Flood, pubblicato da Mondadori per la collana Oscar Ink, è il secondo artbook narrativo di Simon Stålenhag, apprezzato e talentuoso artista svedese conosciuto soprattutto per le sue opere raffiguranti un’ucronica e retrofuturistica Svezia degli anni Ottanta e Novanta, raccolte negli artbook Loop (Tales From the Loop, 2014) e questo Flood (Things From the Flood, 2016) che ci accingiamo a recensire e che ne rappresenta il seguito, sia dal punto di vista narrativo sia da quello delle illustrazioni.
Come sicuramente già saprete, da queste opere è stata tratta una serie TV omonima, Tales from the Loop, disponibile su Amazon Prime Video, e una serie di omonimi giochi di ruolo, entrambi pubblicati dalla casa editrice svedese Free League Publishing (che pubblica anche gli artbook originali di Stålenhag): Tales from the Loop e Things from the Flood, che abbiamo recensito su queste pagine. La fama di Simon Stålenhag si è infine consolidata con il terzo artbook, Electric State (The Electric State, 2018), che curiosamente Mondadori ha pubblicato per secondo. Infatti, i diritti cinematografici di quest’opera sono stati venduti ai fratelli Russo nel 2017; il film risulta essere tuttora in sviluppo e dovrebbe annoverare tra i propri interpreti anche la talentuosa Millie Bobby Brown di Stranger Things.
Come per le opere precedenti di Stålenhag, anche con questo Flood, più che di fronte a un libro illustrato ci troviamo innanzi a un vero e proprio artbook che raccoglie le opere d’arte digitale iperrealiste e retrofuturiste dell’autore, che fondono sapientemente soggetti spiccatamente fantascientifici con ambientazioni suburbane e paesaggi naturali reali o realistici. Questa volta, però, ci troviamo di fronte a una Svezia degli anni Novanta, con un sapore decisamente più angosciante rispetto a quanto mostratoci in Loop.
Sebbene Flood sia perfettamente fruibile a sé, la lettura di Loop è consigliata per meglio comprendere l’ambientazione di questa Svezia degli anni Ottanta e Novanta che mai furono in realtà.
Flood, quando il Loop diventa una minaccia
La Svezia stava uscendo dall’era dei grandi progetti governativi. Laboratori e macchine in rovina erano stati rilevati da imprenditori che avevano saldato le porte e avvolto i macchinari con teli di plastica, e cercavano ora di sfruttare i terreni per altri scopi. Torri radio spuntarono dai boschi dietro le case, e nelle radure i nuovi centri di elaborazione dati ronzanti scioglievano il ghiaccio e la neve. Antenne paraboliche emersero dai muri delle abitazioni, dentro alle quali comparvero bizzarre prese elettriche. I bambini della comunità si riunivano davanti ai computer o agli apparecchi televisivi (che di punto in bianco cominciarono a trasmettere cartoni animati a mezzogiorno).Da qualche parte oltre le recinzioni, al di là dei campi e delle paludi, robot abbandonati vagabondavano come cani randagi. Se ne andavano in giro impazienti e irrequieti, nel vento nuovo che spazzava la campagna. Fiutavano qualcosa nell’aria, qualcosa di insolito.
Forse, se fossimo stati più attenti, l’avremmo percepito anche noi. Avremmo potuto sentire il suono che saliva dalle grotte ormai dimenticate e sigillate nelle profondità: i colpi smorzati di qualcosa che cercava di uscire.
È così che si apre Flood, con un senso di minaccia incombente. Se in Loop tutto era avvolto da un senso di meraviglioso, osservato dal punto di vista degli occhi sognanti di un bambino. Ora, però, il bambino è cresciuto, è diventato un adolescente, con tutto ciò che questo comporta, soprattutto emotivamente. Flood riprende esattamente da dove Loop si era concluso, con la chiusura del Loop, il più grande acceleratore di particelle del mondo, e il passaggio della voce narrante (lo stesso Stålenhag di quel mondo di fantasia) all’età dell’adolescenza.
In Flood, il Loop è chiuso. La vita sta tornando alla normalità, quando la bucolica campagna viene improvvisamente allagata da un'acqua scura scaturita dall'immensa infrastruttura sotterranea abbandonata. Nelle aule e nei cortili delle scuole cominciano a diffondersi voci, storie sull'inondazione e su come abbia portato qualcosa con sé.
Dopo l’alluvione del Loop, infatti, si verifica quello che viene chiamato “il cancro delle macchine”, una strana e misteriosa condizione che influisce sull’elettronica e sulla tecnologia. Questa “malattia tecnologica” fa crescere e germogliare nei dispositivi strane escrescenze organiche e va a influire sul comportamento dei macchinari. E le illustrazioni che ritraggono questo morbo sono meravigliosamente efficaci quanto disturbanti, soprattutto quelle che rappresentano oggetti di uso comune negli anni ’90, come un modem 36K o una TV a tubo catodico, resi grotteschi da escrescenze organiche e bulbi oculari.
La vecchia tecnologia, un tempo così promettente, è ora vista come una minaccia. I robot artificialmente intelligenti degli anni ’80 vengono ora violentemente cacciati, tanto da farli fuggire e radunare tra sé, creando piccole comunità viste con paura e sospetto.
Flood, la perdita dell’innocenza
Flood si apre con il terrore. Con una paura strisciante e in agguato che si approfondisce voltando pagina su pagina, anche se si è consapevoli che tutto andrà a finire per lo più bene. Sia il precedente Loop sia Flood partono infatti dalla presunzione di trovarsi di fronte alle memorie dell’autore, a cui, ovviamente, è sopravvissuto. Nonostante questa consapevolezza, però, ogni pagina diventa sempre più angosciante man mano che si procede fino a quando, alla fine, ogni magnifica e profondamente commovente illustrazione e ogni breve ma incisivo testo di accompagnamento arrivano a essere un vero e proprio pugno nello stomaco. Ogni pagina si carica infatti di un immenso senso di perdita e di disorientante stranezza che si arriva a temere cosa possa arrivare assieme alla pagina successiva. Eppure, non si può smettere di proseguire nella lettura e nell’immergersi nelle vibranti illustrazioni.
In Loop, Stålenhag guardava con gli occhi di un bambino degli anni ‘80i sobborghi color pastello e le città industriali e li riempiva di robot e macchine futuristiche. Quella narrata era una giovinezza fantascientifica e sognante diventata realtà. Anche quando le cose diventavano oscure o paurose, l’io narrante bambino e i suoi coetanei sembravano frugare tra le rovine del passato con una gioia ardente e fantastica, volta alle meraviglie che il futuro avrebbe portato.
In Flood tutto questo non c'è più, quell’innocenza è perduta, spazzata via via dalla pubertà, dal disastro, dalla mortificazione dell'immaginario e dal moltiplicarsi della violenza dovuti dalla crescita. Ora sono gli anni ‘90. L'acqua, marrone e fetida, è salita in superficie dai meandri del Loop per inondare la città, portando con sé incubi e orrori. E nel cortile di un condominio, il narratore Stålenhag punta letteralmente una pistola alla testa di ciò che rappresenta la sua infanzia.
[…] Così, un sabato, mentre mi annoiavo giocando con la vecchia pistola tascabile di mio nonno, ebbi un’idea. Avrei dato all’orso l’ultima possibilità di dimostrare di possedere un raziocinio. Lo portai fuori e lo piazzai a terra dietro a un quadro elettrico. “Povera piccola bestiola” pensai, o forse o dissi addirittura ad alta voce. Tirai la pistola fuori dalla tasca e gliela puntai sulla fronte. Ebbi la reazione che speravo. […]
Questo è tratto da uno dei brevi testi che accompagnano le illustrazioni, intitolato Gli orsacchiotti russi, in cui il narratore è insoddisfatto della reazione che sta ottenendo da un orsacchiotto dotato di intelligenza artificiale usato, regalatogli da suo padre, un presente del tutto inappropriato all'età del ragazzo.
Flood, immagini e parole
Uno dei trucchi più straordinari che Stålenhag è stato in grado di realizzare in Flood è stato il modo in cui è riuscito a evocare un mondo completo e credibile con nient'altro che una manciata di parole e un'unica immagine sorprendente. I suoi dipinti valevano più di mille parole.
Ma in Flood è riuscito in qualcosa che è forse ancora più notevole. In un artbook che tratta assolutamente di robot e teletrasporto, teorie del complotto e ogni sorta di stranezza tanto affascinante quanto inquietante, ciò che rimane maggiormente nella memoria una volta terminata la lettura sono le storie di contorno, come quella straziante del migliore amico dell’io narrante che è costretto da sua madre a trasferirsi con lei in un'altra città. O quella davvero inquietante del compagno di scuola dallo strano e spiacevole odore e che non piaceva a nessuno, che doveva correre a casa ogni giorno dopo la scuola per "dare da mangiare ai suoi draghi.
Quando poi queste storie si fondono alla perfezione con le illustrazioni, si raggiungono vette da brividi. Ne è un lampante e disturbante esempio il dittico formato dall’illustrazione meno strana dell'intero artbook, un'auto della polizia svedese ferma in un isolato sentiero boschivo e con due persone che si intravedono a bordo, e dalla storia sul fidanzato della madre dell’io narrante, un poliziotto, che cerca di avere un terribile discorso da uomo a uomo con lui su perché ha picchiato sua madre. Viene da chiedersi quali fossero i veri intenti dell’uomo e su come si sarebbe comportato a un’eventuale reazione negativa del ragazzo…
Ma in Flood Stålenhag non rinuncia a ricordarci come sappia raccontare una storia potente anche solo attraverso una manciata di immagini magistralmente realizzate, senza spendere nemmeno una parola. È il caso di una serie di dipinti che si dipanano lungo tre doppie pagine e una facciata. Queste mostrano l’io narrante e una ragazza che corrono in un campo di grano; quindi, sorridono e scherzano mentre esaminano due strane macchine in un campo di fiori; e poi un primo piano di lei che consola il ragazzo che piange. Segue un’inquadratura inversa che mostra loro due che si allontanano, e un lago di sangue e ossa umane che viene vomitato fuori dal retro delle strane macchine. Ma dopo questo orrore che parrebbe non lasciare speranza alcuna, segue un’illustrazione più piccola, che occupa una sola facciata, ma che in cui trionfa la vita, rappresentata dai due giovani che si baciano, con altre strane installazioni che stavolta però sembrano quasi proteggerli e nasconderli al mondo.
Questa, è una storia d'amore nel mondo immaginario di Stålenhag. Perché, nonostante i robot e la tecnologia retrofuturista, la storia che l’autore racconta in Flood è profondamente umana, sulla fine e l'inizio, sulla crescita e sulla perdita dell'innocenza che ne è un necessario corollario.
L’arte di Simon Stålenhag
Simon Stålenhag, nato il 20 gennaio 1984, è un artista, musicista e designer svedese specializzato in dipinti futuristici e retrofuturistici digitali incentrati soprattutto sulla campagna svedese.
I dipinti presenti in Flood sono stupendi. Il modo in cui i soggetti e il paesaggio si fondono nella luce magistralmente riprodotta è semplicemente emozionante da osservare. Ogni componente si integra nella composizione naturalmente, non c’è alcun intento di stupire o meravigliare con la tecnologia, questa rimane sullo sfondo, come elemento scenografico di abbacinante ordinarietà. C’è solo ruggine e neve in questo specchio retrofuturista della Svezia reale degli anni Novanta. Anche laddove i protagonisti sono i macchinari affetti dal morbo o i risultati del loro passaggio, non si ha la sensazione di trovarsi di fronte a uno spettacolo alieno, bensì a un evento ordinario a cui le eventuali forze dell’ordine presenti stanno cercando di porre rimedio.
Degni di nota sono anche gli sforzi compiuti dall’autore nella ricerca e nella progettazione di tutti i robot, le strutture e i macchinari avveniristici, ma già in declino, rappresentati. Nulla in queste illustrazioni è lasciato al caso e tutto è frutto di un grande talento che sfocia in opere d’arte di grande qualità sia compositiva sia tecnica.
Stålenhag utilizza un tablet Wacom e un computer per dipingere i propri lavori, che sono realizzati in modo da assomigliare alla pittura ad olio, sforzandosi per far sì che i pennelli digitali si comportino in modo naturale e conservino una certa quantità di “pennellate”. La maggior parte del suo lavoro si basa su fotografie da lui scattate, che sono quindi utilizzate come punto di partenza per una serie di schizzi preparatori.
Dal punto di vista editoriale
Editorialmente parlando, Flood è un prodotto eccezionale e di gran pregio. Tralasciando la bellezza delle opere d’arte dell’autore, di cui abbiamo ampiamento espresso le lodi, è innegabile la qualità del lavoro profuso da Mondadori in questo volume.
Buona la copertina rigida e la rilegatura delle centoquarantaquattro pagine, che risultano essere di una carta opaca di ottima grammatura che fornisce alle immagini la giusta resa cromatica. Per quanto riguarda i testi, non abbiamo rilevato alcun refuso e siamo rimasti più che soddisfatti dalla traduzione.
Conclusioni
Con Flood, Simon Stålenhag alza l’asticella rispetto a quanto mostrato nell’opera precedente e prepara il campo per quanto mostrerà in seguito in Electric State. Grazie a una narrazione più strutturata e completa che fa da perfetto contrappunto ai bellissimi dipinti digitali, Flood è senza alcun dubbio un’opera più matura rispetto alla precedente. E proprio il crescere e perdere l’innocenza della fanciullezza è il tema portante dell’opera. Dal punto di vista artistico, il livello è sempre altissimo e non c’è tavola che non saprà suscitare emozioni nello spettatore.
Se in Loop, le sensazioni erano soprattutto quelle di struggenti nostalgie per un’epoca in realtà mai vissuta, con quest’opera l’autore instilla nel lettore sentimenti di inquietudine se non addirittura di angoscia, in un continuo crescendo in cui la minaccia rimarrà comunque latente e mai manifesta. Il tutto culminerà quindi in una sorta di anticlimax e di ritorno a una normalità dove tutto però è ormai mutato. Ma se la minaccia fosse ancora presente e dormiente?