La fantascienza ha nel suo DNA una componente che, inevitabilmente, le impone una data di scadenza: il prevedere il futuro. O meglio, il cercare di anticipare mutamenti della società umana, analizzando aspetti sociali e tecnologici, piegandoli a un’esigenza narrativa che, nella forma più autentica della narrativa d’anticipazione, cerca di analizzare e criticare il presente raccontando il futuro. Ci hanno provato scrittori come Dick, Ballard, Asimov o Banks, abbiamo avuto visioni futuribili del domani con Star Trek o Upload, ma pochi generi della fantascienza hanno dovuto affrontare l’avverarsi delle proprie profezie come il cyberpunk.
Trovare un’origine netta per questo genere letterario è complesso. Al centro di questo concept narrativo, infatti, risiedono tematiche che si sono annidate della fantascienza per decenni, al punto che si possono trovare vibrazioni cyberpunk in opere antecedenti alla nascita ufficiale del genere, come in Metropolis (1928) o Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968). Questo aspetto potrebbe già aiutare a comprendere come il cyberpunk abbia avuto una lunga gestazione, che si è dipanata per decenni, scaturendo delle intuizioni di autori che per primi avevano colto le nuove direttrici sociali e il modo in cui interagivano con i progressi tecnologici.
È nelle opere di Ballard e Dick, in effetti, che si dovrebbe cercare la fase germinale del cyberpunk, che sarebbe poi pienamente esplosa negli anni ’80 con Stephenson, Gibson e Sterling, raggiungendo quella definizione che ha consacrato il genere come un inquietante ritratto del futuro. Un domani possibile che è diventato il nostro presente, una contemporaneità in cui molte delle predizioni scritte quarant’anni fa sembrano esser divenute realtà.
Dal cyberpunk alla realtà
La forza del cyberpunk puro, infatti, è l’esser attuale, l’aver trovato nella società moderna il concretizzarsi di alcuni dei tratti fondamentali del genere. Non vivremo in città tentacolari e opprimenti come lo Sprawl immaginato da William Gibson, ma a uno sguardo attento è difficile non percepire la presenza di alcuni dei fondamenti narrativi del cyberpunk nella nostra quotidianità. Una collisione tra immaginario e reale che è resa possibile dalla definizione di questa declinazione della sci-fi operata dai suoi padri nobili, che non si limitarono a raccontare avventure fantascientifiche, ma diedero vita a un contesto socio-politico netto e preciso, figlio non tanto della fantasia, quanto di percezioni della società del loro tempo, assimilate dalle loro menti affilate ed elaborate in una potenziale evoluzione sociale.
Sotto questo aspetto, il cyberpunk è non solo letteratura, ma attenta analisi e previsione di elementi politici ed economici in divenire, nata da una sorta di consapevolezza che fosse necessario cambiare alcuni paradigmi della fantascienza, come ha spiegato Bruce Sterling:
"Il linguaggio invecchia, ma noi cyberpunk ne avevamo la consapevolezza, e in quanto eredi della fantascienza (ma non suoi creatori) sapevamo già che, pur assumendo sempre una prospettiva e un tono futuristici, questo genere stava passando di moda. Avevamo la sensazione di vivere in un edificio diroccato che eravamo stati incaricati di ammodernare con le fibre ottiche: il nostro obiettivo non fu mai la distruzione di quell'edificio; dovevamo piuttosto rifarne l'impianto elettrico, altrimenti sarebbe divenuto fantasia storica"
Questo concept del cyberpunk viene spesso descritto dai suoi creatori come un elemento di rottura rispetto alla precedente narrativa fantascientifica, anche se ironicamente si rifà alla definizione autentica di science-fiction, quella data da Hugo Gernsbark, che diede i natali al termine nel primo numero di Amazing Stories:
“Con science fiction intendo il genere di storie scritte da Jules Verne, H.G. Wells e Edgar Allan Poe: un’avvincente finzione intimamente intrecciata a dati scientifiche e intuizioni profetiche”
Nello scrivere La notte che bruciammo Chrome, Neuromante o Snow Crash, gli autori cyberpunk stavano seguendo questo istinto analitico, lasciavano che le stimolazioni carpite nel mondo reale trovassero un’incarnazione letteraria, stavano riscrivendo il modo stesso di intendere la fantascienza. Lo stesso Gibson confessò che la sua idea del termine interfacciarsi, ossia la possibilità di una mente organica di interagire con la dimensione digitale della Rete, nacque dopo che sentì questo termine durante un discorso tra due programmatori.
Inoltre, vedere un ragazzino giocare con un arcade, completamente assorto e isolato dal mondo circostante, gli abbia suggerito l’idea del cyberspazio. Questa tendenza all’assimilazione del presente per prevederne il progredire è alla base del genere, come racconta Francesco Guglieri in Il futuro non è già scritto, la sua postfazione al Drago Mondadori recentemente uscito Cyberpunk: Antologia Assoluta:
“Gibson e soci hanno semplicemente prestato attenzione al loro presente, hanno fatto quello che fanno i bravi scrittori: hanno guardato attentamente. Hanno concentrato lo sguardo, magari su un particolare, e hanno ‘sentito’ il futuro che era già lì, il futuro che era già presente”
Ed è qui che si annida la forza del cyberpunk. Una delle migliori definizioni del rapporto tra cyberpunk e mondo attuale è stata data da Antonio Caronia nel suo saggio Dal cyborg al postumano – Biopolitica del corpo artificiale, in cui l’autore sostiene che il cyberpunk è passato dalla sfera dell’immaginario al mondo reale, da finzione possibile è divenuto presente vivibile. Una concezione che non è percepibile solamente a livello tecnologico, ma anche sociale, come hanno dimostrato eventi recenti che possono avere sorpreso l’opinione pubblica ma che hanno fatto strabuzzare gli occhi agli accaniti lettori delle imprese di street samurai e cybercowboy.
Quello che sembrava all’epoca dell’uscita di Neuromante o Snow Crash una fantasia estrema, oggi è divenuto realtà. Subdolamente, tramite la nostra accettazione di certe dinamiche come quelle dei social, ma ha comunque trovato il modo di passare dall’immaginario al reale, come sostiene Caronia. Un’opinione condivisa anche da Anna McFarlane, studiosa del tema presso la University of Glasgow
“Il Cyberpunk offre la visione di una società post-nazionale, globale, dove coloro che sanno come manipolare le informazioni arrivano al vertice, una concezione del mondo decisamente riconoscibile per noi oggi”
Difficile non rivedere nella manipolazione delle notizie online cui accenna la McFarlane le previsioni di Stephenson, o nelle esperienze recenti di casi eclatanti di poteri aziendali un concretizzarsi delle ipotesi degli autori cyberpunk. La teorizzata cessione di poteri dalle identità nazionali ai conglomerati sociali non è avvenuta nella modalità da loro ipotizzata, ma non mancano esempi di come colossi economici privati possano imporre in modi più o meno diretti la propria opinione anche sui governi, influenzando in modo sensibile le loro politiche. E senza arrivare a scomodare hacker che interferiscono con elezioni presidenziali o che violano banche dati di colossi economici, diventando la versione reale dei cybercowboys.
Viviamo in un mondo cyberpunk?
Nella filosofia cyberpunk di accesso alla tecnologia, specialmente a quell’immenso universo digitale che è il cyberspazio, si crea una contrapposizione tra chi ne è padrone e chi ne usufruisce in modo subordinato. Il progresso tecnologico diventa un elemento divisivo, di controllo, capace di creare un sottobosco di ribellione che viene popolato da figure come il Chase di Neuromante. Allo stesso modo, anche in campi come la medicina, l’accessibilità è appannaggio di pochi, mentre la massa viene costretta ad accontentarsi di seconde scelte. Oggigiorno non siamo sicuramente di fronte a demarcazioni così perentorie, ma è altrettanto vero che, seppur in maniera ridotta, possiamo sperimentare, queste barriere.
Eppure, quella sintesi tra uomo e macchina teorizzata dal cyberpunk, dove il cervello umano si ‘interfacciava’ alla Matrice con l’utilizzo dei deck, ha trovato un modo sicuramente meno invasivo, ma ugualmente efficace. Non richiederanno una connessione fisica con il nostro cervello, ma l’utilizzo di smart device che ci tengono costantemente in contatto con la rete sono la manifestazione fisica di quell’incubo di iperconnessione da cui personalità come Neal Stephenson cercavano di metterci in guardia quarant’anni fa, assumendo una forma che è stata riconosciuta in modo inequivocabile da Adam Roberts, professore della Royal Holloway e scrittore di fantascienza:
“Per il cyberpunk le nuove tecnologie avrebbero colonizzato i nostri corpi e invaso le nostre vite, come Molly in Neuromante con i suoi occhiali da sole letteralmente inseriti nel suo volto. La realtà è che la tecnologia ha preso il sopravvento non tanto sul nostro corpo quanto sulle nostre interazioni sociali, con Twitter, Facebook e simili, con conseguenze di maggior portata”
Se la letteratura cyberpunk ci voleva spaventare con immagini di corpi emaciati, le cui menti erano prigioniere della Rete, oggi possiamo assistere a esistenze permeate, a livello inconscio, dalla dipendenza alla connessione, resa appetibile e facilmente fruibile da device sempre più potenti, che ci monitorano e profilano. Con il nostro benestare, oltretutto. Quello che agli occhi di Dick era un dominio delle masse da parte dei potenti imposto con la tecnologia, come in Un oscuro scrutare, è divenuto più immediato e invasivo grazie alla passiva accettazione delle masse stesse. E in questo, il cyberpunk era stato preveggente.
Verrebbe da chiedersi, a questo punto, se il farsi del mondo cyberpunk immaginato quattro decenni fa abbia reso questo genere oramai superato. Se ci pensiamo, il cyberpunk non si è evoluto nella sua dinamica narrativa e nella sua ambientazione, è rimasto fedele a sé stesso, ma d’altronde perché avrebbe dovuto farlo?
Se ci pensiamo, quanto immaginato da opere come Mirroshades o La matrice spezzata ha raggiunto un impatto sul nostro immaginario tale da influenzare il nostro modo di percepire la realtà non solo futura ma anche attuale. La presenza nei primi anni ’80 di visione future come la Los Angeles futura di Blade Runner è stata formativa per una serie di concept narrativi che si sono basati su aspetti reali, trasformando un genere narrativo in una progressiva manifestazione della realtà, in un percorso metanarrativo che ha proseguito la propria definizione in cult come Akira, sino ad arrivare a manifestazioni moderne come Black Mirror, in cui il confine tra reale e fantasia si è sempre più assottigliato, al punto di arrivare a collimare in più occasioni.
L’aspetto che sembrava più difficile da raggiungere, ovvero la fusione reale-virtuale, è sempre più volatile. Basti pensare all’evoluzione delle intelligenze artificiali, alla nascita della realtà aumentata o ai continui progressi nel campo della VR. Come dimenticare che oggi possiamo chiedere a una I.A. residente nei nostri smartphone di guidarci a destinazione in auto o di ordinare online la cena? Queste piccole comodità che stanno assumendo un tono sempre più quotidiano sono la personificazione delle intuizioni degli scrittori cyberpunk degli anni d’oro di questo genere. Rivedere o rileggere oggi opere cyberpunk come Snow Crash, Johnny Mnemonic o RoboCop, una volta andati oltre alle tipiche sovrastrutture narrative necessarie per intrattenere, è ancora emozionante perché hanno un senso di appartenenza al presente palpabile, sono uno specchio di alcuni elementi sociali odierni visti con gli occhi del passato.
Il cyberpunk del futuro
Analizzare lo stato del cyberpunk attraverso la rappresentazione che oggi ne diamo nei media è utile anche per comprendere come il mondo si sia avvicinato a quanto teorizzato da questo universo narrativo. Che si tratti di Cyberpunk 2077 o di Altered Carbon, il cyberpunk non sta vivendo una nuova stagione di prosperità, perché in realtà non si è mai spento, è stato tradito dall’essere divenuto troppo simile al reale per potere utilizzato come strumento di analisi proiettato al futuro. Come sostiene Christopher Bolton, docente di letteratura giapponese e comparazione del Williams College:
“Ironicamente, il destino del cyberpunk nei nostri media attuali ci rivela le modalità con cui le pessimistiche premonizioni originali del genere siano divenute realtà. Viviamo in un futuro dove l’originale, il fisico e il politico sono progressivamente oscurati, rimpiazzati da realtà edulcorate e virtuali in cui le cose sono copiate e rimodellate in una catena distorta senza fine”
Affermazione che sembra assecondare la natura pessimistica e cinica del cyberpunk della prima ora, ma che è anche la radice di un nuovo cyberpunk. Fortunatamente, non tutte le predizioni sono divenute realtà, e per quanto possiamo vedere in Elon Musk e Bill Gates dei potenziali Tessier-Ashpool, o rimanere inquietati dagli attuali esperimenti per sviluppare interfacce neurali, siamo ancora lontani da quelle predizioni cupe. In tal senso, il cyberpunk può ancora rivestire un ruolo molto importante, può ancora essere il nostro monito.
Nuovi autori, dal cinema alla letteratura passando per fumetti e videogiochi, stanno continuando a pompare linfa vitale in questo universo narrativo, cogliendo quelle che sono le nuove sfide sociali, specialmente in ambito sociale, per utilizzare il cyberpunk come strumento analitico e riflessivo, nella migliore tradizione della sci-fi. Gli spunti da cui il cyberpunk può trarre nuovo slancio non mancano, dai rigurgiti nazionalisti alle trasofrmazioni socio-economiche, e lo slancio di rinnovamento è insito proprio nell’avverarsi di alcune delle sue più inquietanti intuizioni. C’è ancora bisogno del cyberpunk, e un volume come Cyberpunk: Antologia Assoluta, con la presenza di opere classiche del genere, dimostra come questo concept non sia morto, ma ha solo bisogno di comprendere di essersi parzialmente concretizzato, comprendendo come rimanere vitale guardando al futuro oltre il presente sognato anni fa.
Potete addentravi nella storia del cyberpunk leggendo il volume Cyberpunk: Antologia Assoluta