Fringe, gli X-Files del nuovo millennio

Tra le tante serie TV degli ultimi vent'anni ce ne sono alcune che vale assolutamente la pena di (ri)scoprire, anche se sono concluse da tempo. Tra di esse c'è Fringe, una serie di fantascienza entrata nel cuore degli appassionati per i suoi protagonisti e l'intrigante complessità narrativa.

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a cura di Andrea Balena

Ci sono serie TV che vale la pena di ricordare, anche anni dopo la loro conclusione, quando altri prodotti hanno preso il loro spazio nel palinsesto e nel cuore degli appassionati. È giusto continuare a ricordarle per il segno che hanno lasciato nella narrazione seriale moderna, e sottolineare la loro eredità nella cultura popolare. Citeremo diversi di questi mostri sacri in questa rubrica, partendo da una che ho seguito fin dal principio e a cui personalmente tengo molto. Si tratta di Fringe.

Al momento della sua presentazione, nel settembre 2008, Fringe fu preceduta dalla fama di J.J. Abrams; l'ideatore e produttore di Lost in quegli anni raggiungeva il punto massimo della sua popolarità. Destò molto interesse l'idea alla base dello show: riprendere la struttura procedurale a casi di X-Files in un contesto post 9/11 dove il centro del mistero non erano più entità extraterrestri, bensì i giochi di potere di pochi uomini potenti e facoltosi. Forse non è un caso che questo aspetto sia stato introdotto nei nuovi episodi della stessa opera ispiratrice, come abbiamo visto in un precedente articolo.

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Il nome della serie deriva dalla natura dei casi raccontati in ciascuna puntata, legati alla cosiddetta fringe science, la scienza di frontiera, una branca borderline degli studi scientifici che cerca di spiegare i fenomeni inspiegabili. La protagonista della vicenda è Olivia Dunham (Anna Torv), stacanovista agente dell'FBI che, dopo un caso di bioterrorismo che la coinvolge direttamente, si unirà alla Fringe Division. Quest'ultima è un'unità segreta dedita a investigare e prevenire presunti attacchi terroristici all'apparenza scientificamente impossibile. Per affrontare queste emergenze, sono chiamati a collaborare Walter Bishop (John Noble), anziano scienziato psichicamente instabile, e suo figlio Peter (Joshua Jackson), truffatore di professione.

Nel corso delle sue cinque stagioni la serie è andata incontro a numerosi problemi, principalmente dovuti al numero decrescente di ascolti, fino ad essere spostata al venerdì sera, storicamente considerato in America la tomba degli show televisivi. Nonostante tutto, lo zoccolo duro dei fan ha permesso allo show di sviluppare una anima specifica e unica, molto intima ed emozionale. Mentre la componente scientifica, all'inizio ben realizzata e credibile, sfuma in spiegazioni artificiose, la caratterizzazione dei tre protagonisti principali viene approfondita sempre più, fino a donare a ciascuno un background unico e ben definito. Non solo: le relazioni che si instaurano fra di loro sono fra le più profonde mai viste in un serial. Oltre alla prevedibile (ma non scontata) love story di Olivia, la vera sorpresa è il rapporto padre-figlio tra Walter e Peter, su cui verte gran parte della trama orizzontale della serie, come narra magistralmente l'episodio flashback "Peter".

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D'altro canto, Walter è davvero un personaggio indimenticabile: l'interpretazione di John Noble gli dona una personalità tridimensionale, capace in una scena di strappare risate per i suoi comportamenti buffi, per poi commuovere con la sua estrema fragilità e le sue paure nella scena successiva. Gran parte degli eventi si rivela legata al suo passato, a un momento di profonda disperazione in cui ha deciso di sfidare la regole della natura per il suo tornaconto – ma finirà per pagare un conto salato. La puntata di riferimento è "White Tulip", una piccola perla della narrazione contemporanea.

La svolta intrapresa dalla seconda stagione (con l'inclusione di mondi paralleli e di civiltà antiche) non disorienta lo spettatore, bensì lo fa entrare gradualmente in una mitologia molto intrigante e ben spiegata gradualmente fino alla fine, senza incappare nel disastro di sceneggiatura quale è stato il finale di Lost. Seguendo la teoria narrativa del fucile di Chekhov, ogni elemento introdotto prima o poi adempierà ad una funzione nel racconto. Certo, in alcuni casi si possono notare incastri narrativi forzati e soluzioni legate a un deus ex machina di cui si farebbe volentieri a meno, ma l'intrattenimento è di qualità e l'intreccio è sempre solido.

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Le musiche del premio Oscar Michael Giacchino regalano inoltre una atmosfera onirica: le accennate note di piano valorizzano i momenti di intimità e di forte drammaticità, e restano impresse nella mente di qualunque spettatore.

Non posso che consigliarvi fortemente di recuperare tutte le stagioni di Fringe: è uno show adulto e maturo, che tratta tematiche esistenziali profonde e allo stesso tempo intriga con la sua componente misteriosa. Nonostante qualche forzatura forse evitabile, vi regalerà dei momenti indimenticabili.

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