Glass arriva in sala carico di un'aspettativa che, a quanto pare, si è ripiegata su se stessa dopo una certa delusione da parte del pubblico. Un pubblico che, apparentemente, non sembra aver compreso a fondo quello che è stato il disegno dell'universo supereroistico di M. Night Shyamalan il cui intento, ci è parso chiaro, non è mai stato fare un film con protagonisti dei supereroi, semmai una serie di pellicole in cui analizzarne tematiche e senso.
Inoltre, come se non bastasse, a rendere tutto più complicato c'è stata l'errata interpretazione del pubblico, che è arrivato al film (in larga parte) quasi del tutto privo di due informazioni a dir poco fondamentali: la prima è quella relativa il regista in sè, su chi sia e quale sia il suo stile; la seconda è invece anche più paradossale, ovvero la visione del film del tutto privi delle informazioni di Unbreakable.
Chiunque vi dica che Glass è un film che può essere visto stand alone o, semmai, con alle spalle la sola visione di Split, vi dirà una falsità, perché l'ultima pellicola del regista indo-americano, benché dichiaratamente un sequel di Unbreakable come di Split, è in realtà più legata al primo che al secondo film.
Arrivare, insomma, alla visione di Glass privi di tutte le informazioni del caso non può che decretare, per lo spettatore, una visione incompleta e fallimetare da cui, immaginiamo, la gran parte delle critiche del film.
Ora, intendiamoci: Glass non è un film perfetto. Non ha dentro di sè la straordinaria costruzione di Unbreakable (certamente, ad oggi, il più complesso e stratificato film sul supereroismo mai creato), né il ritmo thriller di Split, ma il film non è certo quella schifezza che molti vorrebbero veder sparire dalle sale, ed anzi, è una chiusura della trilogia a dir poco azzeccata.
Riprendendo il racconto a 15 anni dal primo film, ma a poche settimane da Split, cominciando proprio dalle premesse presentate nella scena post-credit di Split in cui, come ormai noto, gli omicidi perpetrati dalla Bestia/Kevin Wendell Crumb (James McAvoy) finivano sotto l'attenzione di David Dunn (Bruce Willis), un uomo dalla forza sovrumana ed apparentemente impossibile da ferire. Questi parte quindi alla caccia dello psicopatico che, nel mentre, ha continuato a rapire ragazze da uccidere e sacrificare alla propria bestiale personalità, perpetrando le sue azioni per mezzo delle sue 24 camaleontiche personalità.
Lo scontro subito preannunciato all'inizio del film tra Dunn e Crumb verrà però bruscamente interrotto dalla polizia che, sulle tracce di entrambi (il primo è infatti visto come un giustiziere, più che come un eroe) riuscirà a catturarli grazie al supporto della Dr.ssa Ellie Staple (Sarah Paulson), una psichiatra specializzata nel trattamento di pazienti affetti da una particolare mania di grandezza, quella del “supereroismo”. I due verranno quindi rinchiusi in un ospedale psichiatrico dove, caso vuole, ci sia un altro uomo convinto di appartenere ad una razza superiore, Elijah Price (Samuel L. Jackson), detto “L'uomo di vetro”, mente criminale dietro gli eventi del primo film.
Da qui comincerà uno showdown tutto psicologico tra la dottoressa ed i tre uomini, rinchiusi in modo tale da limitare gli effetti devastanti delle loro capacità, e studiati per mezzo di sedute che mirano a scardinare le loro convinzioni.
Glass è un film diviso in due atti, e questo vi sarà evidente sin da subito. La prima ora trascorre lenta e quasi del tutto priva di azione, giocandosi tutta sul lavoro psicologico della Dr.ssa Staple, la seconda lascia invece che gli eventi facciano il loro corso fino alla tipica rivelazione finale che, come da manuale per Shyamalan, viene giocata tutta su quelle che sono le convinzioni dello spettatore e dei personaggi del film. Gli eroi esistono? Ma soprattutto qual è il loro significato per gli esseri umani?
Riprendendo le fila di Unbreakable, ma rimodernandole secondo quello che è il costume di oggi in cui il tema del supereroismo è più disincantato che mai (specie al cinema), Shyamalan porta avanti la sua riflessione sul supereroe e sullo stereotipo fumettistico, infarcendo Glass di continui riferimenti al modello di scrittura tipico della golden age del fumetto americano, ricalcandone se non i simboli, certamente gli stereotipi.
Sono gli stessi personaggi a rendersene conto, giocando ad un continuo rimpiattino di riflessioni sul tema che, specie per ciò che riguarda Mr. Glass, non fanno che ricalcare quanto questo film sia più vicino ad Unbreakable che a Split. Glass diventa quindi un'enorme metafora sul senso del supereroismo e, più nel profondo, una metafora di come questo venga (o debba) essere percepito dal mondo. Non è un film d'azione, né un film sull'impronta dei cinecomics, ed anche il suo riprenderne il canovaccio tipico non è uno scimmiottamento, né una citazione, si tratta più che altro di un'analisi o, se vogliamo, della proposta allo spettatore di una visione sul tema da parte degli occhi del regista.
Ne consegue un film più di parole che d'azione, tant'è che quando poi l'azione si manifesta il film, in qualche modo, perde il suo mordente, che per la prima ora è invece solidamente ancorato alle parole, ai dubbi, alla possibilità che gli eroi esistano o non esistano. Da qui è chiaro che Glass non sia un film per tutti, perché richiede una certa e specifica quantità di informazioni per essere goduto appieno, ed anche qualora queste si posseggano è comunque possibile che la presa sullo spettatore sia poca, perché magari nella sua mente sarà più limpido il ricordo di Split e del suo ritmo, che quello più pacato e sincopato di Unbreakable che, va detto, aveva però una scrittura forse un po' più solida a tesserne le fila.
Il principale difetto del film, infatti, non è tanto la sua iniziale lentezza, o il fatto che sia difficilmente codificabile per una certa frangia del pubblico, ma più che altro nella difficoltà di Shymalan di tenere per bene le fila del suo racconto, che talvolta nel bisogno di doversi intrecciare a dovere sembra perdersi in situazioni decisamente surreali, anche per un film che ovviamente richiede una certa sospensione dell'incredulità. Questo è evidente soprattutto nel finale in cui, senza voler fare spoiler, la soluzione per quanto fumettisticamente perfetta (ripetiamo: fumettisticamente) sembra un po' troppo tirata per i capelli, dandoci l'impressione di voler mettere su un plot twist a tutti i costi. L'apprezzamento o meno della soluzione dipende dallo spettatore, dalla sua conoscenza dei tre film ma, soprattutto, dalla comprensione della loro idea di base, venendo meno tutto questo Glass si perde, e perde il suo significato, a differenza invece di Split (giusto per tirare in ballo quello che tra i tre è stato il più digeribile dal grande pubblico), che restando saldamente ancorato allo stereotipo thriller del “killer psicopatico” riusciva a trovare un senso in ogni sua trovata narrativa. Persino nella sua piega sovrannaturale.
Glass no, richiede uno sforzo più grande e, per certi versi, un salto di fede molto più ardimentoso, che non è detto uno spettatore voglia o possa intraprendere in nome del cinema di Shyamalan che, al netto di tutto, si dimostra come sempre un maestro nella tecnica della cinepresa, consegnandoci un film che in certi frangenti è raffinato e squisito al pari dei suoi eccezionali protagonisti. Non avendo il bisogno di sottolineare la grandezza di due attori come Bruce Willis e Samuel L. Jackson (con quest'ultimo in grado di intepretare un ruolo in larga parte muto!), il plauso più grande va certamente a James McAvoy, che ancor più densamente che in Split mette in scena cambi continui di personalità ed espressione, confermandosi un caratterista di razza, e un attore dal talento straordinario.
E dunque che cosa resta di Glass? Resta la conclusione di un progetto ambizioso, orchestrato con stile e prepetrato con grande dedizione da parte di un regista che, spesso, si perde un po' troppo nella sua autoreferenzialità. In tal senso Glass è forse l'esempio più lampante di questo modello di scrittura di Shyamalan ma, nonostante questo, resta un film perfettamente incastrato in quella che è, a tutti gli effetti, la sua trilogia sul tema del supereroismo, e non sui supereroi in sé in quanto figure in maschera al servizio di bene e male. È un film complesso, godibile ma che per molti non può che essere indigesto, il cui peccato originale sta forse nell'incapacità di assumersi qualche rischio.
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