Pittore, fotografo, regista, sceneggiatore, attore, musicista, montatore, scenografo, scrittore. In campo artistico, probabilmente non esiste disciplina in cui David Lynch non si sia cimentato. Il poliedrico autore, oggi, 20 gennaio 2021, spegne bene settantacinque candeline. Un traguardo importante che ci permette di ripercorrere brevemente la sua carriera di cineasta. Da sempre attento a creare una personalissima cifra stilistica, il cinema di Lynch è qualcosa di estremamente affascinante. O lo si ama, o lo si odia: impossibile restare indifferenti.
Vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1990 con Cuore selvaggio, Leone d’oro alla carriera a Venezia nel 2006 e da pochissimo, proprio lo scorso anno, vincitore anche del premio Oscar alla carriera, David Lynch ha costantemente lasciato il segno all’interno della Storia del cinema, scuotendo gli occhi e il cuore di milioni di appassionati in tutto il mondo lungo diverse decadi.
Considerato da molti critici e testate autorevoli come uno dei registi più importanti dell’era moderna, Lynch non ha mai smesso di stupire e di provocare con il suo personalissimo sguardo. Tanto che anche recentemente, durante la scorsa primavera in cui dovette fare i conti con il lockdown mondiale causato dalla recente pandemia, il regista si è dato da fare con dei video caricati su YouTube basati sulle previsioni del meteo.
Pur non avendo diretto un numero sconsiderato di lungometraggi (sono dieci ad oggi), non è semplice cercare di fare ordine nella sua filmografia andando a isolare i lavori più iconici. Tutti i film, per un motivo o per l’altro, hanno contribuito a dare una nuova forma al cinema, a cambiare lo sguardo di questa industria e a proporre qualcosa di nuovo, di sensazionale. Tuttavia, per un breve ripasso o per iniziare a muovere i primi passi nell’universo di questo autore, ecco una breve guida in ordine cronologico con i cinque lavori più interessanti e indimenticabili diretti dal nostro “festeggiato”.
5 Film di David Lynch
THE ELEPHANT MAN (1980)
Tornato nelle sale lo scorso anno, con una copia restaurata in occasione del suo quarantesimo anniversario, The Elephant Man è probabilmente la favola più magica e umana della filmografia di Lynch. Prendendo le mosse da una straziante storia vera, il film affronta il tema dell’amicizia attraverso la storia di un dottore (Anthony Hopkins) che cerca di accogliere e riabilitare nella società un uomo deforme e bollato da tutti come un mostro da cui stare alla larga (John Hurt). Oltre l’apparenza, si scopre qualcosa di unico e indimenticabile. Potrebbe essere questa la morale di un film che non solo sposa lo sguardo degli ultimi, ma non perde l’occasione per criticare e accusare le nefandezze di una società cinica e spietata dalla quale sarebbe meglio stare alla larga. La fotografia basata su un elegantissimo bianco e nero, curata da Freddie Francis, è un valore aggiunto capace di dare al film la giusta cornice estetica per raccontare una storia perennemente a cavallo tra luci e ombre, vita e morte, condanna e redenzione.
DUNE (1984)
Stiamo tutti contando i giorni che ci separano dalla visione del remake diretto da Denis Villeneuve e interpretato, tra gli altri, da Timothée Chalamet, Oscar Isaac e Josh Brolin. Eppure è doveroso citare il film originale non solo per un confronto con l’opera imminente, ma anche perché si tratta del più grande insuccesso e la più grande insoddisfazione nella carriera di Lynch. Giovanissimo e con alle spalle solamente due film decisamente più intimi, il regista viene incaricato di realizzare un blockbuster di fantascienza molto atteso (il romanzo di partenza scritto da Frank Herbert era già assai amato e conosciuto all’epoca) e dall’ingente produzione.
Lynch non ha il pieno controllo sulla materia ma accetta con la promessa poi di poter girare qualcosa di decisamente più personale. Il film fu un fiasco al botteghino anche se successivamente divenne un piccolo cult e trovò una sorta di nuova vita nel mercato dell’home video. Nel cast, particolarmente insolita ma apprezzata la presenza del cantante inglese Sting. Il film fu prodotto da Dino De Laurentiis mentre gli enormi mostri del deserto vennero realizzati e animati da Carlo Rambaldi, la mente dietro al pupazzo dell’iconico extraterrestre visto nell’E.T. di Steven Spielberg.
I SEGRETI DI TWIN PEAKS (1990-2017)
Non solo cinema. David Lynch ha anche avuto modo di anticipare la grande componente autoriale delle serie televisive tanto in voga in questi ultimi anni. Le tre stagioni del suo Twin Peaks sono tra i prodotti televisivi maggiormente apprezzati e lodati dalla critica specializzata. Esordendo nel 1990, lo show si interrompe dopo due stagioni con la promessa (da parte dei protagonisti) di tornare in scena dopo venticinque anni. Un lasso di tempo diegetico in cui ambientazione, protagonisti e lo stesso regista sono effettivamente invecchiati per tornare senza maschere nel 2017 con quella che ancora oggi viene considerata come una delle operazioni audiovisive migliori del nuovo millennio. Sappiamo che è davvero difficile resistere alla tentazione, ma per una corretta fruizione delle tre stagioni, bisognerebbe guardare l’ultima a distanza di venticinque anni dalle prime due.
UNA STORIA VERA (1999)
Apparentemente lontano dalla filmografia del regista, Una storia vera è un piccolo gioiellino. Facilmente accessibile per tutte le fasce di età (il film venne sorprendentemente prodotto dalla Disney che, accanto al nome di Lynch, dava vita a un accostamento davvero sconsiderato), la pellicola è tratta da una storia vera (proprio come suggerisce il titolo italiano) per celebrare un inno alla lentezza. Il racconto prende infatti le mosse da un fatto di cronaca avvenuto nel 1994, quando un contadino di 73 anni percorse a bordo di un trattorino rasaerba circa 400 chilometri lungo sei settimane di viaggio.
Il film è quindi una sorta di road movie dell’anima dove tutto viene raccontato con grande passione e sincerità. Probabilmente si tratta del film più genuino tra quelli diretti da David Lynch, una sorta di ritorno alla purezza degli esordi con una favola magica tanto semplice quanto potente. Richard Farnsworth chiude la sua carriera e la sua vita proprio con questa interpretazione. Morirà infatti un anno dopo il termine della lavorazione lasciando così un testamento eccellente da un punto di vista cinematografico.
https://www.youtube.com/watch?v=WkrIybnnb24&list=PLTPQcjlcvvXExy6Ti4TccyRvwntL00b2w&index=2MULHOLLAND DRIVE (2001)
Ultimo ma non ultimo, Mulholland Drive è secondo molto il miglior film mai concepito dall’autore statunitense. Un sogno, o meglio, un incubo a occhi aperti. Seguendo la storia di un’aspirante attrice che giunge a Los Angeles in cerca di fortuna (una strepitosa Naomi Watts), il film conduce lo spettatore dietro la vetrina fatiscente e irresistibile di Hollywood. Il cinema getta la sua maschera per mostrarsi non tanto come una fabbrica di sogni ma una macchina da guerra che rischia di inglobare al suo interno molte anime abbagliate e ossessionate dalla propria ambizione.
Mulholland Drive è anche l’occasione per Lynch di tirare un po’ le somme della sua carriera e portare a maturazione tutta una serie di tematiche e ossessioni che avevano trovato spazio nella sua filmografia, come il doppio, l’entropia, l’incubo e la maschera dell’apparenza. Inizialmente il film era stato pensato per essere l’episodio pilota di una serie televisiva. I committenti però, insoddisfatti del girato, temettero un flop e abbandonarono il progetto. Lynch così ebbe modo di allungare lo script e concepire un lungometraggio a sé stante.
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