Guerra nucleare e storie che valgono la pena

La guerra nucleare e la minaccia ci ha portati a creare moltissime storie, che dicono almeno un po’ chi siamo.

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a cura di Marco Violi

Nota del curatore. Ci sono poche cose che gli esseri umani fanno da sempre, probabilmente da prima che si potesse effettivamente parlare di umanità. Poche azioni costanti e ripetitive, che fanno di noi esseri ripetitivi, forse noiosi, sicuramente interessanti. Queste cose che facciamo dall’alba dei tempi, inevitabilmente, ci definiscono. Ed è significativo che due di esse, la guerra e il raccontarsi storie, siano così strettamente legate tra loro.

Alla fine degli anni 80 qualcuno scrisse una recensione del lungometraggio Akira, e come spesso accade alcune parole di quell’articolo finirono sulla copertina dell’edizione home video (all’epoca erano videocassette). Il giornalista scrisse tutti figli della bomba, Akira come Blade Runner.

Difficile dargli torto, e con l’articolo che ci regala oggi Marco Violi possiamo solo constatare come quei figli siano migliaia. E sono solo l’ultima generazione, eredi di una stirpe di storie figlie della guerra che ci rimanda indietro fino alle teogonie più antiche, ai racconti orali che in chissà quanto tempo sono diventati le prime opere che ricordiamo.

Insomma, non è da ieri che ci raccontiamo la Guerra. Dei suoi eroi e delle loro gesta, ma anche della sofferenza e del dolore. Eppure continuiamo a farla, a infliggerci dolore l’un l’altro. Viene il sospetto che sotto sotto abbiamo paura di restare senza materiale per nuove storie.

Buona lettura e alla settimana prossima

Valerio Porcu

Non ritorneremo.Addio.Pripjat’, 28 aprile 1986

Frase sulla bacheca di un asilo di Pry’’jat’.

Introduzione 

Nel leggere quest’articolo è opportuno tenere presente alcune cose. La prima è la vastità dell’argomento trattato, per cui quando si parla di tendenze lo si fa citando le opere più celebri, perché lo scopo qui non è confezionare un catalogo (attività su cui altri hanno già fatto molto).

Si parlerà di opere sovietiche e non solo russe: sebbene formalmente alcuni stati dell’U.R.S.S. avessero un proprio governo, la realtà vedeva l’Unione Sovietica come un vero e proprio blocco, spesso si parla infatti di “blocco sovietico”.

Questo è il primo articolo di una serie, e in essi troverete spesso la Scala INES. INES è un acronimo per International Nuclear and radiological Event Scale ed è stata sviluppata dall’AIEA: Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. La Scala INES suddivide logaritmicamente i problemi delle centrali nucleari in 8 livelli:

0 Deviazione (non significativo per la sicurezza)
1 Anomalia
2 Guasto
3 Guasto grave
4 Incidente con conseguenze locali
5 Incidente con conseguenze significative
6 Incidente grave
7 Incidente catastrofico

A oggi, gli incidenti di Livello 7 sono due: Chernobyl e Fukushima Dai-Ichi. La scala tiene in considerazione la velocità di decadimento dei radionuclidi emessi durante l’incidente, velocità che si misura in Becquerel. Meno velocemente decade il radionuclide, più pericoloso è l’incidente (si tiene in considerazione anche la quantità di radionuclidi emessi).

Essendo la scala logaritmica un incidente di Livello 6, per quanto grave, non sarà mai paragonabile a uno di Livello 7.

I figli dell’atomo

Russia, Stati Uniti e Giappone sono le prime nazioni che ci vengono in mente quando pensiamo al nucleare: i primi due per via della Guerra Fredda, certo, ma anche per le varie infamie atomiche di cui si sono resi protagonisti. Come il disastro di Chernobyl del 1986 (recentemente rivangato dalla miniserie HBO) o il bombardamento statunitense su Hiroshima e Nagasaki, ai danni proprio del Giappone.

E facile constatare il fascino che le radiazioni esercitano su di noi, e vederne le molte manifestazioni nel Fantastico: un generale impazzito a causa della sua impotenza sessuale, un superuomo reso tale dai raggi gamma, dai raggi cosmici o da residui di scorie nucleari, oppure ancora dal morso di un ragno radioattivo; una nuova razza creata dallo scombinamento di geni dovuto alle radiazioni; un dinosauro risvegliato dai test nucleari che porta dietro di sé un’orda di mostri, o un mondo post-apocalittico dove l’unica regola è homo homini lupus; una ragazza che si trova a vivere in una giungla tossica, resa tale dalle radiazioni di una guerra combattuta centinaia di anni prima; una comunità che cerca di rinascere nelle viscere della metropoli rasa al suolo dal conflitto atomico, o ancora una popolazione segretamente stabilitasi in una zona d’esclusione; sempre o quasi sempre, i sopravvissuti a un’apocalisse nucleare sono sempre meno umani. Il mostro nucleare ha reso fertile, se non altro, la nostra fantasia.

Unione Sovietica

Informandomi su quella che chiameremo “narrazione nucleare” mi è capitato di notare un fatto alquanto singolare: mentre gli autori giapponesi trattano il tema come una vera e propria catastrofe naturale che arriva inaspettatamente (Godzilla, Ken il Guerriero, ma anche, sebbene non si tratti di nucleare, il “third impact” di Neon Genesis Evangelion), quelli statunitensi tendono invece a narrare le imprese (Hulk, Daredevil) o crudeltà (Il Dottor Stranamore) di individui o comunque di gruppi ristretti di persone (X-Men). Gli autori dell’ex blocco sovietico rivelano invece la tendenza a parlare più di comunità vere e proprie (Metro 2033. Stalker, S.T.A.L.K.E.R. – Shadow of Chernobyl) con rare eccezioni (Sacrificio). Una nota curiosa da cui possiamo prendere spunto per le prossime righe.

Opere consigliateAleksandr Kaidanovskij, Stalker AmazonS.T.A.L.K.E.R. (Stalker) Call of Pripyat | AmazonDmitry Glukhovsky, Metro 2033 | Amazon

Partiamo da un evento: il disastro di Chernobyl. La più grande sciagura nucleare della storia, l’unico incidente di livello 7 nella scala INES insieme al disastro di Fukushima Dai-Ichi (le cui radiazioni però hanno causato, ad oggi, un solo decesso).

Dal punto di vista che ci interessa per questo articolo, Chernobyl presenta una singolare peculiarità: è l’unico disastro causato dall’uomo che ha ispirato opere prima ancora di avvenire.

Stalker

Oggi possiamo guardare Stalker, capolavoro di Andrej Tarkovskij, e facilmente saremo indotti a pensare che il film sia ispirato all’incidente della centrale. Tuttavia, il lungometraggio uscì nelle sale nel 1979, ben 7 anni prima del disastro, ed è a sua volta il seguito del romanzo Picnic sul ciglio della strada, edito nel 1972 e scritto da Arkadij e Boris Strugackij, sceneggiatori anche del film.

In realtà la storia sarebbe ispirata al meno conosciuto incidente nucleare di Kyštym, nell’Oblast di Čelijabinsk, al confine con il Kazakistan. Tale incidente avvenne nel 1957, è catalogato al livello 6 della scala INES e rimane tuttora il più grave della storia dopo Chernobyl e Fukushima. Il disastro di Kyštym portò alla contaminazione radioattiva di oltre 200.000 persone e il numero di vittime è ancora sconosciuto. Nella centrale si produceva combustibile per ordigni nucleari ed era soggetta al segreto di stato, ragion per cui solo pochi dei contaminati furono evacuati e né a questi né a chi rimase fu spiegato cosa avvenne. Ad oggi, la zona risulta ancora abbandonata. È forse il più chiaro esempio di Zona, con se scritto con la maiuscola fa riferimento a un vero e proprio topos narrativo.

Stalker e Picnic sul ciglio della strada sono ambientati proprio nella Zona, ma di Kyštym non si fa mai il nome per ovvie ragioni. All’interno della Zona vivono gli stalker: individui che hanno formato una comunità e che sanno muoversi e sopravvivere all’interno di quell’ambiente ostile dove la natura e la scienza obbediscono a leggi del tutto autonome. Gli Stalker, dietro compenso, fanno anche da guida a chi, dall’esterno, vuole avventurarsi nella Zona. Al centro di questa, infatti, si troverebbe una stanza, dove i desideri più intimi e segreti si avverano.

Stalker è anche il nome dato nella realtà a quelle persone tornate ad abitare nella zona d’esclusione di Chernobyl dopo il disastro. La parola è di origine inglese ed è una semplice traduzione letterale dello stesso termine col quale si indica la fattispecie criminosa, ovvero: colui che segue silenziosamente. Significato diverso rispetto a quello datogli invece nel titolo del videogioco S.T.A.L.K.E.R. – Shadow of Chernobyl. Qui è un acronimo di: Scavengers Trespassers Adventurers Loners Killers Explorers Robbers.

S.T.A.L.K.E.R. – Shadow of Chernobyl

Sviluppato nel 2007 da GSC Gameworld (software house ucraina) è un FPS con elementi RPG ambientato nella zona d’esclusione di Chernobyl. Si rifà sia alle atmosfere del film di Tarkovskij sia a quelle del libro dei fratelli Strugackij, mescolandoli insieme nei tetri resti della centrale nucleare. Cosa stia realmente succedendo nella Zona è un mistero che dovremo scoprire nella nostra avventura.

Il gioco ha avuto un discreto successo, ma alcuni potrebbero non averne mai sentito parlare. Il che è curioso, visto che per alcuni è un oggetto di culto: è diventato un vero e proprio franchise, comprendente una serie tv attualmente in produzione, altri due videogiochi già usciti, S.T.A.L.K.E.R. – Clear Sky (2008) e S.T.A.L.K.E.R. – Call of Prypiat (2009), e un sequel che dovrebbe arrivare intorno al 2021, la cui uscita è rimasta a lungo incerta ed è stata posticipata innumerevoli volte.

Metro 2033

Anche un’altra grande opera russa è passata dal mondo della carta a quello digitale, saltando, per ora, il passaggio cinematografico: Metro 2033, scritto da Dmitrij Gluchovskij e pubblicato nel 2002 in Russia da Eksmo e in Italia da Multiplayer Edizioni dal 2010, stesso anno in cui la 4A Games (casa di produzione ucraina, trasferitasi a Malta nel 2014) ne ha prodotto il videogioco.

Opere consigliateS.T.A.L.K.E.R. - Clear Sky - Collector's Edition Metallbox | AmazonDmitry Glukhovsky, Metro 2034 | AmazonDmitry Glukhovsky, Metro 2035 | Amazon

Entrambe le versioni dell’opera di Gluchovskij hanno riscosso notevole successo, al punto da avvicinare la Metro Goldwyn-Meyer all’idea di realizzarne un film, ipotesi che tuttavia non si è realizzata per via di molteplici divergenze creative, come riportato dallo stesso Gluchovskij.

Il romanzo Metro 2033 ha avuto due seguiti: Metro 2034 (2009) e Metro 2035 (2015); così come il videogioco: Metro: Last Light (2013; poi rimesso in commercio l’anno seguente insieme al primo capitolo in un’edizione chiamata Metro Redux giocabile anche su console) e Metro Exodus (2019).

Lettere da un uomo morto

Vi sono poi i film di Konstantin Lopushansky, il quale tra l’altro lavorò come co-produttore proprio per Stalker di Andrej Tarkovskij. Molte opere di questo regista russo hanno a che fare con la fine del mondo o dell’Unione Sovietica e ve ne consiglio la visione: troppo spesso, infatti, tendiamo a pensare che i grandi eventi siano come li vediamo nei film statunitensi e dimentichiamo che godere di un altro punto di vista può soltanto ampliare il nostro orizzonte.

Il primo lungometraggio girato da Lopushansky porta un titolo emblematico, che in italiano è stato reso come Quell’ultimo giorno - Lettere da un uomo morto: l’olocausto nucleare è realtà e il Professor Larsen, premio Nobel per la fisica, si sforza di dare assistenza ai pochi sopravvissuti avvelenati dalle radiazioni all’interno di un museo-bunker. Tra i superstiti c’è anche la moglie del professore, gravemente malata. Larsen, interpretato da Rolan Bykov, comincia una serie di riflessioni sull’uso scellerato della scienza, che ha portato l’Uomo alla distruzione. Queste riflessioni hanno la forma di lettere mai scritte da Larsen e che egli, nella sua mente, indirizza al figlio, da cui il titolo del film.

Altra opera di Lopushansky degna di menzione in questo articolo è A visitor to a museum, del 1989: dopo l’apocalisse nucleare un museo viene sommerso e diviene visitabile soltanto in condizioni di bassa marea. Il protagonista (Il visitatore del titolo) vi incontra una comunità di sopravvissuti e ne trae un ritratto della società post-apocalittica.

Una produzione (quasi) sconfinata

Saremmo tuttavia degli stolti a pensare che la narrativa nucleare sovietica si esaurisca a questi esempi. All’epoca dell’U.R.S.S., infatti, furono prodotti diversi piccoli gioielli del genere, giunti a noi solo dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica.

Ci sono opere satiriche come Seksmisija, film scritto e diretto dal regista polacco Juliusz Machulski nel 1984 e che narra le vicende di due scienziati che si ibernano nel 1991 per risvegliarsi nel 2044, e trovare il mondo sottoposto a una dittatura femminista che ha estinto il genere maschile e impone alle donne di vivere nel sottosuolo, coltivando nel frattempo una cultura misantropa e anti-maschilista.

Tornando indietro di quasi venti anni, invece, bisogna spendere qualche parola per Konec srpna v hotelu Ozón, pellicola cecoslovacca diretta da Jan Schimdt nel 1967 e il cui titolo tradotto letteralmente significa Fine agosto all’hotel Ozon. L’opera si incentra su un gruppo di donne sopravvissute alla guerra nucleare che errano per il mondo sotto la saggia guida della “Donna anziana” (interpretata dalla grande Beta Poničanová). Il gruppo cerca disperatamente degli uomini per proseguire la specie, ma l’unico maschio che trovano è “L’Uomo anziano”, il quale è ben felice di accoglierle nella sua fattoria e mostra loro oggetti del mondo precedente l’apocalisse, tra i quali un grammofono che stupisce le ragazze più di ogni altra cosa.

Bisogna infine assolutamente parlare di O-bi O-ba: koniec cywilizacji (lett. O-bi O-ba: la fine della civiltà). Diretto da Piotr Szulkin e uscito nel 1985, il film è interpretato da Jerzy Stuhr e Krystyna Janda, due dei più grandi attori della storia del cinema polacco, e racconta di una comunità sopravvissuta all’apocalisse nucleare che vive segregata nei sotterranei di un edificio, non aspettando altro che morire. Ai superstiti è stato raccontato che verranno tratti in salvo dalle Arche, ma sono passati anni e nessuno ci crede più. L’atmosfera del film è di totale nichilismo e apatia, che agli occhi dello spettatore si traducono in una visione malinconica e angosciante del futuro prospettato. I personaggi non fanno altro che trascinarsi svogliatamente, conducendo le loro esistenze come amebe, privati di qualsiasi bene materiale e morale che non fosse la loro vita, della quale farebbero volentieri a meno.

È forse questo lo scenario più plausibile per un mondo avvelenato dalle radiazioni? Come si comporterebbero i sopravvissuti, sapendo che gli effetti della follia nucleare non si dissolveranno prima di centinaia di anni e che essi dovranno portare il fardello dell’idiozia atomica dei loro avi finché avranno vita, pagando il pegno per colpe che non hanno?

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