Non è una novità in casa Netflix la necessità di avere costantemente nuove produzioni che spingano gli abbonati a rimanere fedeli al servizio di Reed Hastings sia uno dei punti deboli del servizio stesso. in un periodo in cui la concorrenza spietata non sembra saziarsi di sporadici cult come Stranger Things o di più contenuti ma convincenti produzioni come The Umbrella Academy, per tenere testa ai diretti concorrenti Netflix sembra aver trovato nella quantità, anziché nella qualità, la sua rotta, una scelta che ha come ultima conseguenza l’arrivo nel catalogo del servizio streaming di End of the Road, nuovo film Netflix original disponibile dal 9 settembre.
La critica alla qualità di alcune, forse troppe, delle recenti produzioni Netflix sembra non esser stata recepita. Anche attese produzioni come Grey Man e Red Notice hanno lasciato trapelare una certa insicurezza nella selezione delle proposte con cui arricchire un palinsesto che sembra mostrare poca qualità, spesso soffocata da un’eccessiva abbondanza che sacrifica volentieri la qualità in nome di una soverchiante offerta che annebbi lo spettatore. End of the Road, per quanto film abbastanza godibile, risulta piagato da questa prassi del servizio streaming, vanificando la buona performance di una splendida Queen Latifah inserendola in una storia banale e viziata da un punto di vista forse sin troppo marcato.
Netflix tenta la carta del thriller on the road con End of the Road
Maggie (Queen Latifah) ha assistito alla lenta dipartita dell’amato marito, morto di cancro nonostante le sue amorevoli cure. Animata dalla convinzione di fare sempre la cosa giusta, Maggie ha offerto al marito le migliori terapie e cure che potessero permettersi, arrivando a indebitarsi e rendendo, alla morte del consorte, necessario lasciare la loro casa e costruirsi una nuova vita altrove. Ad accompagnarla, i due figli, la maggiore, Kelly (Mychala Lee), e il piccolo Cam (Shaun Dixon), e il fratello Reggie (Chris ‘Ludacris’ Bridges), pecore nera della famiglia, sempre in cerca di un espediente comodo per raggranellare qualche soldo in più.
Lasciare la casa di famiglia per cercare un nuovo inizio è la speranza che spinge Maggie a intraprendere una traversata della nazione, una scelta che non è solo ricerca di una ripartenza, ma anche il tentativo di lasciarsi alle spalle un dolore inguaridibile. End of the Road nasce come una sorta di viaggio metaforico, l’abbandono di un passato di sofferenza in favore di un futuro più comprensivo e speranzoso. Come facilmente intuibile, questo road movie non tarda a prendere un’altra direzione, quando la famiglia, dopo aver assistito a un brutale omicidio, diventa il bersaglio di un cartello criminale che non perdona al gruppetto di aver rubato una borsa contenente del denaro. Un gesto sconsiderato che si tramuta nel seme di un incubo, una corsa contro il tempo con in palio la vita della famiglia di Maggie.
La prima parte del film si concentra proprio sulla parte emotiva della vicenda, con una delicata e ammaliante costruzione del momento della partenza. Rimpianti e rimorsi si intrecciano negli sguardi rammaricati di Maggie, che non riesce a staccarsi dalla casa dove ha vissuto la sua vita col defunto marito, o nell’ostinazione del piccolo Cam, che non riesce ad accettare di abbandonare il solo luogo che lo faccia ancora sentire vicino al padre. Una dinamica emotiva forte e convincente, frutto sia della scrittura di David Loughery che della sensibilità di Millicent Shelton alla regia. Il nostro occhio indugia con calma sulla casa vuota, vediamo un’addolorata Queen Latifah farsi forza davanti ai suoi cari per poi mostrare cedimento nella solitudine della camera dove il marito è spirato.
Questa cura nel trasmettere l’emotività dei personaggi, nel definire la loro anima, viene però rapidamente meno quando la storia sembra assumente un’altra natura. Da dramma familiare, si passa repentinamente al thriller on the road, con una inspiegabile volontà di forzare la percezione che ogni persona incontrata sia un potenziale pericolo. La contrapposizione razziale tra la famiglia di Maggie, e il retrogrado ambiente sociale dell’interno degli States, volutamente etichettato nel film come violento e razzista, rasenta il machiettistico, anziché calarsi in un’analisi socio-ambientale più ragionata, come abbiamo visto in pellicole come The Green Book o Elegia americana.
Stupisce che un autore del calibro di Loughery, che vanta un curriculum vitae di tutto rispetto (Passenger 57, Money Train, Star Trek: L’ultima Frontiera), manchi di cogliere il giusto equilibrio delle diverse componenti di questo thriller on the road. Se da un lato riusciamo a percepire lo spirito di famiglia che lega Maggie ai figli e al fratello Reggie, dall’altro non si può ignorare come il casus belli della componente thriller sia stantio, utilizzato innumerevoli volte in passato (basterebbe citare Non è un paese per vecchi), al punto che ogni presunto plot twist legato a questo misterioso furto di denaro dalla scena del crimine non stupisce.
Colpa di una scrittura poco convinta, che tende a scivolare nel macchiettistico dipingendo una contrapposizione sociale sin troppo marcata per esser credibile, al punto che ogni costruzione narrativa frana sotto questo soverchiante elemento, che viene sviluppato in un’ottica unidimensionale, in cui il bianco è il cattivo per antonomasia, senza sfumature ma reso un archetipo assoluto che perde facilmente di credibilità. Dovendo gestire una storia che già in fase di concezione manca di originalità, questa ulteriore assenza di flessibilità e l’imposizione di un ritmo narrativo serrato e irreale inficia definitivamente End of the Road, che diviene, a partire dalla metà del film, scontato e banale, mancando di avvincere lo spettatore, senza alcuna soluzione narrativa stupefacente che possa dare una scossa di adrenalina al pubblico. Lo dimostra la scarsa attinenza tra le diverse componenti del film, in particolare tra i dialoghi e le azioni dei personaggi, che crea delle aspettative puntualmente disilluse, andando ad erodere ulteriormente quel poco di empatia che si prova per i protagonisti. Quale sarebbe il senso di imbastire un intero dialogo sul fatto che i due giovani protagonisti hanno imparato dal padre militare a cacciare e combattere, se poi per tutto il film a ogni occasione queste presunte capacità non emergono?
Una trama prevedibile, tra stereotipi e assenza di plot twist
Una deludente interpretazione di una storia che poteva contare sull’interpretazione di una Queen Latifah convincente nel ruolo della madre disperata e pronta a tutto, specialmente nella prima parte di End of the Road, dove la sua ricerca di una nuova vita e la creazione di un legame con i figli viene sottinteso con mestiere da Loughery e Shelton. Il tutto nonostante la presenza di un Chris ‘Ludacris’ Bridges sempre più schiavo del suo personaggio in Fast & Furious, al punto che il suo Reggie risulta poco sensato nelle dinamiche del film, utile solo come deus ex machina per dare vita all’inseguimento e per mostrare un tardivo momento di eroismo che non cancella la debolezza del resto del film.
La pecca principale di End of the Road è una scrittura poco coraggiosa, che preferisce rimanere su un terreno sicuro senza osare nuove direzioni, preferendo giocare sul sicuro ma andando incontro alla sensazione di un gigantesco dejà vu, abbattendo l’interesse degli spettatori più esigenti. Un peccato, considerato l’ottima regia di Millicent Shelton, attenda a focalizzarsi non solamente sui protagonisti ma anche sui dettagli dell’ambientazione, con movimenti di camera che enfatizzano a dovere i momenti topici della storia.
Al termine della visione, The End of the Road si rivela un film come tanti del palinsesto di Netflix, animati da idee promettenti che vengono pesantemente ridimensionati in fase di realizzazione, andando a ingrossare il catalogo del servizio streaming, traboccate di prodotti che un tempo avremmo definito, con non poco disprezzo, direct to video. Apparentemente, nelle nuove meccaniche dell’entertainment il direct to stream rischia di diventare il ricettacolo per tutte le produzioni che non arrivando al grande schermo, evidentemente per ottimi motivi, trovano una seconda occasione nelle piattaforme streaming. Che sia una salvezza o una definitiva condanna all’oblio, resta tutto da decidere.