"Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso, ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto", recitava John Donne in una poesia del XVI secolo. E per quanto il sermone sia un'immortale lode all'umanità e ai suoi nobili valori socio-filantropici, bisogna dire che il celebre poeta era londinese. Lontano dalla quotidianità, dalla cultura e dalla vita nelle più sperdute zolle verdi isolane e isolate d'Irlanda. Gli Spiriti dell'Isola sembra partire dal concetto intrinseco di questa poesia, dalla vita solitaria e sperduta di uomini che vivono su rocce sospese sopra il freddo mare, e ci mostra cosa può davvero succedere quando si parla di uomini e isole.
Il nuovo film di Martin McDonagh, noto probabilmente al pubblico soprattutto per In Bruges - La coscienza dell'assassino (dove troviamo già il duo Farrell-Gleeson), parla dell'Irlanda che il regista, rigorosamente di origini irlandesi, conosce molto bene. Una trama spiazzante per la sua semplicità (apparente), un film cupo per la sua eccessiva umanità (tutt'altro che nobile), che fa del suo tratto distintivo una capacità recitativa e scenografica disarmanti. A tratti, inoltre, vi troverete a ridere. Perché dopo aver visto questo film, disponibile dal 2 febbraio al cinema in Italia, d'ora in avanti non potrete fare a meno di notare che oltre la comicità "inglese", esiste quella "irlandese".
Ambientato su una remota isola al largo della costa orientale dell’Irlanda, GLI SPIRITI DELL’ISOLA (THE BANSHEES OF INISHERIN) segue gli amici di una vita Pádraic (Colin Farrell) e Colm (Brendan Gleeson), in un momento di stallo del loro rapporto, quando Colm mette inaspettatamente fine alla loro amicizia. Pádraic, scioccato da questa decisione, non si rassegna e tenta di ricucire il rapporto, aiutato dalla sorella Siobhán (Kerry Condon) e da un giovane e problematico abitante dell’isola, Dominic (Barry Keoghan). Purtroppo, i ripetuti sforzi di Pádraic non fanno altro che rafforzare la determinazione dell’ex amico e quando Colm lancia un ultimatum disperato, gli eventi precipitano rapidamente con conseguenze scioccanti.
Gli Spiriti dell'Isola: teatro, musica, pinte e sterco d'asino
Per comprendere al meglio la visione de Gli Spiriti dell'Isola, bisogna partire da una premessa: non soltanto il regista McDonagh è irlandese. Ogni attore del cast lo è. A partire da Colin Farrell, che interpreta Pádraic Súilleabháin, proseguendo con Brendan Gleeson, nel ruolo di Colm, e poi Doherty Kerry Condon e Barry Keoghan. Persino l'anziana "strega" del villaggio è irlandese. Ogni minimo dettaglio nasconde un legame con questa terra, ogni sottigliezza, messa in bella mostra da parte del regista o più impercettibile da cogliere, racconta, canta e parla di un'Irlanda autentica. Ed è un elemento fondamentale, che arricchisce una trama altrimenti "vuota", per lo spettatore più disattento.
Siamo nel 1923: la Guerra civile irlandese imperversa al di là delle coste di Inisherin, l'isola (immaginaria) in cui avvengono le vicende di Pàdraic e Colm. Ma la guerra è un rumore lontano, spaventa eppure non raggiunge le vite di questi paesani. Quando inizia il film, le nubi si diradano come il tendone a teatro e ci mostrano due amici di lunga data, incasellati dentro le loro esistenze, fatte di routine e gite al pub. Senonché, Colm smette di essere amico di Pàdraic. Quest'ultimo cerca di capire il motivo, di rimediare a qualsiasi torto abbia fatto.
Niente magia, niente kelpie o sirene camuffate da foche: questi "spiriti" a cui allude il titolo sono da cercare oltre i dialoghi, le interazioni, le credenze e il chiacchiericcio di una piccola città "arretrata", radicata in alcune convinzioni che si son perse nel tempo e non più nella logica. Questi "spiriti", che lo spettatore attento troverà, li individuerà proprio nell'essenza stessa del film, che si trova nella superba fotografia di un verde brillante, piena di vita, dentro la gentilezza di un uomo le cui argomentazioni più importanti ruotano attorno alla sua asina e alla sua regolarità intestinale, nella straordinaria capacità attoriale di Farrell, Gleeson e Keoghan che riescono a essere (drammaticamente) convincenti, anche quando parlano di dita mozzate per capriccio. Gli Spiriti dell'Isola ha l'anima scura come la birra Guinness e risuonerà ancora a lungo, come la canzone che Colm sta cercando di comporre, l'opera musicale che dà origine al titolo originale del film, The Banshees of Inisherin, un titolo che per chi scrive, sarebbe stato più azzeccato lasciare così.
Cosa motiva, dunque, il fatto che Gli Spiriti dell'Isola abbia ricevuto nove candidature agli Oscar 2023 dopo aver guadagnato otto nomination ai Golden Globe, tra cui due premi come Miglior film commedia o musicale, Miglior attore in un film commedia o musicale a Colin Farrell e Migliore sceneggiatura a Martin McDonagh? Cosa ci può essere di speciale in un film che parla di legami che risuonano e si spezzano, come corde di violino?
Oltre alla lunga lista di citazioni irlandesi autentiche, che donano all'intero film un gusto ricercato nonostante la sua trama "semplice", il pregio più grande di questa pellicola, è la teatralità. McDonagh viene dal teatro, da quel mondo che è da sempre abituato a scalfire i personaggi a tal punto da essere riconoscibili anche da grandi distanze. Nelle sue mani, questa poesia all'Irlanda riesce a risuonare in tutta la sua macabra, malinconica, magnifica danza.