Jinn fa arrabbiare la Giordania: "La serie TV Netflix offende i precetti morali islamici"

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a cura di Roberto Tavecchia

Il debutto di Jinn, prima serie TV originale parlata in lingua araba su Netflix, ha portato gioie e dolori alla piattaforma streaming californiana, in quanto se da una parte è riuscita a fare breccia nel cuore dei suoi giovanissimi spettatori, dall'altra ha sollevato anche molte critiche inerenti all'utilizzo di stereotipi e la trasgressione di precetti morali islamici.

Cavalcando l'onda del filone del momento, in cui dei teenager si ritrovano a combattere una misteriosa e terrificante forza sovrannaturale per salvare il mondo (se avete pensato a Stranger Things, non preoccupatevi, non siete i soli), Jinn racconta di un gruppo di adolescenti che durante una gita scolastica finisce con lo risvegliare accidentalmente un antico spirito demoniaco appartenente alla cultura islamica, un Jinn, per l'appunto. E proprio come il filone del momento suggerisce, tra un passo un avanti e l'altro verso la risoluzione del mistero e l'avvicinarsi del conflitto finale con l'entità, in perfetta tradizione teen drama, i protagonisti vivono primi amori, dissapori e risate caratteristici dell'età... se non fosse che queste caratteristiche appartengono per l'appunto ad una “scrittura tipicamente americana” che secondo il Grand Mufti di Giordania Mohammed Khalaileh “racconta luoghi comuni sui giovani ignorando le singolarità della cultura mediorientale piegandola ad una narrazione che più si confà ai gusti del pubblico occidentale.”

Nel dettaglio a cosa ci stiamo riferendo? All'uso di alcol, droghe leggere, baci e promiscuità. Insindacabilmente alcuni cliché tipici delle storie di genere sono un'eredità culturale che a più riprese, anche in produzioni nostrane (magari meno curate e coraggiose) abbiamo fatto nostre diversi anni fa. E se da in una cultura liberale e progressista come quella occidentale ormai risultano quasi inflazionati, in una cultura come quella mediorientale, per alcuni può considerarsi quasi una mossa avanguardista, volta ad offrire una rappresentanza alle voci più giovani della Giordania. Eppure, secondo il Grand Mufti, “La scrittura della serie rovescia le abitudini ed i codici comportamentali della popolazione giordana, andando in netto contrasto con i precetti morali islamici.”

Per questo Khalaileh avrebbe scomodato persino il Paralmento, chiedendo alle forze dell'ordine di intervenire tempestivamente nella rimozione della serie dal catalogo della piattaforma. Questa storia che ci sembra venire raccontata da un'epoca lontana ha per fortuna un lieto fine: la Royal Film Commission ha infatti preso le parti di Netflix sottolineando che “Il prodotto non è diffuso su network accessibili a chiunque, ma è disponibile solo previo un servizio a pagamento, scegliere di vederlo è a discrezione personale dello spettatore, ribadendo di aver apprezzato la scelta di Netflix di investire e promuovere in tutto il mondo produzioni locali.”

Insomma, la libertà d'espressione è salva ancora una volta. Forse.

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