Cos'è la Silver Age?

Il ritorno degli eroi dei fumetti, nuovi eroie e un confronto più onesto con la quotidianità: ecco i punti di forza della Silver Age!

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a cura di Manuel Enrico

La fine della Golden Age dei fumetti supereroistici ha coinciso con l’inizio di un breve periodo di allontanamento dei lettori da questo genere narrativo, un rapporto che viene in seguito nuovamente riallacciato con la nascita della Silver Age. Questo rinascimento degli eroi in calzamaglia è figlio di una manciata di anni in cui il fumetto ha parzialmente abbandonato la bulimia di pubblicazioni dedicate ai supereroi per concentrarsi ad altro. Ma come mai questo allontanamento?

Il crepuscolo degli eroi: sopravvivere alla fine della Golden Age

La saturazione del mercato dei supereroi è il principale indiziato. Specialmente durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, la lettura dei comics supereroistici era una forma di intrattenimento accettata e caldeggiata dai genitori, complice una presenza di pubblicazioni, anche degli eroi più noti, che mostravano gli eroi impegnati in azioni che riflettevano lo spirito patriottico a stelle e strisce. Non solo i protagonisti dei cosidetti patriotically themed comics (come The Shield o Captain America), ma gran parte degli eroi a fumetti ebbero modo di confrontarsi, più o meno direttamente, con lo scenario bellico.

Terminata la guerra, però, il sovraffollamento in edicola di pubblicazioni supereroistiche iniziò a saturare il mercato, traducendosi in un’eccessiva esposizione del supereroe che venne presto a noia ai lettori. Dopo la guerra, i lettori avevano voglia di storie differenti, che aiutassero anche ad evadere da quelle che erano divenute le nuove pressioni sociali figlie dell’atomica e della guerra fredda. Le lettrici cercavano storie in cui potersi rivedere, mentre i giovani adolescenti preferivano racconti in cui ci fossero avventura, fantascienza e mistero.

A complicare il rapporto tra lettori e fumetto era subentrata anche la campagna denigratoria messa in atto dallo psicologo Frederic Wertham, che con la pubblicazione del suo saggio La seduzione dell’innocente (1954) aveva dato alla società americana, scossa dai tremori del maccartismo e alla ricerca di un colpevole per il presunto declino morale dei giovani, un capro espiatorio perfetto nei fumetti. Una caccia alle streghe che trovò un nemico ideale nella EC Comics di Bill Gaines, casa editrice specializzata nella pubblicazione di comics anticonvenzionali e con tematiche mature.

Una pressione sull’opinione pubblica che il 4 giugno 1954 sfociò in un’udienza al Senato, dove lo stesso Gaines venne messo alla gogna come rappresentante del nemico, di quel mondo dei comics che stava rovinando giovani vite. Dopo questa udienza trasmessa anche in TV, si arrivò ad una forma di regolamentazione che limitasse gli elementi ‘pericolosi’ dei comics, dando vita alla Comics Code Authority.

In questo scenario complesso, sia socialmente che produttivamente, i comics continuavano comunque ad arrivare nelle edicole.

Questi anni di rivoluzione portarono alcuni brand a cercare una nuova identità. La Timely Comics, celebre per fumetti come Captain America e la Torcia Umana, cambiò nome divenendo Atlas Comics. Con la nuova denominazione vennero abbandonati anche gli eroi in maschera, complice l’esigenza di creare produzioni aderenti ai dettami della Comics Code Authority. La Atlas, quindi, si concentrò nel realizzare delle pubblicazioni antologiche che raccogliessero racconti di invasioni spaziali, avventure nel west o Medio Evo, dando vita a riviste come Tales to Astonish o Journey into Mystery.

Al fianco di questi fumetti, continuavano ad essere pubblicate pubblicazioni dirette ad un pubblico di giovani lettrici, eredità di Timely Comics che Atlas volle mantenere. Come Millie the Model, in cui erano presenti personaggi, come Patsy Walker, che sarebbero tornati anche nel futuro di Atlas, un futuro chiamato Marvel Comics.

Chi cercava di mantenere in vita il mito dei supereroi nei comics, nonostante le difficoltà, era la casa editrice che aveva guidato la loro ascesa durante la Golden Age: la National Periodical Publication, la futura DC Comics. Nel crepuscolo dei supereroi che fu la fine della Golden Age, tre nomi tennero duro: Superman, Batman e Wonder Woman. Ma anche la Trinità iniziava a sentire il peso di dover essere l’ultimo baluardo del fumetto supereroistico, una fatica che la casa editrice iniziava ad accusare.

Come anni prima aveva dato il via alla Golden Age, toccava nuovamente alla National Periodical Publication

Una nuova vita per i supereroi: la Silver Age

Negli anni ’50 la produzione dei comics della National Periodical Publication era focalizzata sui componenti della Trinità. Batman, affiancato da Robin, era il solo a tenere veramente bene le vendite, pur mancando dello smalto e dell’identità del personaggio che lo aveva reso molto amato durante la Golden Age. Wonder Woman aveva perso lo scrittore di punta, perdendo i tratti essenziali della sua figura. Non se la passava meglio Superman, al punto che lo scrittore Will Jacobs non nascose che Supes ‘era disponibile in gran quantità, ma in scarsa qualità’. Completavano il gruppetto Aquaman e Green Arrow (con il suo sidekick Speedy), che comparivano come spalle in Adventure Comics.

A cambiare rotta fu il ritorno in scena di un eroe della Golden Age: Flash. A tornare in edicola però non fu Jay Garrick, il Velocista Scarlatto della Golden Age, ma un nuovo eroe: Barry Allen. Voluto dall’editor Julius Schwartz, Robert Kanigher e il disegnatore Carmine Infantino diedero vita ad un personaggio totalmente nuovo, che condivideva con l’omonimo il nome e i poteri. Il debutto avvenne nell’ottobre 1956, in Showcase #4. L’impatto di questo numero fu tale che viene considerato come la scintilla che diede vita alla Silver Age.

Questa impostazione spinse la National Periodical Publication a riesumare alcuni vecchi eroi della Golden Age, dando loro una nuova veste e nuovi nomi, per adattarli ad una nuova vita editoriale. Lanterna Verde, Aquaman, Hawkamn e il celebre supergruppo della Justice Society of America vennero riscritti. La principale novità fu abbandonare l’aspetto spesso magico dell’origine dei poteri degli eroi, affidandosi più ad una concezione pseuod-scientifica. Ad esempio, la Lanterna Verde originale, Alan Scott, riceveva i suoi poteri tramite un lanterna magica, mentre la nuova Lanterna, Hal Jordan, era una pilota sperimentale di aerei che ottiene i suoi poterei da un anello ottenuto da un alieno morente, parte di un corpo di polizia spaziale.

Questa rivoluzione comportava però un problema: quali erano i veri eroi? La casa editrice decise di trovare una soluzione che diventa una delle grandi invenzioni della Silver Age: il multiverso. Tutti i personaggi celebri della Golden Age appartengono ad un’altra realtà, che viene battezzata Terra-Due. I nuovi personaggi appartengono invece a Terra-Uno. I due universi sono separati da un campo vibrazionale che può esser infranto in particolari condizioni.

Nonostante si consideri la comparsa di Flash in Showcase #4 come il punto di inizio della Silver Age, alcuni esperti del settore dissentono, vedendo un altro personaggio come l’araldo del nuovo corso dei supereroi: Martian Manhunter. Il cacciatore alieno, infatti, comparve nel 1955 in Detective story #225, diventando il primo supereroe nato dopo la fine della Golden Age. In queste prime apparizioni, J’onn J’onzz non è però ancora un vero e proprio supereroe, ma rimane un investigatore che utilizza i propri poteri alieni per risolvere casi.

Come per la Golden Age, la National Periodical Publication era pronta a segnare la rotta per questa seconda vita dei supereroi a fumetti, ma sulla scena stava arrivando una casa editrice che avrebbe rivoluzionato radicalmente il modo di intendere i supereroi: la Marvel Comics.

La nascita del Marvel Universe

Con la rinascita dell’interesse nei supereroi, proprio come accadde durante la Golden Age molte case editrici decisero di riavvicinarsi ai popolari eroi. Tra queste realtà, la Atlas Comics, erede della Timely, stava cercando una nuova direzione per le proprie pubblicazioni. Dopo essersi dedicata nel periodo post Golden Age specialmente alla pubblicazione di serie a fumette antologiche di varia natura (dalla fantascienza alle teen stories per un pubblico femminile), la casa editrice stava affrontando diverse problematiche, anche di natura economica.

Guidata da Martin Goodman, la Atlas aveva tra le fila un giovane dipendente che aveva carriera all’interno dell’azienda sin dai tempi della Timely Comics: Stanley Lieber. Noto come il nome d’arte di Stan Lee, Lieber era uno sceneggiatore talentuoso, che gli aveva consentito di diventare in tempi rapidi editor, ma la sua principale dote era la gestione di sceneggiatori e artisti. Nel corso della sua carriera, aveva quasi abbandonato la scrittura occupandosi principalmente di pianificare attentamente la vita della casa editrice, ruolo che iniziava a presentare il conto alle sue aspirazioni di scrittore. Al punto che spesso si lamentava con la moglie di come si sentisse oramai soffocare da questo ruolo che annientava la sua creatività, arrivando ad una decisione: lasciare la Atlas.

Nel frattempo, la rinascita dei supereroi era iniziata nella National Periodical Publication, e la creazione di un nuovo supergruppo di eroi, la Justice League fu un verso successo. Al punto, racconta la leggenda, che l’editor Liebowitz se ne vantò persino con Goodman durante a partita a golf, spingendo il proprietario della Atlas a rivedere la posizione della casa editrice. Mentre Lieber pensava di mollare il colpo, Goodman lo convocò per affidargli la rinascita dei supereroi della Atlas.

A convincere Liber, fu la moglie, che vide in questa possibilità l’occasione per il marito per potere finalmente liberare la sua fantasia. E per Lee questo fu un richiamo irresistibile, il primo passo verso la creazione di un universo di supereroi immortali. A guidare questa rinascita fu la presenza di altri grandi nomi, come Jack Kirby e Steve Ditko, rientrati in azienda durante gli anni ’50.

L’idea di Lee era di adattare i fumetti dei supereroi ad un nuovo pubblico, influenzato dalla società post-bellica e da nuove problematiche e potenzialità. Dopo aver mostrato gli eroi come esser invincibili durante la Golden Age, era il momento di far emergere anche le fragilità degli uomini dietro le maschere, dando vita a quella tendenza che divenne il motto dei supereroi Marvel: supereroi con superproblemi. Se nella Golden Age i poteri avevano spesso origini magiche, Lee invece decise di rivolgersi alla scienza, che in quegli anni era spesso al centro dell’interesse, a volte distorto e poco informato, dei potenziali lettori.

Non a caso la sua prima idea, sviluppata con l’amico Kirkby, fu quella di un gruppo di quattro coraggiosi cosmonauti che, durante un volo sperimentale, vengono investiti da raggi cosmici che conferiscono loro incredibili poteri. I Fantastici Quattro (1961) sono il primo prodotto della nuova linfa vitale della Atlas, che decide di sancire questa rivoluzione interna con un cambio di nome, ispirandosi ad una delle sue storiche e più apprezzate pubblicazioni, Marvel Tales, presentandosi in edicola con The Fantatic Four e scegliendo come nuovo nome Marvel Comics.

L’uscita in edicola di The Fantastic Four diventa il punto di origine del Marvel Universe, un universo narrativo che negli anni seguenti si popola rapidamente di altri grandi eroi, da Spider-Man agli X-Men, da Iron Man a Hulk, arrivando agli Avengers, Dottor Strange e Daredevil.

In Marvel si continuano a sfornare eroi, spesso attingendo a vecchie figure dei comics oramai dimenticate, come il Daredevil della defunta Gleason Publishing, riadattando le vecchie caratteristiche dei personaggi in una nuova chiave. A questo, si lega anche l’abilità della casa editrice nell’intercettare i gusti del pubblico in base alle situazioni sociali. Alla nascita del crescente interesse per il mistico di metà anni ’60 si rispose creando Dottor Strange, mentre le lotte per i diritti civili della popolazione afroamericana trovò una risposta nella figura di Luke Cage.

Sotto questo aspetto, Marvel era più vicina al proprio pubblico, una visione, quella di Lee, che pagò in termini di vendite e di favore dei lettori, al punto che la Silver Age del fumetto viene anche chiamata anche Marvel Age, considerato come fu proprio la casa editrice guidata da Lee a dettare legge in questa fase della storia dei comics.

L’evoluzione della narrazione

Durante la Silver Age, non comparvero solo nuovi personaggi ma si vide anche un cambio del tenore delle storie. Complice l’esperienza maturata nel periodo post Golden Age, si cercò di frenare la nascita di troppi supereroi, preferendo puntare alla qualità delle storie e alla caratterizzazione di figure che potessero creare una legame empatico con i lettori. Esempio classico, rimane ancora oggi Peter Parker, il prodotto di maggior successo in questa fase della storia dei comics supereroistici, che vide nell’Uomo Ragno il prototipo dell’adolescente problematico ed emarginato a cui viene data una responsabilità in termini di poteri incredibili.

Negli anni ’60, la società americana è attraversata da diverse energie. Dalla Guerra Fredda, caratterizzata dalla paura nucleare, sino alla disperata ricerca di un’identità sociale della coloured people, ancora fortemente segregata in gran parte degli States. A questo si unisce anche il fiorire della coscienza civile nei campus universitari, che si accompagnò ad una maggior coscienza del mondo circostante da parte dei giovani, che dovettero anche affrontare, in America, eventi epocale come la Guerra in Vietnam. Sempre più spesso il fumetto si poneva come un elemento di confronto con il sociale, con l’attualità, cercando di affrontare temi di impatto senza sforare, però, i dettami della Comics Code Authority.

Nonostante la rinascita dei supereroi fosse stata accolta positivamente, infatti, era ancora in vigore l’organo di controllo nato sul finire della Golden Age. Certi temi erano ancora mal visti come argomenti di un fumetto, eppure gli autori erano portati a volersi confrontare con piaghe sociali importanti e di impatto, creando una certa tensione all’interno dell’ambiente.

È di questi anni il dilagare di piaghe sociali come la tossicodipendenza, il degrado sociale e tutto ciò che ne consegue. In fumetti come Daredevil ci si addentra nei bassifondi delle città, Peter Parker è un adolescente di una famiglia di umilissime origini, lo sforzo, insomma, è quello di contestualizzare i personaggi affinché siano vicini, soprattutto sul piano emotivo, ai lettori. Motivo per cui, specialmente in Marvel, nascono personaggi molto diversi, sia per età che per estrazione, capaci di intercettare il favore di differenti fasce di lettori. Ma per riuscire a creare questa sinergia, bisognava andare oltre i limiti imposti, una ribellione necessaria a investire questi eroi di una rinnovata e più autentica umanità.

Un’esigenza che ha portato alla nascita di grandi storie, che hanno trovato in elementi tragici precedentemente mai considerati e in brutture della società elementi di grande spessore narrativo. Ad aprire la strada fu nuovamente Lee, che, su parziale apertura della Comics Code Authority, introdusse in Spider-man un dettaglio delicato e tragico: la tossicodipendenza.

In Green Goblin Rinato (1970) Lee inserisce la tossicodipendenza di Harry Osbourne, configurandola come un elemento profondamente distruttivo. L’input era arrivato dal Dipartimento della Salute e dell’Educazione, che, conscio della potenza narrativa del fumetto e della sua diffusione presso i più i giovani, aveva visto nei supereroi un tramite ideale con cui dialogare con le fasce più giovani della popolazione.

Svolta epocale, per l’epoca, ma che venne superata dalla DC Comics, nuova identità della National Periodical Publications, che diede vita ad una serie che rappresenta una delle vette più alte della Silver Age: Green Lantern/Green Arrow

Raccontare l’America vera

Nella Silver Age, in casa DC Comics si era deciso di dare a figure storiche della casa editrice una nuova vita, più moderna. Flash, ad esempio, venne riscritto dimenticano Jay Garrick e dando vita al mito di Barry Allen, un processo che coinvolse anche Lanterna Verde, che nella Silver Age ‘rinacque’ come Hal Jordan, pilota sperimentale che diventa parte della forza di polizia cosmica dopo aver ereditato l’anello verde in seguito alla morte di una precedente Lanterna.

Hal Jordan, però, sul finire degli anni ’60 non godeva del successo necessario per motivare la sua presenza in edicola. Carmine Infantino, caporedattore DC, era intenzionato a chiudere la serie, ma l’editor di Lanterna Verde Julius Schawrtz lo convinse a tentare un’ultima scommessa: portare Lanterna Verde lontano dallo spazio e costringerlo ad affrontare problemi più terreni. E per dare ancora più vigore a questa nuova avventura, lo avrebbe affiancato ad un altro eroe DC in crisi, Freccia Verde, che era diametralmente opposto a Jordan.

Se Hal Jordan era, sostanzialmente, un poliziotto spaziale che affrontava minacce cosmiche, spesso con metodi poco convenziali, Oliver Queen indossava il cappuccio di Freccia Verde per nascondere la sua identità di miliardario, armato di arco e di una visione liberale della società. Lanterna Verde aveva poteri legata alla volontà tramite il suo anello, che gli consentiva una varietà azione incredibile, mentre Freccia Verde era più terreno, con il suo arco.

Un duo simile venne affidato a due autori emergenti, Dennis O’Neill e Neal Adams, che a partire dal 1970 utilizzarono questa insolita coppia per mostrare ai lettori un’America poco nota. O’Neill aveva un passato giovanile di giornalista per piccole testate locali, una caratteristica che emerse pienamente in Lanterna Verde/Freccia Verde

“Il mio passato giornalistico e il mio impegno sociale ingenuo mi spinsero a chiedermi se potessi inserirli all’interno del mio lavoro. Era una scommessa in cui nessuno aveva nulla da perdere, e la possibilità di scrivere di argomenti che mi stavano a cuore mi spronò a migliorare la mia scrittura. Soprattutto, mi fece scoprire nuove sfide di natura tecnica che non avevo mai affrontato prima”

O’Neill calò i due personaggi in un viaggio attraverso l’America più autentica, lontano dai quartieri sfavillanti e da una dimensione supereroistica, portandoli in una odissea on the road in cui fossero circondati da povertà e disperazione, appellandosi anche a grandi eventi mediatici del periodo (nel terzo numero l’ispirazione fu niente meno che la Manson Family). Per dare vita a tutto questo, O’Neill mise Hal Jordan di fronte ad un contrasto emotivo forte e inusuale: Lanterna Verde salvava l’universo, ma cosa faceva per i terrestri? Quanto conosceva della reale situazione della Terra?

Nel primo numero, Hal viene costretto ad aprire gli occhi da uno straziante confronto con un anziano afroamericano

“Ho letto di te… che lavori per quelli con la pelle azzurra… e hai aiutato su qualche pianeta qualcuno dalla pelle arancione… e hai fatto cose importanti anche per i pellerossa! Però ci sono alcuni di cui non ti sei mai preoccupato… quelli con la pelle nera! Vorrei sapere… Come mai? Rispondimi a questo, signor Lanterna Verde!”

“Io…non posso…”

È il punto di partenza per una ricerca della verità per i due personaggi che coincide con uno dei punti più alti del fumetto supereroistico. O’Neill e Adams non vedono solo due supereroi, ma li trattano come ingenui uomini che finalmente scoprono realtà ignorate, che smettono i panni dell’eroe tipici della Golden Age per calarsi nella quotidianità. Una missione che gli autori vivono con passione, tanto da parodiare la presidenza americana suscitando le ire del governatore della Florida, che minacciò di proibire la vendita degli albi DC Comics nel suo stato quando in numero comparvero una perfida bambina sfruttata da un bieco criminale.

“Ci venne recapitata una lettera del governatore della Florida in cui ci diceva ‘Come potete insultare in questa maniera il vice-Presidente? È la cosa più irrispettosa mai vista in un fumetto, plagerà le menti dei ragazzi, se lo rifarete mi impegnerò affinché la DC Comics non venne venduta in Florida!’. Quando i capi della DC me la mostrarono, scoppiai a ridere, e dissi ‘Ha ragione, ma non si è accorto che la bambina è Richard Nixon!’, e parliamo della bambina più orrenda della storia del fumetto!”

Il vero shock, però avvenne nei numeri finali della serie, quando O’Neill e Adams si cimentarono con una grande piaga del periodo: le droghe.

Entrambi gli autori avevano una profonda conoscenza dell’argomento, dato che stavano realizzando una storia per conto della municipalità di New York. La loro idea fu esplosiva: trasformare Roy Harper, la spalla di Freccia Verde, in un tossico, per colpa della scarsa attenzione che l’eroe aveva dedicato al suo pupillo. Sulla copertina, campeggiava in primo piano Roy nell’attimo seguente all’iniezione, con ancora la siringa e tutto l’occorrente a una dose in bella vista. Fu una vera bomba, che costrinse Schwartz a mediare con la Comics Code Authority, inorridita e preoccupata, e la casa editrice, spaventata di una potenziale ricaduta negativa.

Fu invece un atto importante, il riconoscere che gli eroi non erano più invincibili, ma erano costretti ad affrontare le difficoltà quotidiane, perdendo l’aura di mitologico e divenendo più umani. La Silver Age è un’era in cui l’eroe si riscopre umano, soprattutto nelle sue debolezze e come tale deve convivere con grandi sconfitte e ferite morali insormontabili. È da questa filosofia che nascono archi narrativi leggendari come Il demone nella bottiglia, perché la Silver Age ha segnato, in un certo senso, la perdita dell’innocenza dei supereroi.

La perdita dell’innocenza

L’effetto dell’uscita di Lanterna Verde/Freccia Verde fu tale che la Comics Code Authority fu costretta a rivedere le proprie limitazioni. Green Goblin Rinato e la serie on the road di Hal Jordan e Oliver Queen furono dei catalizzatori che spinsero l’Authority a modificare i vincoli a cui erano sottoposti gli editori, aprendo a tematiche più libere e eliminando dei diktat narrativi. Lapubblicazione delle storie di Conan il Barbaro da parte di Marvel Comics era il segno che i lettori avevano voglia di proposte nuove, libere da paletti narrativi, e quindi venne rimosso l’embargo a storie violente e horror.

Grazie a questa apertura, in Marvel si poté avviare la nascita di serie dalle tinte più dark, come La Tomba di Dracula, che negli anni portò alla comparsa di personaggi come Blade o Ghost Rider. In DC Comics, invece si rispose a questa nuova sfida creando una figura leggendaria come Swamp Thing. Ma queste rivoluzioni furono messe in ombra da una storia che rappresenta in pieno questo radicale cambiamento, che consentì di realizzare una tragedia fumettistica che segnò profondamente uno dei simboli della Silver Age, Spider-man.

Nell’estate del 1973, Gerry Conway, Gil Kane e John Romita Sr realizzano una storia che ancora oggi rimane uno dei momenti più tragici del Marvel Universe: La notte in cui morì Gwen Stacy. All’epoca, Peter Parker era fidanzato con Gwen Stacy, il suo primo grande amore, ma durante uno scontro con il Goblin, questi usa la ragazza per impedire all’Arrampicamuri di inseguirlo, facendola cadere dal ponte di Brooklyn. Spidey riesce a fermare la caduta dell’amata catturandola con una ragnatela prima che impatti con il fiume, ma il contraccolpo del brusco arresto le spezza il collo, uccidendola. In quel momento, Spidey uccide la sua amata, il supereroe, seppure involontariamente, non riesce a salvare la donna dell’uomo sotto la maschera, anzi ne causa indirettamente la morte. È uno shock, amplificato dalla disperazione di Parker, che nelle pagine seguenti sembra avere perso ogni bussola morale, ogni freno.

È in questa situazione che si parla di ‘perdita dell’innocenza’, i supereroi non posso più fingere di essere una razza a parte, diventano anche loro consci di essere umani, di avere dei limiti e di essere, come tutti, costretti ad affrontare nemici imbattibili, come la morte. La morte di Gwen Stacy e il dolore di Parker sono l’ultimo capitolo della Silver Age, che lascia spazio alla Bronze Age.

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