Enola Holmes 2, recensione: il ritorno della sorella di Sherlock Holmes

Enola Holmes 2, Millie Bobby Brown torna a indagare nella Londra di fine '800

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a cura di Manuel Enrico

Essere associati indelebilmente a un personaggio rischia di essere un ostacolo alla carriera di un attore, pericolo che hanno affrontato nomi celebri come Sean Connery o Harrison Ford, una scomoda eredità che sembrava esser ricaduta anche sulle spalle della giovane Millie Bobby Brown. Apparentemente condannata a esser eternamente la Undi(ci) di Stranger Things, la promettente attrice britannica ha trovato modo di far trapelare la sua versatilità con Enola Holmes, produzione marchiata Netflix dedicata alle avventure della sorella minore del celebre investigatore creato da Sir Arthur Conan Doyle. Un tentativo lodevole di mostrare un’altra prospettiva del celebre detective, che ha riscosso un successo sufficiente a spingere il network a realizzare Enola Holmes 2, secondo capitolo di questa versione teen del mito di Holmes.

Le declinazioni del mito di Holmes sono state svariate, nel corso dei decenni, arrivando in diverse occasioni a stuzzicare la curiosità di un pubblico adolescenziale. Basterebbe citare Piramide di Paura (Young Sherlock Holmes) di Barry Levinson, piccolo cult del 1985 che riscrive il mito stesso di Holmes, o Gli Irregolari di Baker Street, deludente proposta di Netflix basata sulle figure dei piccoli aiutanti di Holmes citati nei romanzi di Conan Doyle. Lavorare su un personaggio iconico come l’investigatore di Baker Street e porlo sotto una nuova luce non è certo semplice, ma quando Nancy Springer ha deciso di dare vita alla giovane Enola Holmes per la sua serie di romanzi The Enola Holmes Mysteries non si è cimentata solamente con lo scomodo paragone del celebre fratello della sua eroina, ma ha gettato le basi per un diverso approccio alla sacralità del detective per eccellenza.

Enola Holmes 2: Millie Bobby Brown torna a indagare nella Londra di fine '800

Il duo Harry Bradbeer (regista) e Jack Thorne (sceneggiatore) sembrano avere fatto tesoro della visione della Springer, adattando la vita di Enola Holmes alla dimensione cinematografica con particolare attenzione. Pur avendo già messo in mostra il talento potenziale di Millie Bobbie Brown, il primo capitolo della vita cinematografica di Enola Holmes risultava incompleto, lasciando la sensazione di trovarsi davanti a un primo passo all’interno di un mondo più ampio. La vita di Enola viene raccontata in modo da far emergere una voglia di emancipazione che risuona delle tensioni sociali del periodo, in cui le suffragette guidate da Emily Punkhurst cercavano di fare progredire la figura femminile nella società, dando alla giovane Holmes una caratterizzazione intrigante, per quanto ancora acerba. Sbiadito anche il rapporto con i fratelli maggiori Sherlock (Henry Cavill) e Mycroft (Sam Clafin), abbozzato e in attesa di sviluppi, alla stregua della complessa con la madre Edora (Helena Bonham Carter), anticonformista e libera in una società rigida.

Le innegabili potenzialità di Enola Holmes non potevano rimanere insondate e la scelta di Netflix di dare un’altra possibilità alla giovane investigatrice è stata una scelta felice. A risultare maggiormente ispirato è Throne, che sembra avere compreso come il voler intrecciare slanci di critica sociale al racconto indirizzato a un pubblico prevalentemente adolescenziale dovesse cercare nuovi punti di forza, portando quindi Enola a scontrarsi con i veri ostacoli di essere un personaggio borderline: troppo altolocata per essere presa sul serio dagli abitanti delle slums londinesi e troppo ribelle per esser accolta tra le fila dell’upper clas.

Enola, sulla scia del successo del suo primo caso, ha deciso di creare la propria agenzia investigativa. Sicura di poter competere con la fama del più celebre fratello, Enola ben presto di scontra con la dura realtà, scoprendo come una giovane donna non sembra ispirare fiducia, incassando anche la delusione di venire approcciata nella speranza di poter arrivare a Sherlock. In una società in cui essere giovane e donna sembra andare a detrimento delle sue capacità, la speranza di avere un futuro per Enola ha l’aspetto di una giovane, impiegata in una fabbrica di fiammiferi, che la ingaggia per trovare Sarah, la sorella misteriosamente scomparsa.

Sfruttando un evento storicamente avvenuto (lo sciopero delle fiammiferaie londinesi del 1888), Thorne costruisce una storia in cui guidare con garbata furbizia gli spettatori in un’indagine dai toni divertenti e avventurosi. Rivolgendosi principalmente a un pubblico young adult, Thorne abbandona, come per il precedente capitolo, un approccio narrativo alla Conan Doyle, in cui il lettore era sempre forzatamente un passo indietro alle intuizioni di Holmes, preferendo coinvolgere lo spettatore in una vicenda dinamica e appassionante, in cui gli indizi vengono rivelati con una meccanica convincente. In tal modo, non solo si riesce a catturare l’attenzione degli spettatori, ma si ha modo di lasciare emergere la fragilità di una donna ancora acerba ma capace di non cedere, intenzionata a dimostrare il proprio valore, rompendo schemi e mostrando una via differente.

Obiettivo ottenuto grazie a una Millie Bobbie Brown che si rivela nuovamente una delle attrici più promettenti della sua generazione, ancor più convincente se ascoltata in lingua originale. Passare dal ruolo drammatico di Undi a quello più leggero e dinamico di Enola consente all’attrice di mostrare una invidiabile poliedricità, caratterizzata da una recitazione intensa nei momenti più tesi del film e lasciando emergere una frizzante comicità all’occorrenza, dando vita a un personaggio fresco e più concreto rispetto alla sua precedente apparizione. Merito anche di una scrittura che premia la vivacità di un’adolescente, che trova nella regia di Bradbeer piena libertà, giocando con lo spettatore con una convincente rottura della quarta parte (mutuata per tempismo e meccaniche da Fleabag), mentre il ritmo rapido e spigliato ricorda non poco l’approccio di Guy Ritchie per il suo duetto holmesiano con Robert Downey Jr. come Holmes. Un piglio narrativo diverso che riesce anche a distaccarsi dalla manichea rappresentazione dell’anima ribelle di Enola del primo capitolo, resa sin troppo forzatamente, gestendo questo tratto essenziale dell’alter ego di Millie Bobbie Brown in modo più accorto e calato all’interno di una dinamica sociale vivida e avvolgente, inserita in una cornice urbana che ci porta a sentirci realmente nella Londra di fine ‘800.

Una giovane investigatrice dal radioso futuro

Dove Enola Holmes 2 mostra una certa fragilità è nel dare risalto alla figura di Holmes. Nel primo capitolo, la presenza da deus ex machina di Sherlock Holmes poteva scusare una sbiadita rappresentazione del detective, lasciando la speranza di una sua maggior definizione nel seguito, ma nuovamente ci ritroviamo davanti a uno Sherlock Holmes impalpabile e a tratti forzato. Pur accettando una lecita riscrittura del canone dell’investigatore per adattarlo a un racconto con una grammatica narrativa più libera e avventurosa, l’interpretazione di Cavill sembra viziata da una volontà di rendere il suo Holmes forzatamente lontano dall’originale cartaceo, con una netta dissonanza tra l’approccio umorale e la fisicità del personaggio, risultando stonato e fuori luogo nella storia. Una presenza obbligata, quella di Sherlock, ma che si sarebbe potuto valorizzare diversamente, giocando maggiormente sulla rivalità fraterna con la sorella minore e distaccandosi maggiormente dall’originale di Conan Doyle, anziché tentare un’insipida via di mezzo tra rispetto del canone e innovazione.

Pur essendo pensata per un pubblico di giovani spettatori, Enola Holmes 2 è un film godibile anche per un pubblico più maturo, che può apprezzare l’attenta ricostruzione del periodo storico e la ricercata cura dei dettagli, offrendo uno spettacolo visivamente appagante. Le buone impressioni avute dal primo capitolo delle avventure della giovane investigatrice trovano concretezza in Enola Holmes 2, sia per la costante maturazione di Millie Bobbie Brown come attrice, sia per una scrittura più consapevole dei tratti specifici del personaggio, confermando come Enola Holmes abbia tutte le potenzialità per essere una saga degna di nota.

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