Cos'è il Webcomic?

Dalle pagine cartacee alla frontiera digitale, l'evoluzione del fumetto tradizionale nell'era digitale: nascita e consacrazione del webcomic

Avatar di Manuel Enrico

a cura di Manuel Enrico

Nell’era del digitale e dei contenuti smart usufruibili in qualunque momento, da qualunque device, in questa età del social onnipresente, una dimensione artistica come il fumetto, ancorata ad una tradizione fisica, ha dovuto trovare una nuova vita che si conciliasse con i ritrovati tecnologici. Un’inevitabile evoluzione, se vogliamo, che ha portato il mondo delle nuvole parlanti a lanciarsi nel nuovo universo fatto di 1 e 0. Una spinta evolutiva che ha portato il mondo delle nuvole parlanti a reinventarsi nel webcomic.

Abituati all’uso di smatrphone e tablet, per noi oggi il webcomic è una presenza familiare, che sperimentiamo tramite i social, divenuti un punto di contatto tra creatore e fruitore. Artisti di grande talento hanno saputo utilizzare al meglio le potenzialità dei webcomic, sperimentando ed innovandosi, portando alla ribalta serie di grande valore, premiati con una successiva pubblicazione nel tradizionale formato cartaceo. Questo traguardo di popolarità dei webcomic è frutto di un lungo processo di definizione del medium, che per la natura di questi fumetti ‘elettronici’ si è accompagnato ad un altro percorso: l’evoluzione digitale.

Dalla carta al web

I primi fumetti pubblicati online risalgono ad un’epoca antecedente alla grande diffusione del Web come lo intendiamo oggi. Intorno a i primi anni ’90, alcuni cartoonist iniziarono ad esplorare le potenzialità della nuova sfera digitale, aprendo piccoli siti e spazi online in cui mostrare il proprio lavoro. Tra i primi ci fu Eric Monster Millikin, che iniziò a pubblicare online nel 1985 tramite CompuServe una striscia comica, Witches and Stitches, parodia del Mago di OZ. L’idea prese lentamente piede e altri autori decisero di interagire con questa nuova possibilità di fruizione della propria arte, come Joe Ekaitis che nel 1986 diede vita a T.H.E. Fox, un fumetto disegnato con il suo Commodore 64.

Se Millikin fece da apripista, altri due artisti si guadagnarono un posto d’onore nella storia del webcomic. Hans Bjordahl, nel 1991, diede vita a Where the Buffalo Roam, striscia diffusa tramite connessioni FTP e Usenet, presentandolo come ‘la prima striscia a fumetti di internet’ e aggiornandolo regolarmente con nuovi contenuti. Bjordhal ebbe un discreto successo grazie alle prime reti che collegavano i vari campi universitari, ma il punto di svolta avvenne due anni dopo, quando Tim Berners-Lee offrì al mondo il World Wide Web. Con questa rivoluzione digitale iniziarono a comparire nuovi protocolli informatici, che consentirono di pubblicare siti online in cui fossero inseriti anche nuovi formati grafici, come GIF e JPEG. Per i disegnatori intenzionati a sposare il fumetto online, si trattò dell’El Dorado.

Doctor Fun (1993) di David Farley divenne il primo vero fumetto dell’era digitale, con tanto di sito ufficiale su cui leggerlo. In breve tempo, comparvero altre produzioni come Jax & Co., NetBoy o Argon Zak!, che ebbero un ruolo essenzialmente sperimentale, sfidando i propri creatori a testate i limiti della piattaforma digitale, piegandone le potenzialità alle proprie esigenze. Il creatore di Jax &Co, Mike Wean, dopo avere sperimentato dimensioni e formati differenti delle vignette, introdusse l’interfaccia ‘gira la pagina’, per facilitare la lettura agli utenti.

A metà degli anni ’90, questi fumetti digitali erano diventati una realtà in costante espansione, tanto che le proposte di lettura online erano centinaia. La maggior parte dei questi fumetti erano adattamenti di strisce pubblicate sui giornali d’istituto, che non andarono oltre qualche sporadico aggiornamento. Quasi tutte le produzioni fumettistiche che arrivarono online in questi primi anni erano frutto di sperimentazioni e tentativi di conciliare le tecniche fumettistiche con le potenzialità del nuovo medium, ad opera principalmente di studenti, una caratteristica legata al fatto che la rete e le attrezzature erano presenti principalmente nei campus universitari. Senza considerare che i lettori di queste strisce digitali dovevano iscriversi a mailing list, per ricevere via posta elettronica il fumetto da leggere, in un’epoca in cui le connessioni domestiche era tutt’altro che diffuse, senza contare la lentezza dei download.

Le potenzialità del web del periodo, insomma, non erano certe all’altezza di quelle odierne, e anche la produzione dei fumetti doveva accontentarsi. Le strisce erano semplici, quasi totalmente in bianco e nero, sul modello delle classiche strips da quotidiano. La maggior parte di queste produzioni divenne una tradizione in alcuni college, che proseguirono anche dopo il diploma dei creatori dei personaggi (come Nukees di Darren Bluel), ma l’aspetto interessante erano le tematiche affrontate.

Dato l’ambiente creativo in cui venivano ideate queste serie, ossia un contesto nerd, era facile che le strisce web contenessero richiami a videogiochi, serie TV o doppi sensi legati alla tecnologia. È in questi anni che compare una striscia umoristica creata da Jerry Holkins e Mike Krahulik, Penny Arcade (1996), che nel 1998 raggiunge una popolarità tale da diventare il motore di una piccola convention, avviando un fiorente brand che oggi ha assunto un’identità brand multimediale che dai fumetti si è spostata alla produzione di videogiochi con importanti licensing (The Walking Dead, Batman).

La legittimazione del fumetto online come appartenente al mondo delle nuvole parlanti avvenne proprio in questo periodo sperimentale, quando fu pubblicata sul web Dilbert di Scott Adams, che nel 1995 approdò nel mondo digitale. E improvvisamente l’interesse per i webcomic divenne una miniera d’oro!

L’esplosione dei webcomic

Quando le connessioni domestiche iniziarono a diffondersi, la presenza dei webcomic iniziò ad aumentare sempre di più, spinta da una fruizione più libera e priva dei precedenti limiti strutturali. L’evoluzione stessa della rete, con il continuo evolversi delle dinamiche di creazione dei siti online, portò alla nascita di piattaforme digitali apposite, che consentivano agli artisti più intraprendenti di crearsi anche dei piccoli business legati alla commercializzazione di gadget legati alle proprie produzioni, dando anche ai webcomic la caratura di un mercato da considerare.

Questa facilità di accesso e la possibilità di raggiungere un gran numero di potenziali lettori, trasformò, sul finire degli anni ’90, i webcomic  in una palestra per giovani talenti e nuove tendenze nel disegno. Complice l’esser liberi dalla necessità di avere un pubblico costante per generare un utile che motivasse la pubblicazione, gli artisti si diedero alla sperimentazione e allo sviluppo di nuovi stili. Dalle suggestioni tipiche del manga (come in Megatokio) sino ai tratti più psichedelici e ispirati ad una visione da cartoon, i webcomic si aprirono a molteplici stili. Una libertà che si configurò anche per la narrazione, consentendo la comparsa di fumetti online che trattassero sia temi tipici della cultura geek e nerd che di aspetti di vita quotidiana.

Nel periodo a ridosso della fine del millennio, il webcomic divenne un fenomeno tale da venire riconosciuto anche dalla vecchia guardia dei fumettisti, al punto che Scott McCloud inserì il webcomic all’interno del suo manuale del fumetto, Reinventare il fumetto (2000). McCloud analizzò con attenzione questo fenomeno, sia per quanto riguardava al creazione (disegnare in e per il digitale), la distribuzione (ovvero come pubblicare i webcomic su internet) e i fumetti digitali (ossia creare fumetti concepiti espressamente per il web). Queste riflessioni di McCloud, per quanto non proprio accolte con entusiasmo, avevano il merito di essere una prima analisi di questa rivoluzione digitale del fumetto, offrendo anche degli spunti di riflessione su come concepire l’evoluzione della professione di cartoonist al tempo del web.

L’evoluzione del webcomic

Dopo esser stato finalmente riconosciuto come parte della famiglia del fumetto, il webcomic era destinato a cercare una propria identità, cercando potenzialità e caratteristiche uniche, che enfatizzassero la sua maggior libertà rispetto alla controparte cartacea. Alcuni artisti, come Patrick Farley, diedero vita a progetti come Electric Sheep Comics, un’etichetta digitale sotto cui diffondere progetti sperimentali, mentre altri disegnatori traslarono nel webcomic il loro vissuto, con produzioni in cui le suggestioni narrative come fantascienza e fantasy diventavano lo scudo dietro cui proteggere la trattazione di temi personali come bullismo o identità sessuale. Il webcomic era diventato l’erede spirituale del fumetto underground. Non a caso, le produzioni minori che non riuscivano a trovare un posizionamento all’interno del circuito tradizionale del fumetto, quello cartaceo, si ritagliarono uno spazio nella nuova dimensione digitale dei comics.

Al fianco di queste innovazioni rimaneva però uno zoccolo duro di produzioni legata all’origine del webcomic: la nerd culture. La fama dei webcomic, specialmente al di fuori del classico circuito dei lettori di fumetti, è legato alla diffusione di produzioni dedicate all’altro grande fenomeno della nerd culture: i videogiochi. Che ne fossero una parodia o un ampliamento di questo vissuto nel medium videogioco, questi webcomic furono il vero trascinatore di questa nuova incarnazione del mondo delle nuvole parlanti.

I webcomic, con l’evoluzione del mondo digitale, dovettero cambiare ed adattarsi alle nuove dinamiche di internet. L’avvento dei social e dei meme portò ad un cambio della percezione dei webcomic, che si adattarono alle impostazioni di visualizzazione dei social, tornando alla loro natura di strisce e più raramente di pagine dal numero limitato di vignette. Il tutto doveva essere usufruibile nella visualizzazione tipica di un social, all’interno dello schermo di uno smartphone.

Come reazione a questa esigenza, lo spirito sperimentale del webcomic ha portato gli autori a cimentarsi nella creazione non solo di contenuti per i social, ma anche di nuove piattaforme di aggregazione in cui dare vita a collettivi autoriali, dove si torna ad una versione classica del webcomic, libero dai vincoli di social e schermi di telefonini.

I webcomic italiani

Nel nostro paese i webcomic si sono presentati negli ultimi anni come una presenza capace di veicolare una spinta creativa interessante. Sia sui social che su siti-piattaforma, il fumetto italiano ha avuto modo di mostrare una produzione affascinante e ricca di ottimi spunti. Alcuni autori hanno legato il proprio webcomic ai social, non solo come mezzo di diffusione ma anche elemento di incontro con i lettori, trasformandolo in una palestra per le proprie abilità.

Prendendo come esempio Luigi ‘Bigio’ Cecchi ed il suo Drizzit, nelle prime ‘strisce’ si mostravano già ottimi presupposti, ma mancava ancora ‘qualcosa‘. Con impegno e anche confrontandosi con i lettori, Bigio ha iniziato a sperimentare, ha migliorato il suo stile e si è confrontato con diversi metodi di narrazione, come il lasciar scegliere ai lettori tra ‘story mode’ o battaglia.

Conclusa l’avventura di Drizzit, Cecchi ha cambiato il suo modo di intendere il webcomic, affidandosi ad una delle radici del fumetto digitale: sperimentare. Con la sua nuova creatura, Newt & Bobo, ha portato le sue wave, ossia i rilasci, non solo su Facebook ma anche su Instagram, portando il webcomic nella sua dimensione attuale, profondamente legata alla vita social.

Ma ci sono anche altre proposte che hanno seguito la strada della piattaforma condiviso, portando alla creazione di un portale come Wilder, in cui diversi canoni del fumetto trovano un’incarnazione in forma di webcomic.

Black Rock ad esempio, ha mostrato come i webcomic, anche se con una lunga pausa tra un capitolo e l’altro, meritino l’attesa, perché possono ripagare in emozione la nostra fiducia. I tempi di lavorazione non sono per tutti uguali, gli autori possono esser impiegati in altri progetti più scadenzati e sfruttare l’ambiente dei webcomic per realizzare proprie idee in totale libertà.

Questo consente di realizzare storie prive di limiti editoriali, che non sono influenzate da un’ottica di pura e semplice vendita, ma che lasciano gli autori liberi di sperimentare, sia nelle tematiche che nelle impostazioni grafiche. Portali come Wilder sono l’esempio perfetto di questa tendenza, un archivio di interessanti progetti adatti ad ogni lettore, capaci di mostrare diverse ambientazioni e svariati stili espressivi.

Il webcomic diventa, in un certo senso, anche un luogo meritocratico, in cui la bravura e la qualità delle proposte può offrire la meritata visibilità agli autori. In un periodo in cui la capillarità di internet e dei social consente di raggiungere quanta più gente possibile, il webcomic diventa il perfetto tramite, specialmente per giovani autori, di dare vita ad una sorta di auto-produzione che possa diventare un fumetto di richiamo.

Un successo digitale che può consentire ai webcomic di arrivare anche su carta. Casi come Aqualung o il citato Drizzit hanno trovato spazio in libreria e fumetteria, grazie alla lungimiranza di case editrici come BAO Publishing e Shockdom. Altri autori di webcomic sono arrivati a realizzare delle opere più impegnative e direttamente rivolte al pubblico tradizionale dopo avere raggiunto un buon successo nel mondo digitale, come Giacomo Bevilacqua passato dal suo webcomic A panda piace… a graphic novel come Il suono del mondo a memoria.

Leggi altri articoli