“Non solo fedele a niente, tranne che al Sogno”. Si apre così Cap on the Road, primo capitolo de Gli Stati Uniti di Capitan America, nuovo arco narrativo dedicato alla Sentinella della Libertà che rientra all’interno dei festeggiamenti per gli ottant’anni di onorato servizio di Steve Rogers nel mondo dei comics. La scelta di questo pensiero intimo di Rogers come apertura di questa nuova saga è centrale non solo per la trama realizzata da Cantwell, ma anche per ricollegare la figura di Rogers agli ultimi eventi e alla sua centralità nel Marvel Universe.
Un ruolo che, va ricordato, deriva dal suo stato concepito sin dai tempi della Golden Age come un’incarnazione dell’American Way. All’epoca la separazione in seno alla società americana, spezzata tra la scelta di intervenire nella Seconda Guerra Mondiale o rimanere in disparte, la nascita di Capitan America rientrava all’interno dei patriotical themed heroes, figure studiate per indirizzare l’opinione pubblica verso l’intervento militare americano. Una definizione che, in un certo senso, ha portato a identificare Capitan America con l’immagine del perfetto soldato, sempre ligio a seguire gli ordini dall’alto. Una condizione che ha portato, dopo il ritorno di Roger nel mondo Marvel in Vendicatori, a una maturazione del personaggio, che ha subito una divisione: Capitan America è Steve Rogers per antonomasia, ma Steve Rogers non è "solamente" Capitan America.
Gli Stati Uniti di Capitan America: viaggio nel cuore degli States
Questa distinzione è importante per comprendere Gli Stati Uniti di Capitan America, serie che arriva in un periodo complesso, sul piano emotivo, per Rogers. Gli eventi visti nella precedente run scritta da Ta-Nehisi Coates ci hanno lasciato uno Steve Rogers profondamente segnata dalla consapevolezza che il suo ruolo, come simbolo, è un’arma a doppio taglio, specie in una contemporaneità che nei comics marveliani sta rispecchiando, come da tradizione, il ‘mondo fuori dalla finestra’. Anche editorialmente, Cap è reduce da anni in cui la sua figura di simbolo è stata messa duramente messa alla prova, basterebbe ricordare gli eventi di Secret Empire.
Nei momenti di massima crisi, quando la sua anima sembra andare in pezzi, Steve Rogers (badate bene, Steve Rogers non Cap) si ricorda quale sia la sua vera forza: il Sogno. Ma nella sua visione, dietro questa parola non si nasconde una serie di imposizioni che arrivano dall’alto, Casa Bianca compresa, ma una speranza che vive nelle profondità dell’animo degli americani. Nello stesso luogo, insomma, dove dimora che la sua versione oscura, quella voce fatta di razzismo, individualismo e crudeltà sagacemente pungolata dal Teschio Rosso durante la gestione Coates. Rogers non lo scopre ora, ma ha già affrontato diverse volte questo ritratto della società americana, arrivando a ricordarci che non ha timore di rinunciare allo Scudo e alla sua identità supereroica pur di conservare la sua identità come individuo.
Una caratteristica che Cantwell intende valorizzare al meglio con Gli Stati Uniti di Capitan America. La relazione tra Rogers e gli americani, infatti, è ambivalente, come lui viene animato dalla sua dedizioni ai propri connazionali, questi ultimi vedono in lui un’ispirazione o un’aberrazione delle proprie convinzioni, identificandolo come il nemico. Un dualismo che diventa centrale nella storia di Cantwell, a partire dalla definizione stessa dello spirito di Rogers.
Non è un caso che Cap on the road! si apre proprio con uno Steve Rogers intento a chiedersi quale sia il suo ruolo nella società americana moderna. Pensiero nato dopo la richiesta da parte dello Smithsonian che, all’interno di una mostra dedicata ai combattenti americani, vorrebbe esporre lo Scudo originale di Capitan America. Per Rogers, che poco si identifica nel titolo della mostra, dovrebbero essere altre le ispirazioni per questa esposizione:
“Perché a volte combattiamo quando credo che potremmo gestire le cose in un altro modo. Nella mia mente ci sono stati americani che hanno combattuto, certo, ma hanno anche teso la mano. Si sono messi a nudo. E l’hanno fatto senza sieri o poteri o armature metalliche”
Sembra quasi profetico che mentre Rogers ragiona su questo aspetto, una misteriosa figura, vestita come il primo Cap della Golden Age, faccia irruzione nella sua abitazione, riuscendo a rubargli lo Scudo dopo una colluttazione. Un furto che porta Rogers a lanciarsi, assieme al fedele Sam ‘Falcon’ Wilson all’inseguimento del ladro, condizione che lo porterà a comprendere come ci sia una verità più profonda nel tessuto sociale americano, in parte anche per merito suo.
L'America è là fuori
L’idea di un viaggio on the road attraverso l’America è uno dei topos narrativi più efficaci, in questi casi. Già usato in altri media da autori come Keoruac con il suo On the Road o sul grande schermo in Easy Riders, il viaggio nell’America dimenticata e divisa, tenuta assieme solamente da strade che attraversano spazi sconfinati è il modo migliore per ritrarre questa nazione dalle cento anime. Anche i comics ne sono consci, che hanno visto personaggi in crisi scegliere questo viaggio alla scoperta delle radici americane come metodo per risolvere i propri dubbi. Cap e Daredevil lo hanno fatto spesso, ma la migliore interpretazione di questo principio narrativo nel mondo supereroico rimarrà l’immortale viaggio negli States vissuto da Freccia Verde e Lanterna Verde nella storica serie di Dennis O’ Neil e Neal Adams, negli anni ’70, culminata con quel ‘My ward is a junkie’ che ancora oggi è patrimonio storico dell’epica supereroica.
A maggior ragione per Rogers questo viaggio rappresenta una riscoperta di sé, ma soprattutto del suo ruolo come simbolo, come ispirazione. Già nella sua prima tappa di Gli Stati Uniti di Capitan America, Rogers scopre come la sua vita supereroica sia divenuta ispirazione per comuni cittadini che pur rappresentando la parte più autentica e disperata di una nazione ritratta al netto di ipocrisie e ideologismi da propaganda. La mente dietro Gli Stati Uniti di Capitan America, Christopher Cantwell, ha chiarito che tipo di Rogers vedremo in questa sua run:
“Cap siamo noi nei nostri migiori giorni da cittadini, quando ci difendiamo a vicenda, lottiamo per coloro che non hanno voce, potere e diritti”
Una dichiarazione d’intenti precisa, che sicuramente l’autore dovrà difendere da accuse di strumentalizzazione e attivismo politico. Non sono infatti mancate critiche becere all’annuncio del primo di tanti Cap che Rogers incontrerà sulla sua strada: Aaron Fischer. Giovane senzatetto, Aaron si muove lungo le ferrovie americane viaggiando come clandestino, aiutando le persone in difficoltà lottando per loro, indossando una livrea che rielabora il concept di quella di Capitan America. È il primo confronto tra Rogers e coloro che lo hanno preso come ispirazione, uomini e donne che hanno data vita alla Rete dei Capitan America, divenuti bersaglio della misteriosa figura che ha rubato lo Scudo di Roger.
La ricerca dello Scudo, per Rogers, è una sorta di rinascita come individuo, in cerca di risposte sul proprio ruolo come supereroe, ma anche di ricostruzione della vera essenza del personaggio di Capitan America, come simbolo non di uno Stato ma di una popolazione. Anche per coloro che vedo nella Sentinella della Libertà un nemico, anziché un protettore. Lo Scudo è da sempre l’arma di Cap, passata ad altri quando Rogers aveva lasciato il suo ruolo, e da tutti identificato come il suo tratto essenziale, come dimostrato anche nella versione distorta offerta da U.S. Agent nel recente Il Fanatico Americano.
A Cantwell va riconosciuto il coraggio di aver accettato la sfida della editor Alanna Smith. Dopo avere lavorato su Iron Man, nuovamente mettendo un pilastro della Casa delle Idee di fronte a una sua fase di criticità personale, Cantwell si accinge ora a dare un nuovo slancio a Steve Rogers, dando alla Sentinella della Libertà l’occasione di tornare alle origini del suo spirito più autentico.