Non è facilissimo dare un'etichetta finita a L’esorcista del Papa, dato che per il suo nuovo film Julius Avery ha cercato di costruire una storia che prendesse in considerazione i dettami più classici de genere horror, cercando però di limare la situazione con una storia e un protagonista che guardano anche altrove. Gli esorcismi sono, da sempre, uno degli elementi centrali e più abusati quando si tratta di storie dell'orrore. È innegabile che il cinema abbia prodotto così tanti racconti incentrati su demoni e mostri infernali, da aver letteralmente consumato fino al midollo questo tipo d’immaginario. Cosa ci resta, ancora, da raccontare quindi?
Il tratto più interessante, qui, risiede nel legame della pellicola con un personaggio realmente esistito. La fascinazione nei confronti della sua vita e verso le cose che ha fatto ha sicuramente un certo peso sia dal punto di vista della narrazione che del marketing. Padre Gabriele Amorth non è un protagonista d’invenzione per la trama, ma un esorcista realmente esistito che per parecchi anni ha continuato a incuriosire sia gli appassionati che il grande pubblico (sul web è possibile reperire moltissimi video sul suo conto: sia incentrati su quello che faceva, che interviste dalla televisione in cui descrive quello che ha imparato durante il proprio percorso lavorativo).
Va da sé che il basare un film su un vero esorcista ha un certo fascino, anche se, ovviamente, Hollywood e le sue esagerazioni non hanno potuto fare a meno di metterci lo zampino. Quindi, partendo da un discorso estremamente delicato come quello delle possessioni (argomento che negli anni è stato affrontato da tutti i punti di vista, con l’intervento sia di teologi che di psichiatri) si sviluppa una trama che ricorda tantissimo storie dell’orrore al pari di Van Helsing (che potete recuperare su Amazon) et similia.
L’esorcista del Papa: quando l’ego di un uomo ha a che fare con la dimensione del divino
L’esorcista del Papa s’ispira ai libri di memorie Un esorcista racconta e Nuovi racconti di un esorcista, scritti dallo stesso padre Amorth, e racconta una storia all'apparenza estremamente classica, ricordando inevitabilmente il classico cinematografico L’esorcista. La trama si sviluppa lungo due strade precise e distinte che in seguito s’incontreranno. Da una parte troviamo padre Amorth (Russell Crowe) che, pur essendo il Capo Esorcista del Vaticano si trova ad affrontare un certo tipo di ritrosia da parte dei suoi superiori all’interno della chiesa Cattolica. Di base i tempi moderni hanno reso quasi tutti cinici e increduli nei confronti delle possessioni e degli esorcismi. Questo clima negativo si scontra con lo stesso ruolo di Amorth fino a metterlo in dubbio (la classica costruzione dell’eroe arrogante e sorpassato che non vuole dimostrare niente a nessuno, ma che al tempo stesso viene messo sotto esame dai suoi superiori).
Dall’altra parte, invece, troviamo una famiglia (composta da una madre e i suoi due figli) che si è da poco trasferita in una vecchia e grande villa in Spagna, senza conoscerne i sopiti pericoli. Il trasferimento e i lavori di restauro, infatti, risveglieranno qualcosa dal passato, che non tarderà a prendere il controllo del piccolo Henry (Peter DeSouza-Feighoney). Questa volta, però, non si tratta né di una psicosi e né di una possessione come le altre, ma di una presenza molto più oscura, potente e pericolosa.
Combattere e saper riconoscere i propri limiti
Come in tutte le storie più classiche, anche ne L’esorcista del Papa ci troviamo davanti a un eroe apparentemente sicuro di sé, che però cela alcuni importanti tormenti nel suo profondo. Un protagonista tormentato dal suo passato, quindi, che si ritroverà a fare i conti con qualcosa che non ha alcuno scrupolo a leggerlo dentro. Il regista, quindi, che cosa fa? Costruisce una brutale e imprevedibile possessione, cercando continuamente di ampliarne la portata su tutti i protagonisti in gioco. Questo avrà un impatto interessante sull’intera narrazione, sviluppandola moltissimo sia dal punto di vista estetico ed horror, che interiore, rendendo visibili i tormenti di ogni personaggio, con uno stile piuttosto semplice e non troppo originale, ma comunque apprezzabile.
L’esorcista del Papa non è solamente un film su un esorcismo, ma una storia che vuole approfondire i crucci interiori dell’animo umano, servendosi di una situazione abbastanza scialba e prevedibile, per poi cercare d’ibridarla all’horror d’avventura e al giallo, imbastendo un mistero che, se letto nel modo giusto, tenta anche di giustificare uno dei periodo più neri che la chiesa Cattolica abbia mai vissuto.
Momenti cringe e CGI discutibile
Nel suo insieme la storia proposta dal film è anche interessante. Purtroppo, però, ci sono troppe cadute di stile lungo il percorso dai tratti cringe che rovinano l’immersione degli spettatori. Prima fra tutte l’interpretazione di Peter DeSouza-Feighoney (il bambino posseduto) che in certi momenti risulta veramente poco credibile e per nulla spaventoso, strappando anzi qualche risata nervosa. Con lui anche l’intera caratterizzazione della sua famiglia e del posto in cui si sviluppa gran parte della storia, tutto molto abbozzato. L’idea di costruire l’azione in una vecchia villa abbandonata è estremamente banale e fin troppo tipica del genere, come anche le dinamiche della possessione e le cose che fa il demone (i richiami a L’esorcista da citazioni diventano svolte prevedibili in alcuni momenti).
Curiosa, invece, la svolta interiore dei protagonisti appartenenti al mondo della chiesa, qui mai perfetti ma spezzati dentro da una serie di errori che hanno commesso anche a discapito di quello che rappresentano. L’interpretazione più memorabile resta quella di Russell Crowe (anche se accompagnata da un’accozzaglia di stereotipi italiani tipici del punto di vista americano); il suo padre Amorth, pur essendo il classico eroe arrogante e tormentato, regge bene l’intera durata del film, elevando anche i momenti più prevedibili con le sue battute e una caratterizzazione che sa come farsi sentire (da non sottovalutare anche l'apporto di Franco Nero nelle vesti papali).
Uno dei tasti più dolenti de L’esorcista del Papa è la CGI fin troppo abusata e presente. Senza fare spoiler, il film da un certo momento in poi prende una piega gialla e mistery, inserendo una serie di elementi che si portano dietro un’esagerazione grafica che avrebbero potuto tranquillamente evitare, specialmente nel finale.
Concludendo L’esorcista del Papa è un film quasi per nulla originale nel suo insieme, una storia che sicuramente intrattiene, tendendo a non rinnovare il suo genere di appartenenza, pur cercando d’ibridarlo a una storia apparentemente molto ampia. I rimandi storici, l’impegno nell’approfondire e giustificare alcune ipocrisie della chiesa, e un certo tipo di umorismo, rendono abbastanza particolare la visione di una pellicola che avrebbe potuto dire molto di più.