSVE Cube Radio, la webradio dell'Istituto Universitario Salesiano di Venezia. E' condotta in studio da Andrea Artusi, autore bonelliano e docente dello IUSVE. Oltre alle decine di ospiti che ogni settimana intervengono in trasmissione sono collaboratori fissi del programma Manuel Enrico di Tom's Hardware per la sezione dedicata al web, Diego Cajelli per i commenti sulle serie televisive, Andrea Voglino per le recensioni del fumetto della settimana, Loris Cantarelli direttore di Fumo di China per il cinema e Andrea Antonazzo di Fumettologica che propone ogni mese la Top 5 dei migliori comics apparsi sul mercato. Un team estremamente affiatato e qualificato diretto in studio da Elias Manzon sotto la supervisione del direttore della radio Marco Sanavio. Le clip prodotte tutte le settimane sono proposte quotidianamente sulla pagina Facebook della webradio e ritrasmesse in versione abbreviata su svariate radio private locali e tre volte al giorno in coda ai telegiornali di TV Café 24 sul canale 666 del digitale terrestre.

Se volete approfondire le dinamiche dietro la creazione di un fumetto, vi consigliamo la lettura del bel volume di Scott McCloud, Capire, fare e reinventare il fumetto
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