È proprio Steven Spielberg a rilanciare con forza questa multiforme voglia di cambiamento con Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) facendo il punto della situazione su una fantascienza in cui l'alieno diventa sempre meno mostruoso e sempre più sensibile a qualsiasi sforzo sul piano cooperativo e comunicativo. Per questa via i mostri (tipici delle narrazioni popolari folkloristiche a qualsiasi latitudine) escono dalla dimensione del racconto infantile per agganciare un piano narrativo più multiforme, più ricco di metafore antropologicamente e socialmente complesse.
E arriviamo al 1982. ET è un alieno pacifico, rimasto solo sulla Terra a causa di un inconveniente non programmato. Qui la diffidenza nei confronti dell'alieno viene edificata in maniera molto semplice a partire dal presunto vantaggio tecnologico che consente a queste creature di effettuare viaggi interstellari. Basta la presenza a rendere ET un nemico dei terrestri.
Anche qui l'immaginario spielberghiano riflette sagacemente gli echi di paure politiche anni '50 legate ai giochi delle superpotenze geopolitiche USA e URSS che si rincorrevano in una pazza corsa tecnologica. Solo che nel 1982 l'ombra sovietica germina in un background diverso dal maccartismo. Siamo vicini allo scandalo Watergate e alle dimissioni del presidente Nixon. Per gli americani è un momento di forte disillusione nei confronti della classe dirigente. In E.T. l'extraterrestre l'inedita alleanza tra i bambini e l'alieno ci parla di una visione più complessa e articolata dell'incontro tra le civiltà che tiene conto proprio delle crisi istituzionali.
Da notare il modo in cui Spielberg sceglie di mostrare gli adulti: raramente ne viene mostrato il volto, solo dettagli oppure ombre. Lo stesso regista dichiarò di aver cercato con insistenza lo stile dei cartoons anni Quaranta targati Warner ed MGM. Grandi disegnatori come Chuck Jones, Friz Freleng e Tex Avery "sceglievano piccoli personaggi - soprattutto cani e gatti - ed escludevano gli adulti: dei quali, magari, si scorgevano in primo piano soltanto le mani, le scarpe, le gambe... Volevo diventare uno di questi bambini: non un adulto che parla ai bambini attraverso gli adulti!". Qui però il comico dei cartoons viene rovesciato in suspense e dramma.
Con la scena in cui la piccola Gertie sottopone ET a un pasticciatissimo travestimento, Spielberg rappresenta molto bene la capacità dei giovanissimi di sorvolare l'inverosimiglianza di certi effetti visivi e di certe rappresentazioni "adulte" della realtà per fiondarsi con entusiasmo in una dimensione avventurosa che sembra arrivare al cuore delle cose e moltiplicare le possibilità percettive umane. Una dimensione avventurosa evidentemente necessaria per imparare a mettersi in gioco e a comunicare realmente con altre civiltà. Non importa se alieni, pellerossa o sovietici. Le figure degli adulti e degli agenti governativi sono spesso silhouette che si stagliano minacciose sullo sfondo, quasi impossibili da decifrare con chiarezza. Sono questi adulti, con la loro etica ambigua, i veri mostri perché ambasciatori disfunzionali di una società pronta a prendere una virata distopica.
Da una parte il senso di libertà proprio della space-opera, rimbalzando dai giornalini pulp e dai fumetti anni Cinquanta, ha alimentato l'immaginario di Spielberg ed in particolare il suo approccio fanciullesco al "sense of wonder". Ma proprio nelle inquadrature soggettive più intense di E.T. l'extraterrestre sembra evidente il fatto che alla fantascienza cominci a stare stretto il puro e semplice utilizzo del "sense of wonder" per raccontare storie. Il film di Spielberg mette sul piatto solidi argomenti di riflessione antropologica e le prime impressioni sulla nascente cultura elettronico-digitale dei videogiochi e degli effetti visivi computerizzati.