Il Fiuto di Sherlock Holmes: RAI e Miyazaki sulle tracce del grande detective

Il Fiuto di Sherlock Holmes: quando Rai e Hayao Miyazaki portarono il mondo al 221b di Baker Street.

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a cura di Manuel Enrico

Porca mènta. Se avete appena letto queste due parole con spiccato accento piemontese, immaginando un losco figuro elegantemente vestito di bianco, significa due cose: avete avuto un’infanzia impreziosita da una delle migliori serie animate dei primi anni ’80. L’esclamazione riportata, infatti, appartiene al professor Moriarty, nemesi del più celebre investigatore privato della storia, ma nella sua declinazione canina, realizzata da un tal Hayao Miyazaki all’interno di una serie animata cult: Il fiuto di Sherlock Holmes. Un capolavoro di animazione seriale che esordì il 6 novembre 1984 sulle reti RAI, dimostrazione di come l’emittente nazionale avesse compreso l’importanza dell’animazione nipponica. Ma al contempo, prova di come questa consapevolezza venne sfruttata malamente.

Come è possibile, dunque, che ancora oggi Il fiuto di Sherlock Holmes sia ricordato da una generazione di appassionati? Semplicemente perché come ogni opera del maestro Miyazaki la sua realizzazione fu un esempio di racconto animato, grazie a una costruzione urbana avvincente e un’animazione ricca di sfumature. Per lo spettatore, anche se in giovane età, quello spettacolo visivo era più che sufficiente per appassionarsi a quello che, non a caso, nella sigla scritta da Giampaolo Zavallone veniva presentato come un amico anche per te.

Il Fiuto di Sherlock Holmes e l'invasione dell'animazione giapponese

La genesi de Il fiuto di Sherlock Holmes ci riporta all’epoca di esplosione dell’animazione nipponica in Italia. Sul finire degli anni ’70, infatti, le emittenti nostrane iniziarono a trasmettere prodotti animati giapponesi, dai celebri robottoni a racconti di diversa natura, come Conan, il ragazzo del futuro. Tratto distintivo di queste storie era un diverso approccio al dialogo con il giovane spettatore, cui venivano offerti nuovi spunti narrativi, trattati con una visione che creava una coscienza critica nel fruitore. Una caratteristica che si può ravvedere in serie animate come Heidi, dove affidandosi al romanzo di Johanna Spyri datato 1880, si offre una narrazione decisa e ‘adulta’.

Il successo di questi cartoni animati fu una rivelazione per il mercato nostrano, tanto che ai vertici RAI venne subito in mente di capitalizzare questa rivoluzione artistica del comparto dell’animazione. Nel 1981, in via Mazzini si pensa che l’ideale sarebbe unire due studi, uno italiano e uno giapponese, per realizzare una produzione congiunta, che sappia sfruttare il nuovo stile nipponico che tanto garba ai giovani spettatori e la tradizione narrativa nostrana. Esperienza che in Europa aveva già dei precedenti, considerato che in Germania si era avviata un'operazione simile che aveva dato i natali a due serie animate divenute estremamente popolari, Ape Maia e Heidi. Motivo per cui la RAI si appoggia in patria allo studio Rever dei fratelli Marco e Gina Pagot, figlie di Nino Pagot, che in collaborazione con il fratello Toni aveva deliziato i bambini del decennio precedente con due capitoli storici dell’animazione italiana: Calimero e Grisù, il draghetto che voleva esser pompiere. È proprio Marco Pagot a raccontare la genesi de Il Fiuto di Shelock Holmes nel volume  di Elettra Dafne Infante, Vita da Cartoni:

Nel 1978, l'allora dirigente di Raiuno Luciano Scaffa, decide che per portare nuove idee italiane in giro per il mondo, l'unico modo è di creare delle coproduzioni con il mercato più potente del momento, che era il mercato giapponese. Sceglie quindi una serie di progetti italiani e li porta in Giappone. Fra questi vi è un progetto da me preparato, che si chiama 'Il fiuto di Sherlock Holmes', che riscuote un certo interesse. La compagnia giapponese, Tokyo Movie Shinsha [TMS] decide che quello sarà il progetto su cui è pronta a investire e decide quale sarà il regista per la parte giapponese, che dovrà collaborare con me alla creazione di questo progetto. Il regista è Hayao Miyazaki. 

Per il Sol levante, infatti si identifica la Tokio Movie Shinsha, meglio nota come TMS, studio d’animazione che si è lanciata sul mercato internazionale, dove si è fatta notare con un altro cartone animata divenuto un cult, L’ispettore Gadget.

La TMS vide nel giovane Hayao Miyazaki la persona giusta per dare vita a Il fiuto di Sherlock Holmes. Reduce dallo scarso successo del suo film animato d’esordio, Lupin III – Il Castello di Cagliostro, Miyazaki accetta il ruolo di insegnante di animazione della TMS, a cui presta occasionalmente la sua opera come animatore con lo pseudonimo di Tereki Tsutomi. Nel 1981 venne scelto proprio lui per dare vita al design di questo mondo antropomorfo, un primo aspetto che non parve essere di gradimento per Miyazaki. Il Maestro non era infatti per nulla convinto della scelta, che provò a vanificare in ogni modo, salvo poi arrendersi alle richieste provenienti dall’Italia, considerato che in RAI vedevano in questa potenzialità un punto di forza, memori del successo di simili produzioni, come Il giro del mondo di Willy Fog, dove il celebre personaggio di Jules Verne aveva fattezze leonine. La fermezza della RAI si impose infine sulla reticenza di Miyazaki, che avrebbe voluto almeno un personaggio umana, da lui identificato nella governante, Miss Hudson, che nelle sue idee avrebbe dovuto esser anche la vera protagonista.

La realizzazione dei primi due episodi fu caratterizzata da questi contrasti, che videro Marco Pagot fare da paciere. Alla fine, Miyazaki realizzò i primi episodi con la sua solita cura e il suo indubbio talento per l’anno seguente, il 1982, ma mentre si appresta a realizzare i successivi due capitoli delle avventure del detective very well arriva lo stop ai lavori, imposto da una causa degli eredi di Conan Doyle. Oltre a questo dettaglio legale, in RAI ci si accorge anche di come i costi di produzione di questa serie animata siano piuttosto ingenti, motivo che porta a rivedere l’impegno dell’azienda. Per Il Fiuto di Sherlock Holmes sembra calare il sipario, ma arriva in soccorso un alleato inatteso: Nausicaa nella valle del vento.

La seconda occasione per Il Fiuto di Sherlock Holmes

Quando Miyazaki si prepara a lanciarsi nel mondo dell’animazione del grande schermo, esistono solo due episodi realizzati de Il Fiuto di Sherlock Holmes. La TMS decide di rimettere mano a questi due capitoli e di proporli agli spettatori di Nausicaa nella valle del vento, prima della proiezione del film. Il successo del film di Miyazaki spinge il maestro ad abbandonare la produzione seriale per dedicarsi ai lungometraggi, ma la TMS non demorde e dopo aver trovato sponsor che la sostengono si lancia nella produzione degli altri 20 episodi previsti della serie.

Il Fiuto di Sherlock Holmes viene quindi presentato sia in Giappone (Meitantei Hōmuzu) che in Italia, e si valuta anche una sua diffusione internazionale con il titolo di Sherlock Hound, in modo da giocare tra il senso di segugio (hound) e l’aspetto canino dei personaggi. Se in terra nipponica la serie riscuote successo, meno proficuo è il passaggio sulle reti RAI a partire dal 6 novembre 1984, a causa di una scelta scellerata di spezzare gli episodi in corti da cinque minuti l’uno, pensati per coprire la programmazione di una settimana. Come se non bastasse, la RAI, compreso il talento di Miyazaki, decide nello stesso anno di doppiare senza autorizzazione proprio Nausicaa nella valle del vento, suscitando l’ira di Miyazaki, che imporrà che nessun suo film venga tradotto e presentato sul mercato italiano. Scelta mantenuta sino a quando la Disney non compra i diritti per il mercato estero dello Studio Ghibli, la casa di produzione di Miyazaki, al momento dell’uscita de La principessa Mononoke, mossa fatta per evitare una pericolosa sovrapposizione con un film della casa di Topolino in uscita nello stesso periodo, Pocahontas. Se quindi in Italia abbiamo potuto godere l’arte di Miyazaki si deve fare un inchino alla Disney.

Come ha fatto però Il Fiuto di Sherlock Holmes a diventare un cult, nonostante tutte queste avversità? Merito sicuramente dell’arte di Miyazaki, che ha saputo infondere al concept di questa serie sia la sua ben nota, maniacale cura dei dettagli, che inserire tutte le tematiche di fondo a lui care, dalla passione per i velivoli alla critica all’ordine costituito. Ma non va nemmeno trascurato lo splendido lavoro fatte dalla maestranze nostrane che hanno saputo, in fase di doppiaggio, infondere a Il Fiuto di Sherlock Holmes una personalità unica, nonostante la RAI abbia pesantemente lavorato di cesoia nel censurare e modificare radicalmente alcune scene, non accettando alcune idee provenienti dal Giappone. Esempio classico, è la trasformazione del siparietto del suicidio per disperazione di Lestrade che intende gettarsi dal Big Ben dopo l’ennesimo sberleffo di Moriarty, trasformato in un incauto scivolone, dove invoca l’aiuto dei suoi uomini.

Aspetto profondamente radicato nell’adattamento delle produzioni nipponiche nel nostro paese, quello della censura, ma che in Il Fiuto di Sherlock Holmes viene mitigato grazie all’incredibile genialità di figure come Mauro Bosco, che conferisce al suo Moriarty un accento piemontese indimenticabile, sfruttato al meglio nel caratterizzare la storica nemesi del detective di Baker Street con una serie di vezzi gergali e persino motivetti canticchiati, al punto che va tributato al doppiatore di avere dato al suo Moriarty una caratura comica inarrivabile. Non da meno sono stati gli altri doppiatori del cartone animato, che hanno colto sfumature dell’aplomb british per i loro personaggi, ma la caratterizzazione gergale di Moriarty, fatta di espressioni buffe (zitto, San Tommaso da quattro gallette) e quell’indimenticabile porca mènta restano uno dei tributi alla nostra tradizione del doppiaggio. Come l'ottimo lavoro di Enzo Consoli, voce di Lestrade, ma che nel mondo del doppiaggio viene ricordato anche per esser stato Leonard Bones McCoy in Star Trek, Koichi Zenigata nella terza serie di Lupin e il capitano Deis nella prima edizone de Conan il ragazzo del futuro, e di Elio Pandolfi, interprete vocale del detective di Arthur Conan Doyle in questa versione canina.

L'eredità de Il Fiuto di Sherlock Holmes

Il Fiuto di Sherlock Holmes, nonostante la pessima gestione della RAI, divenne comunque un prodotto particolarmente apprezzato anche in Italia. A dimostrazione di questo apprezzamento del pubblico italiano, venne anche realizzata una versione a fumetti su Il Giornalino, che dal 1984 al 1988 propone avventure scritte da Toni Pagot e disegnata da nomi celebri, come Carlo Perogatt Peroni. Contrariamente alla serie animata, il carattere di Holmes viene avvicinato maggiormente all’originale cartaceo, spesso altezzoso e superbo, e il divertente Moriarty assume un tono più perfido e maligno.

Ma anche Hayao Miyazaki, per quanto deluso dal comportamento della RAI nella realizzazione di Il Fiuto di Sherlock Holmes, ha un debito di riconoscenza verso questa produzione. È grazie a questa collaborazione italo-giapponese infatti che conosce Marco Pagot, con cui instaura un’amicizia che permane anche dopo la lavorazione de Il Fiuto di Sherlock Holmes e che tornerà utile a Miyazaki quando, anni dopo, realizzerà Porco Rosso. È Pagot, infatti, a inviare al maestro giapponese materiale sulla Milano degli anni del fascismo, con centinai di reference sulle location italiane e della costa slava viste nel film, un contributo essenziale che Miayazaki omaggio battezzando il suo protagonista con il nome dell’amico italiano, Marco Pagot. Omaggio inizialmente frainteso da Pagot, che solo dopo aver visto Porco Rosso apprezza il gesto.

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