Da rivalsa a propaganda: la boxe da Rocky a Creed

I film di Creed e l'utilizzo degli elementi sportivi, in termini di narrazione, è diverso da quanto avveniva con Rocky; lo avete notato?

Avatar di Nicholas Massa

a cura di Nicholas Massa

È impossibile guardare i film della serie Creed senza fare neanche un paragone con le storie di Rocky, anche perché si tratta di sequel spin-off della medesima storia, con il coinvolgimento diretto di Sylvester Stallone. Anzi, è stato proprio questo specifico dettaglio a spingere le persone in sala con la prima pellicola, incuriositi da quello che avrebbero potuto tirar fuori da una storia del genere.

Ebbene i film di Creed (i primi due li trovate su Amazon), pur attingendo tantissimo da quelli di Rocky, specialmente dal punto di vista strutturale, hanno sempre cercato di distinguersi in qualche modo, delineati da una scrittura che fin dall’inizio si è concentrata sulle imperfezioni dei personaggi in gioco, senza troppo idealizzare la loro specifica situazione in relazione allo sport del pugilato. La modernizzazione d’intenti si fa sentire tutta in queste storie che, differentemente da quelle uscite negli anni ’70, ’80 e ’90, cercano innanzitutto una credibilità in quello che accade sia fuori che dentro al ring, distribuendo l’importanza di quanto narrato in modo abbastanza equilibrato.

Nella parabola ascendente di Adonis Creed (Michael B. Jordan) troviamo moltissimi degli elementi presenti anche in quella di Rocky, pur se in questo caso la situazione è incorniciata da una rabbia e sofferenza che rendono tutto più nero e oscuro, in un certo qual modo, e la boxe stessa non si limita ad essere un mezzo attraverso cui elevarsi all’interno della società, ma un vero e proprio elemento centrale nella ricerca di se stessi e di quello che si vorrebbe o dovrebbe essere.

Da rivalsa a propaganda: la boxe da Rocky a Creed

Tutti i film di Rocky parlano della boxe e della crudeltà cui puoi incorrere quando sali sul ring, specialmente quando lo si pratica a livelli di professionismo molto alti. I film di Creed prendono questa dinamica e la trasformano in una serie di sequenze molto più dure e dirette rispetto al passato, con questo sport che gioca sempre un ruolo centrale nella narrazione, ma al tempo stesso viene spogliato di qualsiasi orpello epico, o filtro. Gli incontri, nei vari Creed, molto sono pieni di sangue e di dolore fisico ripreso al dettaglio rispetto a quanto avveniva in Rocky: denti rotti e staccati sul posto, medici sul ring che cercano di sistemare quello che possono prima della fine dell’incontro, con una fisicità molto più diretta rispetto al passato, pronta ad evidenziare ulteriormente la violenza in atto. Anche Adonis, come Rocky, non esita a salire sul ring, anche se il pericolo cui va incontro di volta in volta è più palese che mai davanti agli occhi del spettatori, molto di più rispetto al passato.

Inoltre in tutte e tre le storie di Creed vediamo questo sport al servizio di tematiche molto chiare e specificamente legate al protagonista e a quello che accade intorno a lui. Differentemente dal passato, quindi, non si tratta solamente di sport, sponsor, soldi e rispetto, ma di uno strumento narrativo che si muove di pari passo con l’evoluzione stessa degli eventi in atto.

La storia del primo Creed è sia molto semplice (in termini strutturali) che piuttosto complessa dal punto di vista emotivo e psicologico. Qui ci viene introdotto il giovane protagonista, il figlio del leggendario Apollo, che sente il bisogno di trovare se stesso, sentendosi strettamente legato all’ombra del padre, un’ombra molto ampia e difficile da scrollarsi di dosso. Lui, però, è determinato a seguire le sue orme, attratto dalla boxe in maniera viscerale, cercando al tempo stesso di capire chi è veramente. Una storia di formazione quindi, attraverso uno sport estremamente violento, fatta di conflitti non solamente sul ring ma anche fuori, fra le mura domestiche, e negli occhi di un ragazzo che deve cercare di realizzare cosa vuole veramente dalla vita. Non gloria fine a se stessa, ma identità e un certo tipo di orgoglio tutto personale.

Nel secondo la vicinanza coi film di Rocky diventa ancora più ingombrante, in maniera positiva, con un Creed 2 che si trasforma in una storia pronta a riflettere ancora di più sul rapporto padre-figlio e eredità storiche. Ritrovandosi faccia a faccia con il figlio dell’uomo che ha ucciso suo padre, Adonis dovrà affrontare una sfida ancora più grande rispetto al passato, in termini fisici e tecnici, mentre continua a crescere anche fuori dal ring. Qui il Rocky di Sylvester Stallone si avvicina ancora di più ad Adonis, mentre il giovane si sta preparando a diventare a sua volta padre. Questa riflessine guida l’intera narrazione diventando lo specchio dei tormenti di ogni singolo protagonista, anche degli stessi antagonisti che qui, finalmente, non restano macchiette fatte e finite, ma esseri umani che attraverso la boxe maturano all’interno del proprio rapporto.

Il ritorno di Ivan Drago (Dolph Lundgren) e di suo figlio (Florian Munteanu) ad esempio, oltre ad incutere un certo timore, evidenziato ulteriormente dal modo in cui vengono ripresi e disegnati fotograficamente, preme moltissimo sul rapporto fra i due, composto da una freddezza glaciale strettamente connessa con lo sport della boxe, nel loro caso inteso come un mezzo attraverso cui vendicarsi di quanto avvenuto in Rocky IV, ma anche come unico tratto ad avvicinarli. Uniti da una vendetta tutta paterna questi due, oltre ad allenarsi duramente per un paese che li vede come semplici oggetti da contrapporre all’ideologia americana (nel quarto film di Rocky, infatti, il ruolo dell'antagonista non ha altre finalità al di fuori di una semplicistica propaganda anti-russa, che non va mai oltre la superfice effettiva dei fatti), prenderanno un cammino che li porterà a riflettere, anche se in modo molto sottile, su quello che sono realmente e su quello che vogliono, distanziandosi da qualsiasi altro prodotto della serie uscito in passato. Nei Creed anche i villain hanno un loro peso narrativo e vengono sfaccettati il giusto, ancora una volta servendosi di uno sport che non vuole soltanto a dimostrare chi è il più forte.

In Creed 3 troviamo ancora una volta dinamiche del genere. Nel film Adonis è cresciuto e ci viene servita una sua versione molto più adulta e imborghesita rispetto al passato. I soldi e il successo gli hanno consentito di allontanarsi dal ring per dedicarsi alla sua famiglia, investendo nello sport che ama senza un coinvolgimento diretto. Quando tutto sembra andar bene, però, un’ombra dal suo passato torna a fare capolino.

Nel terzo film quindi, la boxe diventa un ricordo che approfondisce il duro passato del protagonista, e uno strumento strettamente connesso con la sua psiche. L’evoluzione narrativa dai primi due capitoli è evidente, incorniciata da una regia affamata di fantasmi e demoni tutti interiori. Salire sul ring, in questo caso, si trasforma in una questione strettamente personale ed emotiva, fatta di insicurezze e tormenti che Adonis stesso aveva seppellito nel profondo della sua anima. Un ulteriore viaggio nei meandri di questo protagonista che è lungi dall’essere un eroe americano perfetto e sempre pronto a combattere e stendere l’avversario. Fare i conti con se stessi è una delle regole madre di tutti questi film, anche dei Rocky; in Creed, però, la situazione si fa più palese che mai in certi momenti, specialmente in questa pellicola che si serve della dimensione formale per raccontare la storia di due personaggi che hanno sofferto, e che non riescono a trovare altro dialogo che non sia l’estrema violenza sul ring.

Leggi altri articoli